29 luglio, 2009
PROMEMORIA 29 luglio 1900 - L'anarchico Gaetano Bresci uccide a Monza Umberto I di Savoia, re d'Italia
L'anarchico Gaetano Bresci uccide a Monza Umberto I di Savoia, re d'Italia.
Il regicidio
Uccise a Monza, la sera di domenica 29 luglio 1900, sparandogli contro tre colpi di pistola (o quattro, le fonti storiche non concordano), il re d'Italia, Umberto I di Savoia. Il sovrano stava rientrando in carrozza nella sua residenza monzese dopo aver assistito a un saggio ginnico cui seguì una premiazione presso la società sportiva Forti e Liberi. L'assassinio, immortalato in una celebre tavola del pittore Achille Beltrame per La Domenica del Corriere, avvenne sotto gli occhi della popolazione festante che salutava il monarca. Bresci si lasciò catturare dal carabiniere Andrea Braggio senza opporre resistenza; e fu lo stesso carabiniere a salvarlo, proteggendolo dal linciaggio a cui stava per essere sottoposto dalla folla inferocita.
Emigrato tempo prima a Paterson (New Jersey, USA), l'anarchico era rientrato appositamente in Italia con il preciso intento di uccidere Umberto I: intendeva così vendicare la strage avvenuta a Milano nel 1898, quando l'esercito guidato dal generale Bava-Beccaris sparò su una folla di manifestanti (il totale dei morti non è mai stato accertato, ma superò sicuramente il centinaio).
Bresci, difeso dall'avvocato Francesco Saverio Merlino, dopo il rifiuto di Filippo Turati, fu processato per regicidio e condannato a morte, con pena poi commutata in lavori forzati a vita da re Vittorio Emanuele III (fu l'ultimo caso che si ricordi in cui un re d'Italia commutò una pena). Alle ore 12 del 23 gennaio del 1901 dopo un trasferimento via mare sulla nave da guerra Messaggero il Bresci è rinchiuso nel suo ultimo domicilio. Per poterlo controllare a vista venne edificata per lui una speciale cella di tre metri per tre, priva di suppellettili, nel penitenziario di Santo Stefano, presso Ventotene (Isole Ponziane). Il suo numero di matricola è il 515.
Indossa la divisa degli ergastolani, con le mostrine nere che indicano i colpevoli dei delitti più gravi. I piedi sono avvinti in catena. Ogni giorno riceve il vitto di spettanza: una gamella di zuppa magra ed una pagnotta. Ha facoltà di acquistare generi alimentari allo spaccio, ma si avvale raramente di questa concessione. Delle sessanta lire depositate presso l'amministrazione dell'ergastolo (e spedite dall' America dalla moglie) riesce a spenderne meno di dieci. Il comportamento del detenuto è giudicato tranquillo, normale. Bresci riceve la visita del cappellano del carcere don Antonio Fasulo, ma rinunzia al conforto della conversazione. Si fa dare una Bibbia, che legge ogni tanto, poi, tra gli scarsi volumi della biblioteca carceraria, sceglie un vocabolario italiano-francese. Lo troverà aperto, quel pomeriggio del 22 maggio 1901 il direttore del carcere venuto a constatare la sua morte.
La morte
Il 22 maggio 1901, l'ufficio matricola della Regia Casa di Pena di Santo Stefano registra la morte del detenuto Bresci Gaetano fu Gaspero, condannato all'ergastolo per l'uccisione a Monza del re d'Italia. Alle ore 14,55 il secondino Barbieri, che aveva l'incarico di sorvegliare a vista l'ergastolano, ma che si era allontanato per alcuni minuti, scopre il corpo del Bresci, ormai cadavere, penzolare dall'inferriata, alla quale il recluso si era appeso per il collo mediante l'asciugamano in dotazione o secondo altri un lenzuolo. Accorre il direttore del carcere cavalier Cecinelli, accorre anche il medico, ma soltanto per constatare l'avvenuto decesso.
Tuttavia le circostanze della sua morte hanno sempre destato perplessità. Voci sotterranee fatte circolare da cella a cella e presto uscite dal penitenziario, avvalorano un'altra ipotesi. Tre guardie avrebbero fatto irruzione nella cella, avrebbero immobilizzato il Bresci buttandogli addosso una coperta e poi lo avrebbero massacrato a pugni. Nel gergo carcerario questo trattamento è chiamato fare il sanantonio. Serve a dare una lezione ai riottosi, qualche volta questa lezione è mortale. Un delitto di Stato sarebbe stato dunque la pena per un delitto contro lo Stato. Così come incertezza vi è anche sul luogo della sua sepoltura: secondo alcune fonti, fu seppellito assieme ai suoi effetti personali nel cimitero di Santo Stefano; secondo altre, il suo corpo venne gettato in mare. Le sole cose rimaste di lui sono il suo cappello da ergastolano (andato distrutto durante una rivolta di carcerati nel dopoguerra) e la rivoltella con cui compì il regicidio.
Molti sono quindi i misteri che circondano ancora la figura dell'anarchico venuto dall'America, come la fantasia popolare lo aveva ribattezzato. Riguardano prevalentemente dei documenti spariti misteriosamente: non è infatti mai stata trovata la pagina 515 che descriveva il suo status di ergastolano e le circostanze della sua morte; nessuna informazione su di lui è disponibile all'Archivio di Stato di Roma; non è mai stato ritrovato - come testimonia una approfondita biografia di Arrigo Petacco - il dossier che Giovanni Giolitti scrisse sulla vicenda Bresci.
Qualche anno dopo la morte del regicida, Ezio Riboldi, primo sindaco socialista di Monza, fece visitare la cappella espiatoria al giovane esponente della sinistra rivoluzionaria Benito Mussolini, il quale con un sasso puntuto incise la scritta: Monumento a Bresci[1].
Contesto storico in cui maturò l'uccisione di Umberto I di Savoia
Nel 1898, a circa 40 anni dall'annessione della Lombardia al Regno d'Italia, la situazione economica era gravissima. Si ricorda che in questi 40 anni emigrarono circa 519 000 lombardi.[2] A Milano, a seguito dell'aumento del costo della farina e del pane, il cui costo cresceva da anni a causa della tassa sul macinato imposta dal regno sabaudo, il popolo affamato insorse e assaltò i forni del pane.
L'insurrezione milanese, passata alla storia come la "protesta dello stomaco", durò vari giorni e fu repressa nel sangue da reparti dell'esercito al comando del generale Fiorenzo Bava-Beccaris che, per questa azione di ordine pubblico fu insignito con la Croce di grand'ufficiale dell'ordine militare di Savoia, «per rimeritare il servizio reso alle istituzioni e alla civiltà» da Umberto I re d'Italia. Nella feroce repressione militare si calcola che vi furono più di cento persone uccise (i dati non sono precisi) e centinaia di feriti. Tra le vittime i miserabili in fila per ricevere la minestra dei frati, sui quali si sparò a mitraglia.
Gaetano Bresci intese vendicare l'eccidio e rendere giustizia, perciò uccise il re Umberto I di Savoia in quanto responsabile in capo di questi tragici avvenimenti.
Reazioni
Tutti gli amici più stretti e i parenti di Bresci vennero arrestati nel tentativo di dimostrare che Bresci non aveva agito individualmente, ma aveva preso parte a un vastissimo complotto anarchico internazionale. Anche la polizia di Paterson fu mobilitata per dimostrare l'esistenza di tale complotto, ma non trovò assolutamente nessuna prova.
L'Avanti, divenuto capro espiatorio nonostante fosse nient'affatto vicino agli anarchici, subì un'aggressione da parte dei conservatori, in seguito alla quale vennero arrestati alcuni lavoratori del giornale invece degli aggressori. Molti anarchici in tutta Italia furono arrestati, colpevoli di apologia di regicidio. In effetti, a Bresci venivano dedicate feste e brindisi, tanto in Italia quanto a Paterson.
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