10 gennaio, 2008

PROMEMORIA 10 gennaio 1944 - Processo Di Verona


Il Processo di Verona iniziato l'8 gennaio contro sei dei diciannove membri del Gran Consiglio del fascismo che nella seduta del 25 aprile del 1943 avevano sfiduciato Benito Mussolini, si chiude con la condanna a morte di Galeazzo Ciano, Emilio De Bono, Luciano Gottardi, Giovanni Marinelli e Carlo Pareschi; Tullio Cianetti invece viene condannato a 30 anni di carcere; l'esecuzione è fissata per l'11 gennaio.
Il processo di Verona ebbe luogo a Verona nella Repubblica Sociale Italiana dal'8 al 10 gennaio 1944 nella sala di Castelvecchio. Esso vide sul banco degli imputati i membri del Gran Consiglio del Fascismo che, nella seduta del 25 luglio 1943, avevano sfiduciato Benito Mussolini, causando la caduta del regime fascista e che avevano avuto, poi, la sfortuna di cadere in mano ai tedeschi e ai fascisti dopo l'armistizio dell' 8 settembre 1943 e la conseguente occupazione da parte della Wehrmacht.

Legalità del processo
Il nuovo ministro della giustizia Pisenti, dopo aver esaminato gli atti del processo, si pronuncia col duce sostenendo che il processo eseguito in questi termini non sarebbe stato legale. Infatti, mancano le prove di connivenza tra i firmatari dell'ordine Grandi e la casa reale, la votazione si svolge in modo irregolare, e l'accusa di tradimento non è dimostrabile, perché il duce era a conoscenza dell'ordine del giorno Grandi. Mussolini sa che il processo è un'assurdità giuridica, ma ormai bisogna farlo. Sembra deciso a far rotolare anche altre teste; egli, infatti, consegna a Vecchini il memoriale di Cavallero, dove è testimoniato un tentativo di presa di potere da parte di quello e di Farinacci. Tuttavia Farinacci non viene processato, e questo perché il suo nome non compare tra i firmatari dell'ordine del giorno Grandi, e solo ad essi era rivolto il decreto di legge del tribunale speciale straordinario. Ma questo in realtà non è specificato, e Farinacci rientra benissimo tra coloro che hanno complottato per rimettere nelle mani del re il potere esecutivo e politico; tuttavia, il giornalista è protetto dai tedeschi, e non può essere toccato.


La vicenda Ciano
Galeazzo Ciano, genero di Mussolini, sposo di Edda, la figlia prediletta del duce, fugge a Monaco convinto di trovarvi protezione; in realtà è andato tra le braccia del nemico. Himmler gli aveva promesso un aereo per la Spagna in cambio della consegna del suo diario personale, in cui erano annotati tutti i rapporti che i tedeschi avevano avuto coi membri del fascismo. Inoltre, è convinto di trovare protezione per aver tenuto informati i tedeschi sugli spostamenti di prigione in prigione del duce. Non sa che nel frattempo alla radio Vittorio Mussolini, Farinacci e Pavolini si danno il turno per accusare i traditori del fascismo e in particolare lui, che diventa il bersaglio e il "capro espiatore" su cui ricadono tutte le amarezze dei fascisti. Mussolini incontra Ciano a Monaco, lascia credere di averlo perdonato, ma non è così, e Hitler decide di lasciarlo fare; ai tedeschi importa solo di recuperare il diario, e per questo, il giorno dell'arresto di Galeazzo, lo fanno accompagnare da Frau Betz, l'unica persona con cui Ciano potrà parlare durante il suo isolamento in attesa del processo. Contro Ciano si scaglia soprattuto il delirio accusatorio di Giovanni Preziosi, un fanatico particolarmente apprezzato dai nazisti.


Le votazione
Le votazioni avvengono tramite foglietti. Si vota una prima volta per decidere colpevole o non colpevole. Si vota una seconda volta per decidere se concedere o meno le attenuanti generiche. Alla prima votazione, tutti vengono dichiarati colpevoli. Le attenuanti generiche vengono concesse solo a Tullio Cianetti, condannato a trent'anni, cioè pochi mesi, vista la situazione della repubblica. Ma i risultati delle votazioni non rispondono altro che alla volontà del duce, il quale è sicuro che i giudici abbediranno alle direttive decise a Gargano.


Le condanne a morte furono eseguite l'11 gennaio 1944 al poligono di tiro di Porta San Procolo da un plotone di 30 militi fascisti, per decisione di Pavolini le richieste di grazia furono inoltrate a Mussolini a condanna già eseguita.

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