04 giugno, 2008

PROMEMORIA 4 giugno 1989 I dimostranti di Piazza Tiananmen, a Pechino, vengono repressi, il tutto viene filmato dalle televisioni


I dimostranti di Piazza Tiananmen, a Pechino, vengono repressi, il tutto viene filmato dalle televisioni.
Con protesta di piazza Tian'anmen (nota anche come massacro di Piazza Tian'anmen in cinese 天安门事故) si intendono una serie di dimostrazioni guidate da studenti, intellettuali, operai nella Repubblica Popolare Cinese tra il 15 aprile ed il 4 giugno 1989. Simbolo della rivolta è considerato il rivoltoso sconosciuto che in totale solitudine e completamente disarmato affronta una colonna di carri armati: le fotografie che lo ritraggono sono popolari nel mondo intero e sono per molti un simbolo di lotta contro la tirannide.

L'evoluzione della protesta si può ripartire attraverso cinque episodi: il lutto, la sfida, la tregua, il confronto, il massacro

Il lutto

Il 15 aprile 1989, Hu Yaobang morì per un arresto cardiaco. La protesta ebbe inizio in modo relativamente pacato, nascendo dal cordoglio nei confronti di Hu Yaobang, popolare tra i riformisti, e dalla richiesta al Partito di prendere una posizione ufficiale nei suoi confronti. La protesta divenne via via più intensa dopo le notizie dei primi scontri tra manifestanti e polizia. Gli studenti si convinsero allora che i mass media cinesi stessero distorcendo la natura delle loro azioni, che erano solamente volte a supportare la figura di Hu. Il 22 aprile, giorno dei funerali, gli studenti scesero in Piazza Tiananmen, nella città di Pechino, chiedendo di incontrare il Primo ministro Li Peng; la leadership comunista ed i media ufficiali ignorarono la protesta e per questo gli studenti proclamarono uno sciopero generale all'università di Pechino. All'interno del PCC Zhao Ziyang, Segretario generale del Partito, era favorevole ad un'opposizione moderata e non violenta nei confronti della manifestazione, riportando il dibattito suscitato dagli studenti in ambiti istituzionali. Favorevole alla linea dura era invece Li Peng, Primo ministro, che era convinto che i manifestanti fossero manipolati da potenze straniere. Egli, in particolare, approfittò dell'assenza di Zhao, che doveva recarsi in visita ufficiale in Corea del Nord, per diffondere le sue convinzioni. Si incontrò con Deng Xiaoping, che, nonostante si fosse ritirato da tutte le cariche più importanti (ma rimaneva Presidente della potente Commissione militare), restava un personaggio estremamente influente nella politica cinese; con lui, si accertò di avere una comunanza di vedute.

La sfida

Il 26 aprile fu pubblicato sul Quotidiano del Popolo un editoriale a firma di Deng Xiaoping che accusava gli studenti di complottare contro lo stato e fomentare agitazioni di piazza. Questa dichiarazione fece infuriare gli studenti e il 27 aprile circa 50.000 studenti scesero nelle strade di Pechino, ignorando il pericolo di repressioni da parte delle autorità e richiedendo che si ritrattassero queste pesanti dichiarazioni; inoltre, i manifestanti avevano paura di essere puniti nel caso in cui la situazione fosse tornata alla normalità. Zhao, tornato dalla Corea del Nord tentò ancora di raffreddare gli animi.

Il 4 maggio (data simbolica in quanto richiamava il Movimento del 4 maggio 1919) circa 100.000 persone marciarono nelle strade di Pechino, chiedendo più libertà nei media e un dialogo formale tra le autorità del partito e una rappresentanza eletta dagli studenti.

La tregua

A questo punto si instaurò una tregua, ma senza che gli studenti riuscissero a convincere la leadership del Partito ad instaurare un dialogo realmente costruttivo. In un primo momento la protesta sembrò sul punto di rifluire.

In questo contesto si inserì la visita del Segretario del PCUS Mihail Gorbacev in Cina, prevista per la metà di maggio. Si trattava di un evento storico in quanto rappresentava la riconciliazione tra le due potenze dopo 19 anni di ostilità diplomatica. Il 13 maggio, duemila studenti decisero di insediarsi in Piazza Tiananmen e le loro richieste si radicalizzarono ulteriormente: non solo chiedevano una legittimazione, ma criticavano la corruzione del Partito ed il ritorno al conservatorismo da parte di Deng Xiaoping e chiedevano riforme politiche democratiche, innalzando Gorbacev a simbolo della riforma. Inoltre, alcuni di essi iniziarono uno sciopero della fame. In migliaia si unirono a questa protesta, supportata dagli stessi residenti di Pechino. I manifestanti innalzarono al centro della piazza un'enorme statua, alta 10 metri, chiamata Dea della Democrazia, in polistirolo e cartapesta. Da notare che tra i manifestanti erano presenti anche comunisti dissidenti che cantavano L'Internazionale (inno).

Questo metteva i dirigenti cinesi di fronte ad un forte problema: veniva di fatto data una scadenza per risolvere la questione e si rischiava di creare dei martiri che avrebbero potuto destabilizzare ulteriormente il regime, senza contare la crescente simpatia di cui gli studenti erano oggetto tra la popolazione. I dirigenti del PCC però non riuscirono ancora a trovare una linea condivisa per rispondere alla protesta.

Durante la visita di Gorbacev, il 16 ed il 17 maggio, la mobilitazione continuò, portando in Piazza centinaia di migliaia di persone. La protesta si era ampliata anche fuori dalla città di Pechino, arrivando a coinvolgere oltre 300 città.

Il confronto

Di fronte all'immobilismo dei massimi dirigenti, fu ancora Deng Xiaoping a prendere l'iniziativa, decidendo, assieme ad altri anziani del Partito, di dichiarare la legge marziale per dare un segnale ancora più forte agli studenti. Questo fatto è molto importante se si considera che la legge marziale, nella storia della Repubblica popolare cinese era stata proclamata una sola volta a Lhasa, capitale del Tibet, ed ora si trattava di dichiararla a Pechino, capitale dello stato. La notte del 19 maggio venne quindi convocato il Comitato permanente dell'Ufficio politico, organo comprendente i massimi dirigenti del PCC, al quale spettava l'imposizione della legge marziale: alcune fonti riferiscono che Zhao Ziyang fu il solo su 5 a votare contro, altre dicono che, non essendo stata trovata una maggioranza (2 a favore, 2 contro ed 1 astenuto), Deng la impose unilateralmente. Resta comunque il fatto che l'esercito, il giorno dopo, fu chiamato ad occupare la capitale.

Zhao Ziyang tentò quindi una mossa disperata: all'alba del 20 maggio si presentò in Piazza Tiananmen e tentò di convincere gli studenti ad interrompere lo sciopero della fame e l'occupazione della piazza, promettendo che le loro ragioni sarebbero state ascoltate. Non fu ascoltato e l'episodio decretò anche la fine della sua carriera politica (pochi giorni dopo fu arrestato). Nemmeno la proclamazione pubblica della legge marziale convinse i manifestanti ad arrendersi.

All'inizio l'esercito incontrò una forte resistenza da parte della popolazione e si astenne dal reagire con la forza. La situazione restò quindi paralizzata per 12 giorni.

Il massacro

Anche in questo caso fu Deng a prendere la decisione finale: in quanto Presidente della Commissione militare, fece pervenire alle truppe l'ordine di usare la forza. La notte del 3 giugno l'esercito iniziò quindi a muoversi dalla periferia verso Piazza Tienanmen. Di fronte alla resistenza che incontrarono, aprirono il fuoco ed arrivarono in piazza. Nonostante non sia possibile una ricostruzione accurata dei fatti, fu un massacro.

Le vittime

Ancora oggi le stime dei morti variano. Il governo cinese parlò inizialmente di 200 civili e 100 soldati morti, ma poi abbassò il numero di militari uccisi ad "alcune dozzine". La CIA stimò invece 400-800 vittime. La Croce Rossa riferì 2600 morti e 30.000 feriti. Le testimonianze di stranieri affermarono invece che 3000 persone vennero uccise. La stessa cifra fu data da un sito inglese di Pechino. Le stime più alte parlarono di 7.000-12.000 morti. Organizzazioni non governative come Amnesty International hanno denunciato che, ai morti per l'intervento, vanno aggiunti i giustiziati per "ribellione", "incendio di veicoli militari", ferimento o uccisione di soldati e reati simili. Amnesty International ha stimato che il loro numero è superiore a 400.

Dopo la strage

Nei giorni seguenti si mise in atto una feroce caccia ai restanti contestatori, che furono imprigionati o esiliati. Il governo, inoltre, limitò l'accesso da parte dei media internazionali, dando la possibilità di coprire l'evento alla sola stampa cinese.

Il 9 giugno Deng si assunse la responsabilità dell’intervento e condannò il movimento studentesco come un tentativo controrivoluzionario di rovesciare la Repubblica popolare cinese. Per legittimare la repressione, la propaganda ufficiale sostenne che i manifestanti avevano attaccato l'esercito, il quale, a costo di pesanti sacrifici, era comunque riuscito a salvare il socialismo.

A livello internazionale, la repressione di Piazza Tiananmen provocò la ferma condanna da parte di numerosi Paesi occidentali, che portò anche all'imposizione di un embargo sulla vendita di armi alla Cina. Oggi il clima si è rappacificato e la Cina è stata riaccolta dagli altri paesi nella politica globale, ma gli eventi di Piazza Tiananmen sono ancora un argomento sensibile per il governo comunista cinese, che non fornisce versioni ufficiali dell'accaduto ed esercita forme di censura riguardo gli avvenimenti in questione.

Influenza culturale

Numerose canzoni sono ispirate a questi fatti, tra cui "Uno come noi" dei Nomadi e "Davide e Golia" del Gen Rosso, dedicate in particolare allo studente che fermò un'intera colonna di carri armati, e "Citta proibita" dei Pooh, dall'album Uomini soli del 1990. Si dice anche che "Blood Red" degli Slayer (dal disco Seasons in the Abyss del 1990) racconti le vicende di questa tragedia. "Tieniamente" di Claudio Baglioni è una canzone che fa parte dell'Album Oltre del 1990. Il testo è unicamente composto dalle parole Tienanmen e Tieni a mente. Nell'ultimo album dei System of a Down (Hypnotize) nella canzone Hypnotize c'è un chiaro riferimento ai giovani protestanti. Altra canzone basata su quest'avvenimento è, appunto, Tien an men dei CCCP Fedeli alla linea, contenuta nell'album Live in Punkow. Un riferimento a questi fatti c'è anche nella canzone "Il vento" dei Litfiba contenuta nell'album "Pirata" proprio del 1989. Nel video della canzone "Caos AD" dei brasiliani Sepultura sono visibili alcune scene della protesta.

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