06 febbraio, 2009
PROMEMORIA 6 febbraio 1853 La rivolta di Milano
La rivolta di Milano.
Domenica 6 febbraio 1853, alle ore 16,45 scoppia a Milano un’insurrezione popolare anti-austriaca.
Il giorno fu scelto, dal Comitato Rivoluzionario organizzatore (Piolti, capo civile; Brizi, capo militare; Fronti, logistica; Vigorelli, cassiere), perché era l’ultima domenica di carnevale e gli insorti contavano, di conseguenza, che i soldati austriaci in libera uscita si spargessero per le osterie.
Armati soltanto di coltelli e pugnali, dato che la mancata collaborazione del comitato militare di Genova (del partito mazziniano) e degli esuli repubblicani in Svizzera, non avevano permesso di far loro arrivare i fucili, un migliaio circa di artigiani e di operai, sul fare della sera, danno audacemente l’assalto alle caserme, ai posti di guardia austriaci, ad ufficiali di passaggio e posti di polizia, confidando anche sulla promessa diserzione delle truppe ungheresi (che non ci fu). Mancò anche l’intervento concordato dal Brizi con un ingegnere del municipio, che aveva ai suoi ordini un centinaio di operai per la manutenzione delle vie, che avrebbero dovuto intervenire – al momento opportuno – coi loro attrezzi a dar man forte nel costruire barricate, dove si era deciso di costruirle, e per tagliare le tubazioni del gas e lasciare la città al buio.
Le barricate furono erette al Cordusio (Gaetano Vigorelli, Luigi e Giuseppe Baglia, Leopoldo Negri, ecc.), a Porta Tosa (ora dal Verziere al corso di Porta Vittoria), Piazza del Verzaro (ora di S.Stefano), Via della Signora, Via dell’Ospedale, Porta Ticinese, Porta Vicentina, al principio della Corsia (via Torino). L’azione più incisiva e prolungata fu quella di Porta Tosa (Giuseppe Varisco, il pettinaio Saporiti, il Ferri, il pettinaio Carlo Galli, Biffi, Colla, l’ortolano Crespi, il calzolaio Galimberti, e altri).
Viene poi presa d’assalto la Gran Guardia al Palazzo Reale: al comando del Ferri, si battono i fratelli Piazza (Camillo e Luigi), Giuseppe Moiraghi, Modesto Diotti, Antonio Cavallotti, Alessandro Silva, Pietro Varisco, Luigi Brigatti, Giuseppe Forlivesi, Antonio Marozzi, e altri. I rivoltosi si impossessano, ma solo per poco tempo, delle armi (fucili). Gli scontri proseguono in via Rastrelli, Larga, del Pesce (oggi Paolo da Cannobbio), piazza Borromeo, San Bernardino delle Monache, Palazzo Litta, contrada della Lupa.
Gli scontri più violenti avvengono in Corso di Porta Romana (un soldato ucciso); al Carrobbio (il cappellaio Opizzi, lo scalpellino Rivolta, ecc.: un insorto ci rimise il braccio, troncato di netto); nel borgo di Porta Ticinese, vicino al Ponte sul Naviglio; Corso di Porta Vercellina, presso Palazzo Litta (l’acquavitaio Antonio Cavallotti guida l’azione, ma viene arrestato); da via San Vincenzino sino all’arco di San Giovanni Sul Muro (Francesco Segalini, già combattente del ‘48, appoggiato da due dei suoi figli, fu ferito gravemente e morirà il 2 marzo di dissanguamento per essersi strappato le fasciature, onde schivare la forca); nella stessa Piazza Duomo e in Mercanti; Piazza Fontana, contrada dei Borromei; Via Orefici.
Negli scontri, tra gli insorti rimasero uccisi (oltre al Segalini), Giuseppe Conti e Moiraghi. Tra i soldati austriaci si contarono 10 morti e 47 feriti. Viene assalito, senza successo, il Circondario di Polizia in Piazza Mercanti. Ma gli attacchi non sono coordinati, le energie vengono disperse in mille rivoli. Manca una direzione unitaria, centralizzata, risultando così inefficaci.
Si contava, in origine, sull’apporto di almeno 5.000 insorti. Ma i mazziniani borghesi rimangono chiusi nelle loro case, e il restante ceto popolare, pur appoggiando in tutti i modi la rivolta (incitando i combattenti, aiutandoli nelle barricate, gettando oggetti dalle finestre sui soldati, esultando quando venivano feriti, ecc.), non si lascia trascinare in massa dal moto.
Reparti austriaci prontamente accorsi da fuori Milano riescono perciò subito a circoscrivere la rivolta e a spegnerla prima dell’alba del giorno successivo. Seguono 420 arresti (in tutto saranno 895), sei impiccagioni e una fucilazione immediate. Il 10 altri quattro furono impiccati; il 14 due e il 17 gli ultimi tre. In totale 16 giustiziati (1).
Il piano originario prevedeva, profittando di un ballo cui doveva partecipare tutta l’alta ufficialità austriaca il 31 gennaio a palazzo Marino, di avvelenarli tutti e di sbarazzarsene in una sola volta. La guarnigione di Milano sarebbe stata facilmente in balìa degli eventi e la rivolta vittoriosa. Ma il piano fu lasciato cadere. Qualcuno aveva proposto anche di assassinare tre personaggi dell’aristocrazia milanese, particolarmente ligi all’imperatore austriaco, ma non se ne fece nulla. L’Orsini, nelle sue Memorie, disse che si mancò “alla prima legge della cospirazione, la quale vuole, che dove mancano armi, dove sono proibiti i bastoni, egli è lecito ricorrere ad ogni mezzo che valga a distruggere il nemico”.
Ogni tanto, un ripasso di storia non fa male, può schiarire le idee a chi si riempie la bocca di, o si fa confondere dalla, “lotta al terrorismo”, senza chiarire, o avere chiaro prima di chi, contro chi e per che cosa. Oppure, dovremmo definire seguaci di Bin Laden, ante-litteram, Mazzini, Saffi, Orsini, ecc.? E, con loro, terrorismo buona parte del Risorgimento italiano, e dei suoi martiri. Un’Italia unita, figlia del terrorismo? che orrore!
Vediamo come prese posizione Marx, attento osservatore dei fatti italiani. In un articolo, apparso l’ 8.3.1853 sul New York Daily Tribune, dal titolo “I moti a Milano”, scrive:
“L’insurrezione di Milano è significativa in quanto è un sintomo della crisi rivoluzionaria che incombe su tutto il continente europeo. Ed è ammirevole in quanto atto eroico di un pugno di proletari che, armati di soli coltelli, hanno avuto il coraggio di attaccare una cittadella e un esercito di 40.000 soldati tra i migliori d’Europa ...”
“Ma come gran finale dell’eterna cospirazione di Mazzini, dei suoi roboanti proclami e delle sue tirate contro il popolo francese, è un risultato molto meschino. E’ da supporre che d’ora in avanti si ponga fine alle revolutions improvisées, come le chiamano i francesi ... In politica avviene come in poesia. Le rivoluzioni non sono mai fatte su ordinazione ...”
“Così deboli, così impotenti sono le cosiddette ‘potenze’. Esse sentono che i troni d’Europa vacillano dalle fondamenta alle prime avvisaglie del terremoto rivoluzionario. Circondate dai loro eserciti, dalle loro fortezze, dalle loro prigioni, tremano di fronte a quel che esse chiamano ‘i tentativi sovversivi di pochi miserabili prezzolati’.”
“’La calma è ristabilita’. Lo è, infatti: è la sinistra, terribile calma che subentra tra il primo e il secondo più violento scoppio del temporale”.
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