03 ottobre, 2008
PROMEMORIA 3 ottobre 1993 A Sarajevo (BiH) viene ucciso da un cecchino Gabriele Moreno Locatelli, pacifista italiano
A Sarajevo (BiH) viene ucciso da un cecchino il pacifista Gabriele Moreno Locatelli (Canzo, 1959 – Sarajevo, 3 ottobre 1993) è stato un pacifista italiano, ucciso da un cecchino durante la guerra serbo-bosniaca.
Cenni Biografici
Iniziò nella Azione Cattolica, poi studiò teologia a Napoli e Friburgo, provò per cinque anni a vivere ispirandosi alla figura di san Francesco muovendosi tra Lombardia, Assisi, Napoli e la Sicilia, (a Corleone per assistere un uomo con una gamba amputata) e provando ad accostarsi anche ai Piccoli Fratelli di Gesù, a Spello. Nella sua biografia si ricordano anche tre anni vissuti a Parigi, assistendo un prete infermo, l' esperienza della pratica, ormai desueta della questua a piedi nudi, la passione di scrivere piccole poesie e l'abitudine di portare a casa un pugno di terra di ogni luogo in cui era stato [1].
Una selezione di sue poesie e scritte sono raccolte postume nel libro La mia strada.
L'uccisione a Sarajevo [modifica]
Locatelli, entrato nell'associazione pacifista Beati i Costruttori di Pace, si era recato a Sarajevo allo scopo di manifestare a favore di una soluzione pacifica della guerra civile fra etnie bosniache e serbe; la vita civile nella città era completamente paralizzata dalla presenza di cecchini che sparavano su chiunque fosse a tiro.
Il 3 ottobre 1993, con altri quattro pacifisti (Luigi Ceccato, padre Angelo Cavagna, Pier Luigi Ontanetti e Luca Berti, che con lui a Sarajevo stavano realizzando il progetto "Si vive una sola Pace") stava attraversando il ponte Vrbanja sul torrente Miljacka, che divide la città, per un'azione simbolica rivolta alle due parti in conflitto: volevano deporre una corona di fiori sul luogo della prima vittima di quella guerra (la giovane Suada Dilberović uccisa nell’aprile 1992 durante le prime manifestazioni per la pace a Sarajevo), e quindi offrire del pane ai soldati bosniaci e a quelli serbi, che si fronteggiavano dalle sponde opposte del ponte; di questa piccola manifestazione erano state avvisate le milizie in conflitto.
Sul ponte venne raggiunto dai colpi di un cecchino, quando assieme ai suoi compagni stava ritornando sui suoi passi a seguito di alcune mitragliate di avvertimento. Morì dopo due interventi chirurgici, le sue ultime parole furono «Stanno tutti bene?» riferendosi ai suoi compagni sul ponte [2]. La sua uccisione è interpretabile come dettata dalla cinica volontà di riaffermare l'esistenza della linea della morte che divideva in due la città.
È stato seppellito nel cimitero di Canzo il 7 ottobre 1993 e sulla sua tomba, in una teca di vetro, è esposta la sua bandiera della pace; al suo nome é stato intitolato il nuovo centro della Protezione civile del suo paese natale. All'ingresso della sua casa natale di Canzo è posta una frase del Cantico dei Cantici: Forte come la morte è l'amore.
Quaranta giorni prima di morire già in Sarajevo, quasi a presagio della sua fine, scrisse su una cartolina una poesia, che inizia con queste parole:
« Vi prego
gridate
che qui la gente muore
di granate
di snajper [cecchini]
di malattie
ma anche di paura,
di angoscia,
di disperazione,
perché non c’è pace, non c’è pane, e l’inverno arriva,
e nessuno crede che non li abbiamo dimenticati.
Vi prego, gridate.
Un bacio a tutti e a ciascuno.
Gabri »
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