30 settembre, 2010

Ragazzi più sicuri: al via la seconda edizione del progetto "In strada come in rete"


Ragazzi più sicuri: al via la seconda edizione del progetto "In strada come in rete"

Proteggere i ragazzi dai rischi del web e dai pericoli della strada. È questo lo scopo della seconda edizione di "In strada come in rete", presentata stamani a Palazzo Valentini dall' assessore provinciale alla Sicurezza, Ezio Paluzzi, e dal prefetto di Roma, Giuseppe Pecoraro.

Il progetto, realizzato dall’Amministrazione provinciale con Polizia Postale, Polizia provinciale, Unicef, Microsoft, Unione Nazionale Consumatori, Google Youtube e il portale web Skuola.net, è rivolto agli studenti tra i 10 e i 14 anni, ai genitori e agli insegnanti delle scuole secondarie di primo grado del territorio della provincia di Roma.

L’obiettivo è quello di contrastare i nuovi rischi adolescenziali, in particolare la pedo-pornografia on-line e le altre minacce della navigazione web, il cyber bullismo e i pericoli che incombono sui ragazzi in strada.

A questo proposito, l’Amministrazione provinciale vuole fornire tutte le informazioni sul codice della strada e sulle norme di comportamento e di sicurezza che i ragazzi devono seguire come utenti della strada.

I ragazzi, inoltre, saranno coinvolti in un concorso che prevede la realizzazione di elaborati o mini-video raccolti e pubblicati dal portale web skuola.net, dove potranno essere votati dagli utenti registrati.
Le due scuole vincitrici riceveranno un simulatore di guida che potrà essere utilizzato anche in futuro per iniziative di sensibilizzazione di educazione sul tema della sicurezza stradale.

"È un progetto che sosteniamo con convinzione - ha detto il presidente della Provincia di Roma, Nicola Zingaretti - per formare una generazione che faccia di internet un utilizzo consapevole e critico".

L’assessore Paluzzi, infine, ha ricordato gli "importanti risultati" raggiunti nella prima edizione: "I numeri ottenuti, 30 scuole coinvolte, 11mila adolescenti e 220 docenti formati, ci spingono a ripercorrere interamente la strada del progetto".

PROMEMORIA 30 settembre 1956 - Preparazione attacco da parte di Israele a Nasser


Preparazione attacco da parte di Israele a Nasser
La Crisi di Suez è un conflitto che nel 1956 vide l'Egitto opporsi all'occupazione militare del Canale di Suez da parte di Francia, Regno Unito ed Israele.
La crisi si concluse quando l'URSS minacciò di intervenire al fianco dell'Egitto e gli Stati Uniti, temendo l'allargamento del conflitto, costrinsero inglesi, francesi ed israeliani al ritiro.
Per la prima volta USA e URSS si accordarono per garantire la pace.
Il 29 ottobre, Israele invase la Striscia di Gaza e la penisola del Sinai e fece rapidi progressi verso la zona del canale. Come previsto dall'accordo, Regno Unito e Francia si offrirono di rioccupare l'area e separare le parti in lotta. Nasser (la cui nazionalizzazione della compagnia era stata accolta con gioia dall'opinione pubblica egiziana) rifiutò l'offerta, cosa che diede alle potenze europee un pretesto per una invasione congiunta per riprendere il controllo del canale e rovesciare il regime di Nasser. Per appoggiare l'invasione, numerose forze aeree, comprendenti molti aerei da trasporto, erano state posizionate a Cipro e a Malta da britannici e francesi. I due campi aerei di Cipro erano così congestionati che un terzo campo, che si trovava in condizioni dubbie, dovette essere rimesso in sesto per accogliere gli aerei francesi. Perfino il RAF Luqa di Malta era estremamente affollato dagli aerei del RAF Bomber Command. Il Regno Unito dispiegò le portaerei Eagle, Albion e Bulwark, mentre la Francia fece stazionare la Arromanches e la Lafayette. In aggiunta le britanniche Ocean e Theseus funsero da trampolino di lancio per il primo assalto elitrasportato della storia. Regno Unito e Francia iniziarono a bombardare l'Egitto il 31 ottobre per costringerlo a riaprire il canale. Nasser rispose affondando tutte e 40 la navi presenti nel canale, chiudendolo in pratica fino all'inizio del 1957.
Il 5 novembre sul tardi, il terzo battaglione del reggimento paracadutisti si lanciò sul campo aereo di El Gamil, ripulendo l'area e stabilendo una base sicura per i rinforzi e gli aerei di appoggio in arrivo. Alle prime luci del 6 novembre i commandos britannici del NOS 42 e del 40º Commando Royal Marines assalirono le spiagge con mezzi da sbarco della seconda guerra mondiale. Le batterie delle navi da guerra in posizione al largo iniziarono a sparare, dando un buon fuoco di copertura per gli sbarchi e causando danni considerevoli alle batterie egiziane. La città di Porto Said subì gravi danni e venne vista in fiamme.
Incontrando una forte resistenza, il commando numero 45 andò all'assalto con gli elicotteri e allo sbarco si mosse verso l'interno. Diversi elicotteri vennero colpiti dalle batterie sulle spiagge subendo perdite sostenute. Il fuoco amico degli aerei britannici causò pesanti perdite al 45º Commando. Combattimenti di strada e casa per casa erano all'ordine del giorno. Una dura opposizione arrivò da postazioni di cecchini ben trincerati, che causarono diverse perdite.

29 settembre, 2010

Palaexpo, gli assessori D’Elia e Prestipino presentano il festival "Letteratura da viaggio"


Palaexpo, gli assessori D’Elia e Prestipino presentano il festival "Letteratura da viaggio"

Con una quattro giorni di mostre, incontri d'autore, rassegne cinematografiche, lezioni, libri, fotografia, video-interviste, torna alla sua terza edizione il Festival delle Letteratura di Viaggio, dal 30 settembre al 3 ottobre, all'insegna del tema "Verso Oriente, il Levante".

Articolata tra Palazzo delle Esposizioni e Villa Celimontana la manifestazione organizzata dalla Società Geografica italiana e Federculture, e curata dal giornalista Antonio Politano, è stata presentata oggi al Palaexpo alla presenza degli assessori alla Cultura e al Turismo della Provincia di Roma, Cecilia D' Elia e Patrizia Prestipino; del direttore del Palaexpo Mario De Simoni; del presidente della Società Geografica Franco Salvadori e del presidente di Federculture Roberto Grossi.

Tra i temi trattati quello del Levante, cioè l' area che dalle nostre coste italiane si estende verso il Mediterraneo orientale toccando tutte le terre intorno.
Due le mostre: una sulla Grande Venezia e l' area sotto l' influenza veneziana tra Istanbul e Alessandria e l'altra dal titolo "Cose turche. Racconti dei viaggiatori italiani tra XVI e XX secolo". Non solo letteratura. La narrazione del viaggio passa per diverse forme come il cinema di Gabriele Salvatores protagonista di una rassegna cinematografica e del premio La Navicella d' Oro. Oltre venti gli incontri con più di 50 illustri "viaggiatori", dal leader dei Radiodervish, a Pedrag Matvejevic, che aprirà la kermesse, da Melania Mazzucco a Patrizio Roversi e Syusi Bladi.

Cecilia D' Elia sottolinea che il festival è "l'occasione per celebrare una comunità di curiosi del mondo e l'importanza della scoperta di altri luoghi"; Patrizia Prestipino, lancia l'idea di "realizzare in futuro un premio che coinvolga le scuole superiori sul tema del viaggio legato al Festival e magari il premio da assegnare potrebbe essere proprio un viaggio".

PROMEMORIA 29 settembre 1964 - Mafalda, la famosa striscia a fumetti del cartoonist Argentino Quino, appare per la prima volta sui giornali


Mafalda, la famosa striscia a fumetti del cartoonist Argentino Quino, appare per la prima volta sui giornali
Mafalda è la protagonista dell'omonima striscia a fumetti scritta e disegnata dall'argentino Joaquín Lavado, in arte Quino, pubblicata dal 1964 al 1973, molto popolare in America Latina e in Europa.
Mafalda è una bambina dallo spirito ribelle, profondamente preoccupata per l'umanità e per la pace nel mondo. Pone a sé e ai suoi genitori domande candide e disarmanti a cui è difficile, e a volte impossibile, rispondere. Sono domande che mostrano le contraddizioni e le difficoltà del mondo degli adulti, nel quale Mafalda rifiuta di integrarsi.
La striscia è pubblicata per la prima volta in Italia nel 1968, in un’antologia edita da Feltrinelli. Nel 1969 esce la prima raccolta intitolata Mafalda la contestataria, pubblicata da Bompiani. La prefazione è scritta da Umberto Eco che paragona Mafalda a Charlie Brown di Charles M. Schulz. I due personaggi hanno la stessa età, ma il loro atteggiamento nei confronti del mondo è molto diverso.
Mafalda è tradotta anche in cinese. Non è mai stata pubblicata negli Stati Uniti.
Anche se Quino si è sempre opposto all'adattamento della striscia per il cinema o il teatro, Carlos Márquez ha prodotto un film d'animazione nel 1982, che però non ha molto successo.
Mafalda è tanto conosciuta in America Latina che le è stata dedicata una piazza di Buenos Aires.

La storia
Il nome del personaggio è ispirato a quello di una bambina di un romanzo di David Viñas, Dar la cara, pubblicato nel 1962 in Argentina. Mafalda nasce nel 1963 per promuovere una linea di elettrodomestici in una campagna pubblicitaria sul quotidiano Clarín. Ma all'ultimo momento non si raggiunge un accordo e la campagna è annullata. Alcuni anni dopo, degli amici di Quino collegano il nome della protagonista a quello della principessa Mafalda di Savoia, figlia del re d'Italia Vittorio Emanuele III.
Mafalda diventa un fumetto su suggerimento di Julián Delgado, a quel tempo editore del settimanale Primera Plana e amico intimo di Quino. La prima striscia compare sul settimanale il 29 settembre 1964. Due mesi dopo, il 9 marzo, la pubblicazione è sospesa per una controversia legale.
Il 15 marzo 1965, Mafalda appare quotidianamente sulle pagine del El Mundo di Buenos Aires, permettendo all'autore di seguire da vicino l'attualità. Alcune settimane dopo nascono i personaggi di Manolito, Susanita e di Felipe, mentre la mamma di Mafalda è incinta quando il giornale chiude, il 22 dicembre 1967.
Alla fine del 1966 sono pubblicate, in una raccolta, le vignette già uscite sui quotidiani. Senza bisogno di molta pubblicità le vendite hanno un successo inaspettato e in quindici giorni la prima edizione è esaurita. Nei dodici anni successivi in Spagna sono vendute cinque milioni di copie. La striscia viene distribuita in tutta l'America del sud.
Le pubblicazioni riprendono il 2 giugno 1968, nel settimanale Siete Días Illustrados. Dato che il fumetto deve essere preparato almeno due settimane prima della pubblicazione, Quino non riesce più a seguire l'attualità come aveva fatto in precedenza. Smette definitivamente di pubblicare la striscia il 25 giugno 1973.
Nel 1970 Mafalda è pubblicata in Spagna, in Portogallo e in Brasile dove compare su una rivista di pediatria e pedagogia. Sempre nello stesso anno, in Italia, Mafalda è pubblicata quotidianamente da Paese Sera, il primo di molti giornali che decideranno di pubblicare la striscia.
Nei due anni successivi il successo di Mafalda è mondiale. Nel frattempo Quino stipula un contratto per realizzare 260 animazioni a colori di 90 secondi l'una. I primi cartoni sono trasmessi in Argentina nel 1973.
Da allora, Quino disegna Mafalda pochissime altre volte e solo per attività connesse alla promozione dei diritti umani. Nel 1976 realizza un poster per l'UNICEF che illustra la Convenzione Internazionale sui Diritti dell'Infanzia.
Nel 1986 accetta di usare Mafalda nella campagna spagnola sulle prime elezioni dei consigli scolastici. Per questo progetto si riadattano dei vecchi disegni.
Nel 1987 Joan Manuel Serrat, cantautore catalano, chiede a Quino una striscia per il lancio del nuovo disco. Ma "per un equivoco tra un catalano e un andaluso", racconta Quino, la striscia arriva quando il disco è ormai in uscita.
Nel 1988 il Ministero per gli affari esteri argentino usa Mafalda per un manifesto che celebra la giornata universale dei diritti umani (10 dicembre) e il quinto anniversario della fine della dittatura.
Nel 1988 Quino realizza per l'Italia un manifesto sull'ecologia.

28 settembre, 2010

Palazzo Valentini l’accordo “Roma Provincia Eternit Free”


Palazzo Valentini l’accordo “Roma Provincia Eternit Free”

E' stato siglato a Palazzo Valentini l’accordo di programma “Roma Provincia Eternit Free”, sottoscritto dall’Assessore alle Politiche del Territorio e alla Tutela Ambientale della Provincia di Roma, Michele Civita, con Cristiana Avenali di Legambiente e l’Amministratore Delegato di AzzeroCO2 Mario Gamberale.

L'accordo consentirà di censire e sostituire 200 coperture di edifici industriali e capannoni agricoli in eternit con altrettanti tetti fotovoltaici per una potenza obiettivo installata pari a 20 MW.

"Si potranno risanare capannoni industriali e agricoli - ha detto Civita -producendo energia, sostituendo una sostanza altamente cancerogena grazie agli incentivi. Sarà un lavoro congiunto che partirà dal censimento delle strutture con l'eternit presenti nel territorio provinciale. Utilizzeremo lo sportello Energia per questa campagna".

La Provincia di Roma, nell'ambito delle specifiche attività istituzionali, persegue gli obiettivi di tutela e salvaguardia ambientale, di promozione della qualità ambientale e sviluppo sostenibile ed è impegnata, in particolare, ad attuare il percorso già avviato di Agenda 21 Locale e il relativo Piano di Azione Locale (PAL) con la realizzazione del progetto “Provincia di Kyoto”.

"È un accordo importante per eliminare tutto l'amianto presente nella provincia inserendo le energie rinnovabili, che sono il futuro per l'ambiente e per l'occupazione - ha affermato Avenali - ancora non c'è una consapevolezza di quanto sia l'amianto presente nel Lazio".

Nel territorio provinciale, come nel resto del Paese, sono ancora presenti coperture di edifici industriali e capannoni agricoli in eternit, particolarmente nocivo per la salute dell’uomo e per la qualità dell’aria a causa del rilascio di fibre di amianto nocive per l’apparato respiratorio.

La bonifica dei siti e lo smaltimento di amianto determina notevoli costi a carico delle pubbliche amministrazioni che sempre più spesso guardano con interesse ad incentivi per la messa in sicurezza dei siti contaminati.

L’installazione di impianti fotovoltaici sui tetti, unita alla rimozione delle coperture in eternit dei capannoni nella provincia di Roma, con un premio maggiorato del 5% su ricavi previsti dal Conto Energia, rappresenta una straordinaria occasione per eliminare allo stesso tempo una pericolosa fonte di inquinamento ambientale, valorizzando gli immobili industriali o agricoli e determinando benefici notevoli per il raggiungimento degli obiettivi strategici dell'amministrazione provinciale, impegnata sul fronte della riduzione di gas serra in linea con gli obiettivi del protocollo di Kyoto.

Le aziende del territorio della Provincia, infatti, potranno alternativamente ricevere un supporto qualificato per investire risorse proprie nella realizzazione di un impianto fotovoltaico oppure beneficiare gratuitamente della bonifica del proprio capannone, cedendo il diritto di superficie della copertura ad AzzeroCO2.

PROMEMORIA 28 settembre 1943 - Insurrezione popolare di Napoli


Insurrezione popolare di Napoli
Con il nome di quattro giornate di Napoli (27-30 settembre 1943) si indica comunemente un episodio storico di insurrezione popolare avvenuto nel corso della Seconda guerra mondiale, tramite il quale civili, con l'apporto di militari fedeli al cosiddetto Regno del Sud, riuscì a liberare la città di Napoli dall'occupazione delle forze armate tedesche, coadiuvate da fascisti fedeli al neonato Stato Nazionale Repubblicano.
L'avvenimento, che valse alla città di Napoli il conferimento della Medaglia d'Oro al Valor Militare, consentì alle forze alleate di trovare al loro arrivo, il 1 ottobre 1943, una città già libera dall'occupazione nazista, grazie al coraggio e all'eroismo dei suoi abitanti, ormai esasperati ed allo stremo per i lunghi anni di guerra. Napoli fu la prima, tra le grandi città europee, ad insorgere con successo contro l'occupazione nazista
l 28 settembre, andando ad aumentare con il passare delle ore il numero dei cittadini napoletani che si univano ai primi combattenti, gli scontri si intensificarono; nel quartiere Materdei una pattuglia tedesca, rifugiatasi in un'abitazione civile, fu circondata e tenuta sotto assedio per ore, sino all'arrivo dei rinforzi: alla fine 3 Napoletani persero la vita.
A Porta Capuana un gruppo di 40 uomini si insediò, con fucili e mitragliatori, in una sorta di posto di blocco, uccidendo 6 soldati nemici e catturandone altri 4, mentre combattimenti si avviarono in altri punti della città come al Maschio Angioino, al Vasto e a Monteoliveto.
I tedeschi procedettero ad altre retate, questa volta al Vomero, ammassando numerosi prigionieri all'interno del Campo Sportivo del Littorio, cosa che scatenò la reazione degli uomini di Enzo Stimolo, che diedero l'assalto al campo sportivo, determinando, dopo aver dovuto fronteggiare un'iniziale reazione armata, la liberazione dei prigionieri, il giorno successivo.

27 settembre, 2010

Torna la manifestazione "Aspettando il Festival". Sergio Rubini incontra gli studenti dei Castelli Romani


Torna la manifestazione "Aspettando il Festival". Sergio Rubini incontra gli studenti dei Castelli Romani

In attesa del Festival Internazionale del Film di Roma (28 ottobre – 5 novembre 2010) torna “Aspettando il Festival”, la manifestazione, che porta il Cinema nelle scuole.

Lunedì 27 settembre, alle ore 12, l’iniziativa ospita l’attore e regista Sergio Rubini, che incontra gli studenti della provincia romana per rispondere alle loro domande e alle loro curiosità presso la Sala Maestra di Palazzo Chigi, ad Ariccia, la stessa sala in cui nel 1963 è stata girata la scena della festa da ballo del film “Il gattopardo” di Luchino Visconti.

Sergio Rubini farà vedere agli studenti dei castelli romani il film “La stanza del Vescovo”, tratto dal romanzo del 1976 di Piero Chiara, con Ugo Tognazzi, Ornella Muti e Patrick Deweare e diretto da Dino Risi.

In occasione del ventesimo anniversario della scomparsa di Ugo Tognazzi, Rubini ha scelto questa pellicola in sintonia con il Festival Internazionale del Film di Roma che rende omaggio all’attore.

Alla proiezione del film fa seguito un dibattito coordinato dalla giornalista Cristiana Paternò. Intervengono l'Assessore alle Politiche della Scuola, Paola Rita Stella e il Sindaco di Ariccia, Emilio Cianfanelli.

“Aspettando il Festival” è un’iniziativa “Alice nella città” (la selezione “ragazzi” del Festival Internazionale del Film di Roma), in collaborazione con la Fondazione Cinema per Roma, che produce il Festival, e la Provincia di Roma-Progetto ABC Arte Bellezza Cultura, un progetto fortemente voluto dal Presidente Nicola Zingaretti per la valorizzazione delle eccellenze artistiche e culturali del territorio di propria competenza amministrativa.

Giunta alla sua quarta edizione, “Aspettando il Festival” ha già coinvolto negli anni diversi insegnanti d’eccezione, come Jodie Foster, Giovanni Veronesi, Sergio Castellitto, Valeria Solarino, Claudia Gerini, Luisa Ranieri, Riccardo Scamarcio, Claudio Santamaria, Carolina Crescentini, Valerio Mastandrea, Nicolas Vaporidis, Luca Argentero, Valeria Golino, Isabella Ragonese, Cristiana Capotondi e Michele Rondino.

Sergio Rubini, regista e interprete
Grande appassionato di teatro, lavora con importanti registi quali Antonio Calenda, Gabriele Lavia, Enzo Siciliano ed Ennio Coltorti.
La sua esperienza nel cinema subisce una svolta nel 1989, anno in cui incontra l’autore e sceneggiatore Umberto Marino, con cui inizierà un lungo e fecondo sodalizio artistico.
Nel 1990 esordisce come regista con “La stazione” film tratto da un’opera teatrale proprio di Marino. Artista poliedrico, ad oggi Rubini è senz’altro uno degli attori e registi più interessanti del panorama italiano.

“La stanza del Vescovo”
Marco Maffei, trascorre il tempo navigando senza meta sul Lago Maggiore, viene avvicinato dallo stravagante Temistocle Mario Orimbelli che lo invita nella propria villa dove gli presenta la moglie Cleofe e la cognata Matilde. Marco, che ha diverse amichette, fa qualche gita con l'invadente Orimbelli e pur essendosi accorto di un crescente affetto di Matilde, parte con lei e Mario al quale la cede, convinto che siano amanti. Mentre risiedono in un albergo, vengono avvisati che Cleofe è stata trovata annegata. La ricomparsa del fratello di Cleofe e marito di Matilde, dato per disperso, ed i ripensamenti di Marco inducono il giudice a riaprire il caso e a provare l'assassinio compiuto da Temistocle. Questi si impicca e Maffei, passata la notte con Matilde, la abbandona.

Per i giornalisti interessati, una navetta partirà dall’Auditorium Parco della Musica, V.le De Coubertin, 10, Lunedì 27 settembre, alle ore 10.
Per conferma chiamare i numeri: 06.40401913 - 06.40401916

PROMEMORIA 27 settembre 2003 A Roma, in collaborazione con il comune di Parigi, si tiene la I edizione della Notte Bianca


A Roma, in collaborazione con il comune di Parigi, si tiene la I edizione della Notte Bianca
La notte bianca è un'iniziativa di alcune grandi città del mondo che consiste nell'organizzazione di varie iniziative culturali o di intrattenimento durante tutta una nottata. Spesso questa è accompagnata da un servizio straordinario dei mezzi pubblici, all'organizzazione di spettacoli vari, all'apertura prolungata di negozi e di musei.

Storia
La prima iniziativa del genere fu creata a Berlino nel 1997, ma la prima "Notte Bianca" è del 5/6 ottobre 2002 a Parigi ed è stata replicata ogni anno da allora la prima notte fra sabato e domenica di ottobre. La notte bianca parigina è gemellata con quella romana, di un anno più giovane, che si tiene nello stesso periodo, verso la metà di settembre. La principale differenza delle Notti bianche parigine e quelle romane e italiane in genere è che a Parigi sono dedicate essenzialmente all'arte contemporanea, con installazioni all'aperto e mostre in luoghi insoliti.

In Italia
La prima notte bianca di Roma (e d'Italia) si è svolta nel 2003. Nel 2004 l'evento trova la sua vera consacrazione[senza fonte], raggiungendo 1,5 milioni di presenze. Un record ben documentato dal film a più mani Notte Bianca, tutto in una notte, girato interamente nella notte, dal tramonto all'alba, da 4 registi italiani.

Anche in altre città italiane si sono tenute altre iniziative simili, si ricorda in particolare la notte bianca di Napoli, svoltasi per la prima volta la notte tra il 29 e il 30 ottobre del 2005, con numerosi concerti (Claudio Baglioni, Pino Daniele, 99 Posse, Almamegretta, Stadio) e numerosi eventi teatrali e culturali che furono capaci di attirare ben due milioni di persone (il doppio dei residenti della città stessa), e la notte bianca di Reggio Calabria, svoltasi per la prima volta la notte tra il 10 e l'11 settembre del 2005, con numerosi concerti (Irene Grandi, il dj Claudio Coccoluto), festival medioevali, numerosi eventi teatrali e culturali. Anche Sanremo nel 2005 ha vissuto la sua prima notte bianca, il 17 settembre, con numerosi spettacoli musicali e teatrali, negozi aperti, vetrine illuminate.
Nell'inverno 2006 tre notti bianche si sono tenute a Torino, due in occasione dei XX Giochi olimpici invernali e un'altra in occasione dei IX Giochi Paralimpici Invernali.
Questo evento è sbarcato a Genova per la prima volta il 15 settembre 2007, la esibizione di maggior spicco della serata è stata l 'esibizione di Tiziano Ferro.
Dall'autunno del 2004 a Vicenza si svolge Vicenza By Night, la notte bianca di Vicenza, in concomitanza con la manifestazione "CioccolandoVi", un weekend dedicato al cioccolato con bancarelle in tutto il centro della città.

Problematiche
Una legge contro l'inquinamento acustico fissa una soglia in 35 decibel per il rumore per la notte, più stringente di quella consentita nelle ore diurne (55 Db). Tale soglia scatta dopo le ore 24.00 e vale tutto l'anno e di fatto vieta dopo la mezzanotte feste, notti bianche, e manifestazioni simili che finiscono per superare i valori soglia. Su lamentela e segnalazione di un singolo cittadino, Polizia municipale e Carabinieri sono tenuti ad applicare le sanzioni per disturbo della quiete pubblica e schiamazzi notturni, nonostante i permessi del sindaco del comune locale, sui quali prevale la normativa nazionale. Le sanzioni prevedono multa di alcune migliaia di euro per gli autori dello schiamazzo, denuncia, fino al ritiro della licenza commerciale con chiusura dell'attività.

Nuovi sviluppi
Dal 2006 alcune capitali europee (Bruxelles, Madrid, Parigi, Riga e Roma) si sono associate in una rete di progetti chiamata Notti Bianche d'Europa, redigendo una carta d'intenti e pianificando insieme alcuni progetti d'interesse comune.

26 settembre, 2010

PROMEMORIA 26 settembre 1969 - L'album dei Beatles, Abbey Road viene pubblicato nel Regno Unito.


L'album dei Beatles, Abbey Road viene pubblicato nel Regno Unito.
Abbey Road si può definire l'ultimo album in studio inciso dai Beatles; il successivo Let It Be (pubblicato nel maggio del 1970) contiene infatti brani registrati in precedenza (fra il dicembre 1968 e il gennaio 1969) ed è in gran parte una registrazione live (seppure di brani inediti e con ampie rielaborazioni in studio).

Abbey Road ha una struttura unica nella discografia beatlesiana. Il lato B, infatti, è costituito quasi interamente da un lunghissimo medley in cui ballate e brani rock and roll si susseguono senza soluzione di continuità, con temi ripresi e variazioni, fino a un imponente crescendo finale. Questa formula anticipa le suite che caratterizzeranno gran parte della produzione rock degli anni settanta. Fra i temi che si susseguono ce ne sono molti divenuti celebri, da She Came In Through the Bathroom Window a Golden Slumbers, fino al celebre finale, in cui il potente crescendo introdotto da Carry That Weight si risolve all'improvviso nella delicata melodia di The End, una canzone di una sola strofa: "and in the end the love you take is equal to the love you make".
Fra gli altri brani celebri, sul lato A spicca Come Together di Lennon (destinata a diventare uno dei suoi cavalli di battaglia nei concerti come solista) e Something, che assieme a Here Comes the Sun è la più celebre canzone di George Harrison. Octopus's Garden fu la seconda e ultima composizione di Ringo Starr nei Beatles.

È decisamente un album importante e il suo altissimo livello ha quasi del miracoloso[2]: i quattro musicisti erano allora impegnati, a parte forse McCartney, nelle loro personali avventure e disavventure soliste (pensiamo solo all'eroina per Lennon), e partecipavano solo raramente alle registrazioni, e quasi mai tutti insieme. Poteva uscirne un album stanco, raffazzonato, slegato al suo interno (come capiterà al successivo Let It Be), e invece siamo di fronte ad una vera pietra miliare, non solo per i Beatles ma per l'intera musica pop.
I motivi di questa eccellenza sono vari: la raggiunta maturità compositiva di Harrison, l'idea assolutamente rivoluzionaria per i tempi (e forse tuttora) del medley nel secondo lato, l'incipit fulminante della lennoniana Come Together e la soave The End di McCartney nel finale, la celebre copertina, l'uso accorto del Moog che non scade mai in abuso, lo sberleffo della ghost track Her Majesty, l'evoluzione tecnica di Ringo Starr, l'eccellente ricamo compiuto dagli archi. Tutto contribuisce a dare una sensazione di armonia e compattezza che spiegano come questo resti ancora oggi uno degli album più venduti del quartetto, un autentico longseller. Per Rolling Stone è il 14° album più importante di tutti i tempi.

La storia dell'album
Il Rooftop Concert e l'abbandono del progetto Get Back [modifica]
Per comprendere bene Abbey Road è necessario fare un salto nel passato. Il 30 gennaio 1969 i Beatles suonarono per l'utima volta dal vivo, in quello che passerà alla storia come il Rooftop Concert. Il giorno dopo gli ormai ex-Fab Four si trovarono in sala d'incisione per registrare i video delle ultime tre canzoni che avrebbero dovuto completare l'album Get Back e fissarono per il 3 febbraio la riunione d'affari della Apple, la loro società. Quella sera segnarono la fine della loro carriere di gruppo, spaccandosi: da una parte Harrison, Lennon e Starr volevano assumere il manager degli Stones Allen Klein per rimettere in sesto la disastrata Apple, e dall'altra McCartney che invece voleva affidarne la gestione allo studio legale Lee Eastman Inc. La discussione, durata fino a tarda notte, non portò da nessuna parte. Quando i tre se ne andarono, lasciando McCartney da solo nella sala riunioni, si raggiunse l'apice di quella che Lennon definì la "morte lenta", iniziata con il decesso del manager della band Brian Epstein nell'estate del 1967.

Il faticoso inizio del progetto Abbey Road
Con la certezza che ormai la calma era tornata, Paul riunì i Beatles ad Abbey Road sotto l'attento controllo di George Martin per il 26 aprile. L'obiettivo era di registrare un numero di brani sufficienti per coprire almeno una facciata entro giugno, mese che Lennon aveva richiesto di vacanza per la sua campagna pacifista in compagnia della moglie Yoko Ono. Il più impegnato nel progetto era ovviamente McCartney, al punto che per una settimana prima dalla data di inizio registrazioni si presentò ad Abbey Road per provare la giusta perfomance vocale di Oh! Darling. Il risultato è ovviamente incredibile, la migliore interpretazione del bassista negli album dei Beatles e forse dell'intera carriera. Per la verità Harrison si teneva piuttosto distante dal progetto e le assenze di Lennon non erano affatto diminuite. Arrivò l'estate e le uniche canzoni registrare erano, oltre alla già citata Oh! Darling, la scherzosa Octopus's Garden di Ringo e la bellissima You Never Give Me Your Money, ballata dolente composta da McCartney traendo spunto dalla discussione del 3 febbraio. Nei primi giorni di giugno la EMI, desiderosa di calmare i fan che non comprendevano perché le canzoni eseguite sulla terrazza non fossero ancora in vendita, fece uscire come singolo The Ballad of John and Yoko, Lennon iniziò i suoi bed-in di pace assieme alla moglie e registrò Give Peace a Chance, che porta anche la firma di McCartney, come per sdebitarsi del lavoro svolto dall'ormai ex partner per The Ballad of John and Yoko.

Il nome dell'album
L'appuntamento coi Beatles fu fissato il 2 luglio. L'album, ancora privo di nome, non aveva nemmeno una scaletta. Paul accarezzò l'idea di rispolverare i vecchi demo di Get Back, dargli una ripulita ed aggiungere qualcuno dei nuovi brani. Invece pian piano il progetto decollò: furono incise in una settimana nell'ordine Her Majesty, Golden Slumbers, Carry That Weight, Here Comes the Sun e Maxwell's Silver Hammer. Si ripartì poi alla fine di luglio e vennero snocciolate Come Together, The End, Sun King, Mean Mr Mustard, Polythene Pam, She Came In Through the Bathroom Window. Arrivò agosto, fu registrato l'ultimo pezzo, Because.
Ora bisognava dare un titolo ed una copertina all'album: Neil Aspinall, uno dei roadie, suggerì "Everest" (la marca di sigarette che fumava all'epoca il tecnico del suono dei Beatles Geoff Emerick), ma l'idea di volare in Tibet per scattare la fotografia non trovò consensi. Quasi per caso, qualcuno suggerì "Abbey Road". L'8 agosto i Beatles attraversarono le strisce pedonali poste davanti agli studi di registrazione, e la celebre copertina dell'album che immortalò la scena fornirà ai sostenitori della leggenda della morte di Paul McCartney diversi elementi a sostegno della loro tesi. Curiosamente tale data coincide con la strage di Bel Air in cui in quella notte dell'8 agosto fu massacrata l'attrice Sharon Tate dai seguaci della setta di Charles Manson di cui lui stesso ammise l'ispirazione della canzone dei Beatles Helter Skelter (tratta dal White Album) per quella insana azione demoniaca. Anche un'altra canzone scritta da Harrison – Piggies – fu ispiratrice di quel massacro dato che gli assassini scrissero con il sangue delle vittime la parola PIGGIES sulla porta della villa di Bel Air. E anche Abbey Road – come era avvenuto precedentemente con Magical Mystery Tour e il White Album – richiamò le ossessioni maniacali di Manson. Il 25 novembre 1969, durante una perquisizione del ranch che costituiva il rifugio del criminale e della sua “famiglia”, fu scoperto e asportato dalla polizia il pannello di un armadietto dove si leggeva “1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, all good children go to Heaven”[3]. Si tratta dei versi di chiusura di You Never Give Me Your Money, primo brano del Medley che copre il lato B del disco.
Tutto il mese di agosto fu dedicato ai missaggi e ai vari lavori di editing. Nessuno sapeva che era l'ultimo album, tranne i Beatles e le persone a loro vicine.
Gli attriti [modifica]
Vi furono accese discussioni riguardo la composizione dell'album: in parecchi nella EMI spingevano affinché si creasse un greatest hit tra l'abortita Get Back (verrà rispolverata l'anno dopo con il titolo di Let It Be e coi Beatles già sciolti) e il nuovo album, ma per una volta McCartney e Lennon erano d'accordo e furono irremovibili. L'armonia tra i due tuttavia durò poco; al momento della stesura della scaletta ci fu un accordo coatto: Lennon avrebbe deciso l'ordine dei brani e McCartney poté inserire quello che diventerà il long medley, cioè la successione senza pausa di You Never Give Me Your Money/Sun King/Mean Mr Mustard/Polythene Pam/She Came In Through the Bathroom Window/Golden Slumbers/Carry That Weight/The End. A pochi giorni dalla pubblicazione tuttavia Paul riuscì a convincere George Martin ad invertire l'ordine scelto da John (l'album avrebbe dovuto aprirsi con Here Comes the Sun e chiudersi con I Want You) e Abbey Road fu pubblicato con la scaletta definitiva, compresa l'involontaria ghost track Her Majesty alla fine di The End. Il 25 settembre Lennon entrò negli studi londinesi per urlare la sua assuefazione all'eroina in Cold Turkey, il suo primo singolo da solista; il giorno dopo Abbey Road uscì nei negozi di dischi del Regno Unito. E dal quel giorno i Beatles non esistono più.

La copertina
Quella di Abbey Road è una copertina delle più celebri e citate della storia della musica pop. È l'unica copertina di un disco dei Beatles dove non compaiono né il titolo, né il nome del gruppo. Vi compaiono i Beatles intenti ad attraversare un passaggio pedonale di Abbey Road, la via di Londra dove si affacciano gli Abbey Road Studios, nei quali i Beatles incisero per l'intera carriera. Il popolarissimo ritratto fotografico è opera di Iain McMillan, che verso mezzogiorno dell'8 agosto 1969, in bilico su una scala in mezzo alla strada, con la sua Hasselblad professionale immortalò i Beatles che andavano avanti e indietro lungo le strisce pedonali. Delle sei pose scattate la scelta cadde sulla quinta: in primo luogo perché era l'unica in cui i quattro erano ben allineati, e poi perché, considerata la fase della loro carriera, li rappresentava in marcia da sinistra a destra, cioè come se andassero via dagli studi di registrazione della EMI – il cui ingresso si trova sul marciapiede di sinistra[4].
Diversi elementi in questa foto contribuirono ad alimentare la leggenda della morte di Paul McCartney: Paul, terzo a seguire nella fila, è l'unico scalzo ad attraversare la strada (nel Regno Unito i morti vengono sepolti scalzi) e fuori passo; in testa al gruppo c'è John Lennon che dovrebbe rappresentare il gran sacerdote, ministro del culto, a seguire Ringo Starr completamente vestito di nero (da impresario delle onoranze funebri) e in ultimo George Harrison vestito tutto in jeans, come un becchino[5]; la targa LMW 281F (letta 28IF) del maggiolino parcheggiato sulla sinistra indicherebbe l'età di Paul se fosse stato in vita all'epoca dell'uscita del disco[6] (la cosa è chiaramante falsa, visto che all'epoca della celebre fotografia, scattata l'8 agosto 1969, Paul aveva 27 anni, essendo nato il 18 giugno 1942); LMW viene interpretato come "Linda McCartney Widow" (Linda McCartney vedova) oppure "Linda McCartney Weeps" (Linda McCartney piange)[7]; il fatto che Paul, mancino, tiene una sigaretta nella mano destra. Sul lato opposto un grosso furgone nero parcheggiato ricorda un "Black Maria", di quelli utilizzati dalla Polizia mortuaria negli incidenti stradali.
I riferimenti a questa celebre copertina in opere di altri artisti sono numerosissime. I Red Hot Chili Peppers hanno realizzato un album dal titolo The Abbey Road E.P., la cui copertina riprende i membri del gruppo intenti ad attraversare lo stesso passaggio pedonale e completamente nudi (a eccezione di un singolo calzino per ciascuno, indossato in modo strategico). Altre parodie di questa immagine si trovano in The Rutles di Eric Idle, in Shabbey Road di Bob and Tom. Nella sigla iniziale della serie televisiva Grumpy Old Men del 2006, Rick Wakeman, Tim Rice, Rory McGrath e Arthur Smith stanno attraversando il passaggio di Abbey Road quando vengono investiti da un automobilista che parla al cellulare mentre guida.
Lo stesso McCartney, con riferimento alla leggenda della sua morte, riprese l'immagine nella copertina del suo album dal vivo Paul Is Live e alla fine del video del brano Spies Like Us.
Il passaggio pedonale ripreso da quella celebre foto è oggi una vera e propria attrazione turistica, con decine di visitatori che ogni giorno si mettono in posa per una foto ricordo. La targa stradale Abbey Road è la più rubata del Regno Unito.

25 settembre, 2010

Il Presidente Zingaretti presenta a Barcellona l'incubatore di lavoro "Porta Futuro"


Il Presidente Zingaretti presenta a Barcellona l'incubatore di lavoro "Porta Futuro"

Entro il mese di maggio 2011, negli spazi del Nuovo Mercato Testaccio, nascerà “Porta Futuro”, un incubatore creato dalla Provincia di Roma per favorire la formazione professionale e l' accesso al mondo del lavoro.

Millecinquecento metri quadrati di spazio, aperto al pubblico dalla mattina fino alle 22, nei quali saranno erogati servizi per individuare i percorsi formativi e di orientamento al lavoro più appropriati per ogni persona che si rivolgerà alla struttura.

Il presidente della Provincia di Roma ha presentato questo progetto ieri a Barcellona, nella sede di Porta 22, l'incubatore spagnolo che ha ispirato Porta Futuro.

L’esperienza del capoluogo della Catalogna è partita nel 2003 ed oggi si fa forte di sessantaseimila utenti e una media di quindicimila persone che frequentano i corsi di formazione.

Il punto di forza di Porta 22 è un software che verrà esportato anche nello spazio allestito dalla Provincia a Testaccio, che contiene una serie di applicazioni in grado di individuare i percorsi formativi migliori a seconda dei singoli profili professionali inseriti e fornisce informazioni utili per mettere in contatto domanda ed offerta di lavoro.

"Attualmente - ha detto Zingaretti - se un ragazzo a Roma vuole scegliere un liceo piuttosto che un altro, oppure capire qual è il percorso universitario più appropriato per trovare uno sbocco lavorativo o diventa pazzo o non lo ci riesce, perché deve correre dietro a mille fonti di informazione. Prendendo come esempio l’esperienza straordinaria di Porta 22, vogliamo creare un grande luogo nel quale i ragazzi, ma anche coloro che sono stati espulsi dal mondo del lavoro possa trovare risposte rispetto a quelle che sono le loro esigenze e le loro attitudini".

Fornire un servizio pubblico di eccellenza che contribuisca ad accrescere la competitività della Capitale: questo uno dei principio che stanno guidando la realizzazione di Porta Futuro.

"Purtroppo in Italia - ha sottolineato il presidente Zingaretti - c'è il vizio della raccomandazione: noi invece proponiamo un modo trasparente e pubblico per arrivare a trovare un lavoro".

C’è anche un tocco di romanità nell' esperienza spagnola di Porta 22: Lorenzo Di Pietro, il responsabile del progetto, che fa capo all' agenzia municipale Barcelona Activa, è cresciuto a Santa Maria Maggiore.

Trasferitosi in Catalogna nel 1999 è partito come stagista per poi diventare uno dei principali ideatori dell’incubatore di Barcellona. La sua avventura ha preso ispirazione dall’esperienza degli atelier del lavoro francesi per poi dare vita al progetto di Porta 22.

A Porta Futuro invece la Provincia di Roma trasferirà le attività della società Capitale Lavoro, aprirà un centro per l’impiego e proporrà un pacchetto di servizi che vanno dai corsi di formazione, per studenti e per persone che necessitano di percorsi di reinserimento nel mondo del lavoro, all'orientamento agli studi. Ci si potrà recare nelle sale in corso di allestimento a Testaccio per dialogare con il software elettronico, usare le 25 postazioni multimediali, anche per imparare a compilare un curriculum e scoprire il modo migliore di presentarsi ad un colloquio di lavoro.

"Uno dei pilastri della competitività di un territorio è la sua ricchezza di infrastrutture materiali – ha spiegato ancora Zingaretti - per rilanciare l’economia del nostro territorio e disegnarne la modernizzazione ora è il momento di puntare anche sulla qualità dei servizi immateriali".

L’investimento dell’Amministrazione provinciale di Roma per dare vita all’incubatore è di circa 800mila euro, legati in parte alla fase di start-up, che si conta di ammortizzare nel corso degli anni di attività.

PROMEMORIA 25 settembre 2005 Ferrara: il diciottenne Federico Aldrovandi muore pochi minuti dopo essere stato fermato dalla polizia.


Ferrara: il diciottenne Federico Aldrovandi muore pochi minuti dopo essere stato fermato dalla polizia nei pressi dell'ippodromo; sono indagati per la sua morte quattro poliziotti: dovranno rispondere di omicidio colposo per avere cagionato o comunque concorso a cagionare il decesso di Federico omettendo di prestare le prime cure.
Il 5 marzo 2010 tre poliziotti sono stati condannati nel processo Aldrovandi bis sui presunti depistaggi nelle indagini; un quarto è stato rinviato a giudizio. La decisione sui depistaggi conferma l'ipotesi accusatoria dell'intralcio alle indagini fin dal primo momento.
Il caso Aldrovandi è la vicenda giudiziaria e di cronaca che ruota intorno all'omicidio dello studente ferrarese di 18 anni Federico Aldrovandi.
I fatti
La notte del 25 settembre 2005, dopo una chiamata al 113 di una signora spaventata segnalava la presenza di un ragazzo «che sbatteva dappertutto», presso l'ippodromo di Ferrara, una pattuglia della polizia interveniva a fermare il giovane Aldrovandi.
Secondo il rapporto della Questura, all'arrivo della volante “Alfa 3”, vi fu una colluttazione tra il ragazzo ed i quattro agenti (tre uomini ed una donna), che dovettero procedere alla sua immobilizzazione. Dopo l'arrivo di una ulteriore volante, l'Alfa 2, alle 6.04 la prima pattuglia richiedeva alla propria centrale operativa l'invio di un'ambulanza del 118, per un sopraggiunto malore. Secondo i tabulati dell'intervento, alle 6.10 arrivò la chiamata da parte del 113 a Ferrara Soccorso, che inviò sul posto un'autoambulanza ed un'automedica, giunte sul posto rispettivamente alle 6.15 ed alle 6.18.
All'arrivo sul posto il personale del 118 trovava il paziente “riverso a terra, prono con le mani ammanettate dietro la schiena (...) era incosciente e non rispondeva”. L'intervento si concluse, dopo numerosi tentativi di rianimazione cardiopolmonare, con la constatazione sul posto della morte del giovane, per “arresto cardio-respiratorio e trauma cranico-facciale”.

I dubbi della famiglia
La famiglia venne avvertita solamente alle 11 del mattino, quasi cinque ore dopo la constatazione del decesso. I genitori, di fronte alle numerose lesioni ed ecchimosi presenti sul corpo del ragazzo, ritennero poco credibile la morte per un malore.
Il 2 gennaio 2006 la madre di Federico aprì un blog su internet, chiedendo che venisse fatta luce su alcuni contorni oscuri di tutta la vicenda. Questo causò un'accelerazione delle indagini, peraltro già in corso.
Il 20 febbraio 2006 vennero depositati i risultati della perizia medico legale disposta dal Pubblico Ministero, secondo la quale “la causa e le modalità della morte di A. risiedono in una insufficienza miocardica contrattile acuta (...) conseguente all'assunzione di eroina, ketamina ed alcool”.
Secondo un'indagine medico–legale, depositata il 28 febbraio dai periti della famiglia, dall'esame autoptico la causa ultima di morte sarebbe stata “un'anossia posturale”, dovuta al caricamento sulla schiena di uno o più poliziotti durante l'immobilizzazione. Per quanto riguarda l'assunzione di droghe, la quantità di sostanze tossiche assunte dal giovane era la medesima rilevata dai periti della Procura, ma assolutamente non sufficiente a causare l'arresto respiratorio: in particolare l'alcool (0,4 g/L) era inferiore ai limiti fissati dal Codice della Strada per guidare, la ketamina era 175 volte inferiore alla dose letale, e l'eroina assunta non poteva essere significativa, stante lo stato di agitazione imputato ad Aldrovandi[4]. Inoltre sia la perizia che i risultati delle indagini avrebbero evidenziato un contesto di gravi violenze subite dal giovane durante tutto l'intervento della pattuglia[senza fonte].
Nel frattempo la notorietà della storia aumentava sempre di più, grazie alla mobilitazione di associazioni, comitati, scuole, del Consiglio comunale di Ferrara, arrivando fino alla partecipazione a trasmissioni televisive nazionali.

Apertura dell'inchiesta
Il 15 marzo 2006 arrivò la notizia dell'iscrizione nel registro degli indagati dei quattro agenti che avevano proceduto all'arresto di Aldrovandi, per omicidio colposo. L'avviso di garanzia venne notificato loro il 6 aprile. Il 16 giugno si tenne il primo incidente probatorio, di fronte al Giudice per le indagini preliminari, fra la famiglia della vittima, i quattro imputati ed una testimone oculare dell'accaduto, che confermò le violenze e la compressione fisica esercitata su Federico. Emersero tra le altre una lunga escoriazione alla natica sinistra, segno di trascinamento sull'asfalto, ed un importante schiacciamento dei testicoli. Nel frattempo venne disposta una perizia super-partes, con un incarico affidato all'Istituto di medicina legale di Torino.
Dalle indagini nel frattempo emergevano vari elementi incoerenti, come il fatto che il PM non fosse andato a compiere un sopralluogo sulla scena del decesso; che non fosse stata sequestrata l'automobile su cui, a detta degli agenti, si sarebbe ferito Aldrovandi; che non fossero stati sequestrati i manganelli, di cui due rotti, come confermato dall'on. Carlo Giovanardi in corso di interrogazione parlamentare[6]; ed infine che il nastro contenente le comunicazioni fra il 113 e la pattuglia fosse stato messo a disposizione della Procura soltanto molto tempo dopo. Per questi motivi venne aperta una seconda inchiesta presso la Procura di Ferrara, per vari reati, tra cui falso, omissione e mancata trasmissione di atti.
L'11 novembre venne depositata la perizia eseguita a Torino, in cui veniva escluso categoricamente un nesso fra la morte e le sostanze psicotrope assunte da Aldrovandi, e secondo la quale la causa del decesso era una morte improvvisa per insufficienza funzionale cardio-respiratoria, definita dagli autori anglosassoni come "excited delirium syndrome". Dalla discussione delle perizia, avvenuta il 14 dicembre successivo, emerse un ruolo attivo delle persone che erano con Aldrovandi.
Il processo

Il 10 gennaio 2007 venivano formalmente rinviati a giudizio, per omicidio colposo, gli agenti Paolo Forlani, Monica Segatto, Enzo Pontani e Luca Pollastri, per aver ecceduto i limiti dell'adempimento di un dovere, per aver procrastinato la violenza anche dopo aver vinto la resistenza del giovane, e per aver ritardato l'intervento dell'ambulanza. Dopo le procedure di istruzione del processo, la prima udienza venne fissata per l'ottobre 2007. All'inizio di febbraio 2008 viene mostrato un filmato di dieci minuti, girato dalla polizia scientifica sul luogo dell'evento, dopo la partenza dell'ambulanza e prima dell'arrivo del medico legale, in cui gli agenti presenti sul posto scambiano considerazioni sull'accaduto. Nel video emergerebbero preoccupanti divergenze con le foto scattate dal medico legale[7].
Il 26 giugno, per la prima volta, vengono interrogati durante il processo i quattro imputati, i quali si dichiarano stupiti della morte della vittima, che "stava benissimo" prima dell'arrivo dei sanitari, mentre la registrazione della Centrale operativa riporta chiaramente: "... l'abbiamo bastonato di brutto. Adesso è svenuto, non so... È mezzo morto". Ancora, gli agenti raccontarono che i due sfollagente si sarebbero rotti per un calcio di Aldrovandi, e per una caduta accidentale di un poliziotto. Sempre secondo la deposizione, l'ambulanza fu chiamata immediatamente, mentre non fu utilizzato il defibrillatore automatico di cui era dotata la volante poiché Aldrovandi non aveva "mai dato segni di sofferenza".

Ulteriori perizie
Il 10 ottobre i periti della difesa fornirono una versione opposta alle perizie di parte civile, ribadendo la rilevanza delle sostanze assunte dal giovane, in quantità sufficienti a causarne la morte, ed escludendo che la colluttazione o il mantenimento della posizione prona abbiano "avuto effetto nel processo che ha portato alla morte del ragazzo". Sommando gli effetti analgesici delle droghe si sarebbe compreso come il ragazzo avesse potuto ferirsi ripetutamente senza sentire dolore. L'agitazione psicomotoria "intensissima (...) ha innescato un meccanismo che ha portato a perdere il controllo del cervello e quindi a non rendersi conto del fabbisogno di ossigeno che il suo organismo richiedeva", cosa che sarebbe dipesa "dall'assunzione delle droghe, indipendentemente dalle quantità ingerite". Nemmeno il mettere la vittima in posizione seduta, conclusero i periti, le avrebbe salvato la vita, in assenza di una specifica terapia d'urgenza.
Secondo una nuova perizia di parte civile del 6 novembre, venne invece riportato che nel cuore, "fra cuspide aortica non coronarica e coronarica destra, si osserva un cospicuo ematoma" di "origine traumatica", causa evidente della insufficienza respiratoria. Il 9 gennaio 2009 il perito di parte venne sentito in udienza, il quale concluse affermando la morte per causa violenta di Aldrovandi.

Sentenze
Il 19 giugno 2009, il pubblico ministero titolare del caso ha pronunciato una requisitoria in cui ha chiesto 3 anni e 8 mesi per Monica Segatto, Paolo Forlani, Enzo Pontani e Luca Pollastri, i poliziotti implicati.
Il 6 luglio 2009 il tribunale di Ferrara, giudice Francesco Maria Caruso, ha condannato a tre anni e sei mesi i quattro poliziotti accusati di eccesso colposo nell'omicidio colposo di Aldrovandi. I quattro condannati, grazie all'indulto varato nel 2006, non sconteranno la loro pena.
Il 5 marzo 2010 tre poliziotti sono stati condannati nel processo Aldrovandi bis sui presunti depistaggi nelle indagini; un quarto è stato rinviato a giudizio. La decisione sui depistaggi conferma l'ipotesi accusatoria dell'intralcio alle indagini fin dal primo momento. Le condanne sono state per:
Paolo Marino, dirigente dell'Upg all'epoca, a un anno di reclusione per omissione di atti d'ufficio, per aver indotto in errore il pm di turno, non facendola intervenire sul posto.
Marcello Bulgarelli, responsabile della centrale operativa, a dieci mesi per omissione e favoreggiamento.
Marco Pirani, ispettore di polizia giudiziaria, a otto mesi per non aver trasmesso, se non dopo diversi mesi, il brogliaccio degli interventi di quella mattina.
Luca Casoni, il quarto poliziotto coinvolto, che non ha scelto il rito abbreviato, sarà sottoposto a processo a partire dal 21 aprile 2010.

24 settembre, 2010

PROMEMORIA 24 settembre 1961 Viene organizzata la prima marcia Perugia-Assisi


Viene organizzata la prima marcia Perugia-Assisi
La Marcia per la pace Perugia - Assisi è una manifestazione del movimento pacifista italiano. Si svolge solitamente tra fine settembre e inizio ottobre, ogni due anni, e si snoda per un percorso di circa 24 chilometri, da Perugia fino ad Assisi.

La prima marcia
La prima marcia si svolse domenica 24 settembre 1961 su iniziativa di Aldo Capitini, voleva essere un corteo nonviolento che testimoniasse a favore della pace e della fratellanza dei popoli. Nel libro Opposizione e liberazione Capitini descrisse l'esperienza della marcia:
« Aver mostrato che il pacifismo, che la nonviolenza, non sono inerte e passiva accettazione dei mali esistenti, ma sono attivi e in lotta, con un proprio metodo che non lascia un momento di sosta nelle solidarieta' che suscita e nelle noncollaborazioni, nelle proteste, nelle denunce aperte, è un grande risultato della Marcia »
In questa occasione venne per la prima volta utilizzata la Bandiera della pace, simbolo dell'opposizione nonviolenta a tutte le guerre.
I Marcia per la Pace - 24 settembre 1961 - Per la pace e la fratellanza tra i popoli

23 settembre, 2010

Biblioteche del mondo: a Mazzano Romano “Così vicine, così lontane. Tate, colf e badanti”


Biblioteche del mondo: a Mazzano Romano “Così vicine, così lontane. Tate, colf e badanti”

“Così vicine, così lontane. Tate, colf e badanti” è la prima mostra bibliografica itinerante sul mondo delle badanti di ieri e di oggi.
Costituita da diari, fiabe, romanzi, biografie, fotografie, manuali, riviste, inchieste e molto altro, ha l’obiettivo di far conoscere ai giovani e alle famiglie italiane l’importanza e la complessità del lavoro di cura svolto dalle collaboratrici domestiche di oggi e di ieri, donne che vivono così vicino alle nostre esigenze e così lontano dai loro affetti, tesoro umano e culturale, nonché economico, spesso dimenticato.

Voluta e promossa dall’Assessore alle Politiche Culturali della Provincia di Roma, Cecilia D’Elia, e coordinata dal Sistema Bibliotecario Provinciale, la mostra sarà ospitata dal 23 settembre al 7 ottobre dalla Biblioteca civica di Mazzano Romano (piazza Giovanni XXIII – ex edificio scolastico) nell’ambito del progetto Biblioteche del Mondo. All’inaugurazione – che si svolgerà giovedì 23 settembre alle ore 16:30 – saranno presenti l’assessore provinciale, Cecilia D’Elia; il Sindaco di Mazzano, Remo Marcatili e l’assessore alla Cultura del comune di Mazzano, Anna De santis.

Le due settimane dedicate alla mostra saranno occasione di riflessioni e incontri, che coinvolgeranno anche il mondo della scuola. Inoltre, la Biblioteca ospiterà una mostra fotografica e una rassegna di documentari e film.

PROMEMORIA 23 settembre 1941 - Primi esperimenti con i gas nel Campo di concentramento di Auschwitz


Primi esperimenti con i gas nel Campo di concentramento di Auschwitz
Fin dagli anni trenta la nazione polacca avrebbe dovuto essere smembrata, depauperata di tutte le risorse nazionali e la popolazione "trasferita" in altre aree per poi essere ripopolata da "coloni" di razza germanica. I piani tedeschi prevedevano la deportazione e lo sterminio di circa l'80% della popolazione polacca.

In questo contesto, già durante l'invasione tedesca della Polonia, avvenuta il 1º settembre 1939, le truppe tedesche vennero seguite da speciali Einsatzkommandos destinati allo sterminio di ebrei e personalità politiche e culturali polacche. Presto tutte le prigioni polacche furono piene e si ebbe la necessità di trovare nuove aree di internamento per i numerosi prigionieri che venivano catturati durante i rastrellamenti.
Durante le prime fasi dell'espansione Tedesca, venivano eseguite numerose fucilazioni di massa (svolte dai soldati dell'esercito) dei "Nemici del Popolo Tedesco": Ebrei, Zingari, oppositori politici. Ci furono numerosi casi di diserzione e suicidi nelle file dell'esercito tedesco, i cui soldati faticavano ad accettare ordini comportanti la fucilazione di vecchi, donne e bambini. La scelta di aprire appositi campi di sterminio veniva incontro anche all'esigenza di evitare il lavoro "sporco" ai semplici soldati di leva. I campi di sterminio assolvevano tre necessità:
segretezza delle operazioni;
efficienza nello sterminio, applicato in scala industriale;
indipendenza dall'esercito, in quanto svolto da corpi speciali.
Nel dicembre 1939 il comandante della polizia di sicurezza (Sipo) e dell'SD di Breslavia, SS-Oberführer Arpad Wigand pose allo studio, in collaborazione con l'ufficio dell'alto comando delle SS e della polizia del Sud-Est (SS-Gruppenführer Erich von dem Bach-Zelewski), la possibilità di costruire un nuovo campo di concentramento nella zona di Oświęcim (Auschwitz).
Il luogo venne scelto per la presenza di una caserma di artiglieria polacca caduta nelle mani della Wehrmacht, situata fuori dalla città, quindi facilmente escludibile dal mondo esterno, alla confluenza tra i fiumi Vistola e Soła. La posizione era inoltre provvista di favorevoli collegamenti ferroviari con la Slesia, il Governatorato Generale, la Cecoslovacchia e l'Austria che avrebbero semplificato la deportazione degli elementi "ostili", "asociali" e degli ebrei.
Tra i mesi di gennaio ed aprile 1940 vennero vagliate diverse ipotesi alternative per l'ubicazione del campo, con l'intervento dello stesso comandante delle SS Heinrich Himmler, desideroso di risolvere quanto prima il problema della creazione di un nuovo complesso. Nel febbraio sorsero ulteriori problemi legati alle difficoltà poste dall'esercito tedesco nella consegna della caserma ad Auschwitz.
L'8 aprile 1940 il generale Halm stipulò con le SS un contratto per la consegna del complesso. Il 18-19 aprile 1940, Rudolf Höß, già aiutante presso il campo di concentramento di Sachsenhausen, venne inviato a compiere un ultimo sopralluogo. Prima di visitare il campo Höß si incontrò con Wingand a Bratislava e venne messo minuziosamente al corrente del progetto: creare un campo di quarantena per prigionieri polacchi destinati alla successiva deportazione in altri campi all'interno del Reich.
Il 27 aprile 1940, il comandante Himmler, in seguito al rapporto di Höß, decise di dare ordine all'ispettore dei campi di concentramento, SS-Oberführer Richard Glücks per la costruzione del nuovo campo di concentramento – che sarebbe diventato Auschwitz I - ricorrendo alla manodopera di detenuti già internati in altri campi. Il 29 aprile Glücks nominò Höß comandante provvisorio (ottenne la nomina definitiva il 4 maggio 1940) del nuovo campo, che Höß raggiunse il giorno successivo con la scorta di cinque uomini delle SS. Essi vennero immediatamente impiegati per i lavori di sistemazione dell'area civili polacchi e circa 300 ebrei, forniti dal locale consiglio ebraico (Judenrat).
Il 20 maggio 1940 arrivarono al campo i primi 30 prigionieri, provenienti dal campo di concentramento di Sachsenhausen, per maggior parte criminali comuni selezionati appositamente per la loro crudeltà ed ottusa obbedienza ad ogni ordine, destinati a diventare il primo nucleo di Kapò e "prominenti" del campo ed aiutare le SS nel successivo "lavoro" di controllo della massa dei deportati.
Il 10 giugno 1940, prima ancora che i primi prigionieri deportati giungessero al campo, vennero ordinati i progetti per un primo forno crematorio prodotto dalla J.A. Topf und Söhne di Erfurt; i progetti vennero rapidamente approvati e la costruzione ultimata entro il 23 settembre dello stesso anno, data della prima cremazione conosciuta.
Il 14 giugno 1940, seppur ancora in fase di costruzione ed ampliamento, il campo di Auschwitz I ricevette il primo convoglio di 728 deportati, accolti dal primo direttore del lager SS-Hauptsturmführer Karl Fritzsch con le parole:
« Non siete venuti in un sanatorio, ma in un campo di concentramento tedesco. Da qui non c'è altra via d'uscita che il camino del crematorio. Se a qualcuno questo non piace, può andare subito contro il filo spinato. Se in un trasporto ci sono degli ebrei, non hanno diritto a sopravvivere più di due settimane, i preti un mese e gli altri tre mesi »

22 settembre, 2010

QUESTA SERA INIZIA LA RICORRENZA EBRAICA DELLO SUKKOT O FESTA DELLE CAPANNE. IN COSA CONSISTE?


QUESTA SERA INIZIA LA RICORRENZA EBRAICA DELLO SUKKOT O FESTA DELLE CAPANNE.
IN COSA CONSISTE?

Il termine Sukot (סוכות o סֻכּוֹת entrambi sukot) o Succot si riferisce ad una festa di pellegrinaggio della durata di 8 giorni (7 giorni in Israele). È conosciuta anche con i nomi di "Festa delle capanne", "Festa dei tabernacoli" e "Tabernacoli". Nell'Ebraismo è una delle festività ebraiche più importanti. Il termine fa riferimento, inoltre, ad una località di cui si parla nella Bibbia Ebraica.

Etimologia
La parola "sukot" è il plurale della parola ebraica sukah che significa, per l'appunto capanna. Il termine sukah nel linguaggio comune indica proprio la capanna che viene costruita appositamente per la celebrazione della festa.

Significato della festa
La festa di Sukot ricorda la vita del popolo di Israele nel deserto durante il loro viaggio verso la terra promessa, la terra di Israele. Durante il loro pellegrinaggio nel deserto essi vivevano in capanne (sukot). La Torah ordina agli ebrei di utilizzare, per la celebrazione della festa, quattro specie di vegetali: il lulav (un ramo di palma), l'etrog (un cedro), un ramo di mirto ed un ramo di salice. Il cedro viene impugnato separatamente dai rami che invece sono legati assieme con la canapa.

Liturgia
I primi due giorni di Sukot vengono celebrati come giorni di festa piena. I cinque giorni successivi, invece sono di mezza festa (Hol Hamo'ed) durante i quali vengono comunque osservati i precetti specifici della festa. Il settimo giorno (l'ultimo dei giorni di mezza festa) è chiamato "Hoshanà Rabah" e deve essere osservato in maniera particolare. L'ultimo giorno, l'ottavo, viene celebrato come fosse una festa a sé e presenta delle preghiere e delle usanze particolari (vedi più avanti).Hoshanà Rabah - Il settimo giorno di Sukot - הושענא רבאShemini Atzeret - L'ottavo giorno di Sukot - שמיני עצרתSimchat Torah - L'ultimo giorno di Sukot - שמחת תורהIn Israele Sukot dura otto giorni, incluso il "Shemini Atzeret". Al di fuori di Israele (la cosiddetta Diaspora), Sukot dura nove giorni. in questo caso l'ottavo giorno è "Shemini Atzeret" mentre il nono è detto Simchat Torah. In Israele i festeggiamenti legati a Simchat Torah si svolgono durante il giorno di Shemini AtzeretIn questo giorno, Simchat Torah, durante il servizio in sinagoga, viene letta l'ultima porzione della Torah. Nello Shabbat successivo, gli ebrei ricominciano la lettura della Torah dalla prima porzione, la prima parte del libro della Genesi, chiamata Bereshit. Il servizio è particolarmente gioioso e sono consentite, e spesso attese, simpatiche variazioni al normale procedere delle funzioni. Mentre è tradizione di tutte le correnti ebraiche ballare con i rotoli della Torah intonando canzoni legate alla festività, è usanza italiana quella di lanciare dal matroneo sui danzanti (ed in particolare ai bambini) manciate di caramelle e dolcetti vari.Nel calendario ebraico, Erev Sukot (la sera di sukot), la prima sera della festa, cade il 14 del mese di Tishri, così il primo dei giorni di Sukot è il 15 di Tishri.

"L’arte rompe il silenzio”: migliorare la qualità della vita attraverso l'espressione artistica


"L’arte rompe il silenzio”: migliorare la qualità della vita attraverso l'espressione artistica
"L'arte rompe il silenzio": questo il nome del progetto realizzato dalla Provincia di Roma in collaborazione con La Rosmarina onlus, associazione capofila, e le associazioni Le Pleiadi e Griot.
Il progetto nasce con lo scopo di migliorare la qualità della vita sociale e di relazione di donne, bambini e ragazzi in situazioni di difficoltà personale e sociale, ospiti delle case-famiglie e dei centri antiviolenza del Municipio Roma VIII.
"L'arte rompe il silenzio" sarà presentato sabato 25 settembre 2010 dalle 10:30 al Villaggio Breda, nel corso di una giornata organizzata con il sostegno dei Centri di Servizio per il Volontariato del Lazio CESV e SPES e con il patrocinio del Municipio Roma VIII.
La presentazione del progetto e delle associazioni coinvolte (presso la sala Cinema del Municipio VIII) sarà seguita, dalle 13.00 fino alle 18.00, da una festa in piazza aperta a tutti i cittadini che vorranno trascorrere un po' di tempo insieme, con stand eno-gastronomici, musica dal vivo, intrattenimento per i bambini, e avere maggiori informazioni sulle attività del progetto.
In questa occasione saranno raccolte anche le iscrizioni ai corsi previsti da "L'arte rompe il silenzio".
Il progetto prevede, infatti, azioni integrate di vario tipo e mira a sviluppare due percorsi: uno di tipo terapeutico e uno che avvii ad una professione. Diversi gli strumenti utilizzati (arte-terapia, laboratori artistico-artigianali; corsi di formazione) e i servizi offerti (mediazione culturale, orientamento all'impresa e accesso al credito, assistenza psicologica).
Tra questi, i corsi di cucina, sartoria, costruzione di oggettistica con materiali di riciclo, informatica; i laboratori di erboristeria e naturopatia, piccolo restauro, scultura, teatro multietnico. E ancora, la musicoterapia, il gruppo corale, il Tai Chi Chuan, lo Yoga e l'orientamento al lavoro/impresa.
Il tutto finalizzato all'inclusione sociale e alle pari opportunità, alla lotta al degrado sociale e all'emarginazione, favorendo momenti di aggregazione socio-culturale.
Per informazioni:
La Rosmarina ONLUS
Sede: Piazza Erasmo Piaggio, 25 - Sc. C - Villaggio-Breda 00133 ROMA - RM
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PROMEMORIA 22 settembre 1979 - Due satelliti Vela rilevano il flash di un'esplosione nucleare molto debole, avvenuta nei pressi dell'Isola Bouvet


Due satelliti Vela rilevano il flash di un'esplosione nucleare molto debole, avvenuta nei pressi dell'Isola Bouvet nell'Atlantico meridionale. L'ipotesi più accreditata è un test nucleare eseguito dal Sudafrica. L'accaduto è noto come incidente Vela
L'incidente Vela, noto anche come flash del sud Atlantico si verificò il 22 settembre 1979 quando i satelliti statunitensi Vela rilevarono un lampo di luce, di origine ignota, tra l'Atlantico del sud e l'Oceano indiano a sud del Sud Africa 47°S 40°E. Si pensa che fosse una possibile esplosione di un test nucleare; molte delle informazioni relative a questo evento sono ancora segrete.

Rilevamento
Il lampo luminoso fu rilevato il 22 settembre 1979, alle 00:53 GMT, da un satellite statunitense di tipo Vela, appositamente progettato per il rilevamento di esplosioni nucleari. Il satellite rilevò il tipico "doppio lampo" (il primo breve e molto intenso seguito da uno più lungo e meno luminoso) di una esplosione nucleare in atmosfera. La potenza stimata è di due o tre kilotoni.
Esistono dei dubbi circa l'attendibilità dell'osservazione. Il satellite in questione, Vela 6911, era stato lanciato il 23 maggio 1969, più di 10 anni prima, ed aveva passato già da due anni il limite di vita operativa previsto. Già all'epoca del fatto era noto un guasto ad un sensore di impulsi elettromagnetici, e, nel luglio 1972 aveva avuto una avaria ai sistemi di memorizzazione dei dati, poi risoltasi da sola nel marzo 1978.
I primi rapporti del governo degli Stati Uniti nell'Ottobre del 1979 e nel gennaio 1980 dichiaravano che il lampo era stato senza dubbio generato da una esplosione nucleare la cui responsabilità era da ascriversi al Sud Africa. Più tardi, l'amministrazione Carter creò una commissione di esperti con lo scopo di valutare l'attendibilità dei dati forniti dal satellite. Nell'estate 1980 la commissione dichiarò che con tutta probabilità non si trattava di una esplosione atomica ma che non erano in grado comunque di stabilire la natura del fenomeno. La commissione indicò come causa del fenomeno la possibile collisione del satellite Vela con un meteorite, portando come prova che solo uno dei due satelliti aveva riscontrato il fenomeno e che nessuna delle ricognizioni aeree effettuate nell'area dall'aviazione aveva riscontrato la presenza di radiazioni.
Il rapporto della commissione suscitò il dubbio che le spiegazioni fornite avessero dei motivi politici. L'ipotesi dell'esplosione atomica restava certamente la più valida, specie in considerazione del fatto che il satellite aveva già segnalato correttamente ben 41 test nucleari in atmosfera, poi confermati anche da altre fonti. In particolare alcuni idrofoni della marina militare statunitense avevano rilevato un segnale compatibile con una piccola esplosione atomica in prossimità della superficie dell'acqua nelle vicinanze dell'Isola del Principe Edoardo. Nello stesso momento il telescopio spaziale di Arecibo rilevava una anomalia nella ionosfera. Pochi mesi più tardi, durante un test condotto nell'Australia Occidentale venivano rilevate quantità anomale di radioattività. Gli scienziati di Los Alamos, responsabili del Progetto Vela continuavano a dichiarare che il satellite aveva funzionato correttamente.
Alcuni sostennero che l'eventuale esplosione fosse stata causata dall'impatto di una cometa o da qualche altro fenomeno naturale piuttosto che da un test atomico.

21 settembre, 2010

A Palazzo Valentini la mostra fotografica “Antichi alberi d’Italia”


A Palazzo Valentini la mostra fotografica “Antichi alberi d’Italia”

Palazzo Valentini ospita - dal 17 al 29 settembre presso la Sala Stampa e la Sala Egon von Fürstenberg - una mostra fotografica sui Patriarchi italiani della Natura, in specie da frutto, dal titolo “Il tempo tra le foglie”.

La mostra, a cura dell’Associazione Patriarchi della natura in Italia, è la prima che si tiene a Roma e nasce dal lavoro svolto dai volontari dell'Associazione in questi ultimi anni; un lavoro meticoloso che ha portato al censimento sistematico degli alberi monumentali dell'Emilia-Romagna, nella raccolta di migliaia di segnalazioni documentate da tutto il Paese (8mila) e alla creazione a Forlì di un vivaio nel quale sono state piantate le talee dei più significativi Patriarchi sparsi per l'Italia.

In questa esposizione di Palazzo Valentini sono esposte circa 70 immagini fotografiche di altrettanti alberi secolari o plurisecolari che documentano la bellezza di questi antenati dei nostri boschi, frutteti, vigneti, oliveti e la loro preziosa biodiversità. Perché preziosa? Perché con essi possiamo recuperare essenze vegetali dimenticate, remote, alcune autoctone, che, avendo così validamente resistito ai secoli, ci consentiranno di affrontare meglio - assieme alle indispensabili misure di riduzione di gas serra e altro - le stesse pesanti modificazioni climatiche e di avere prodotti più "nostri", più legati all'identità italiana.

Vengono esposti anche frutti che rappresentano autentiche rarità. Dall'Emilia-Romagna la cosiddetta "uva morta", vitigno antichissimo che dà un'uva marrone usata per conferire gradi e colore ai vini bianchi di pianura per solito "deboli". Dalle Foreste Casentinesi i frutti ancora prodotti da un pero fra i più antichi d'Italia con oltre due secoli di vita. Dal Lazio mele e pere provenienti da alberi plurisecolari, che conservano ancora intatto il loro ottimo sapore. E molto altro ancora.

Assieme alle immagini degli alberi più significativi e ai loro frutti vengono esposti i tessuti della tradizione romagnola, tele sulle quali sono stampate a colori immagini di Patriarchi e dediche del grande poeta e uomo di cinema Tonino Guerra che a Pennabilli, nel Montefeltro, ha dato vita al Giardino dei Frutti Dimenticati (il sorbo, il giuggiolo, il biricoccolo ecc.) ora curato dall'Associazione dei Patriarchi che, animata da tecnici volontari e presieduta da Sergio Guidi, ha sede a Forlì.

Si evidenzia infine che numerosi alberi monumentali sono presenti nei Siti italiani dell'Unesco: dal faggio di Sonico in Val Camonica all'olmo di Venezia, dal tasso di San Gimignano al platano di Urbino, dal ciliegio di Ferrara al fragno del bosco di Alberobello, dagli olivi di Tivoli e di Villa Adriana al carrubo di Noto, dal cipresso di Michelangelo a Roma al cedro e agli olivi dei Giardini Vaticani, al ficus del Teatro Greco di Siracusa e a tanti altri ancora.


Alberi antichi d’Italia
Il Tempo tra le foglie

Palazzo Valentini
Sala Egon von Fürstenberg
(Via IV Novembre 119/A)

Ingresso Libero
dal lunedì al venerdì: ore 10 – 19;
sabato 10 – 13
Domenica chiuso

Per ulteriori informazioni: www.patriarchinatura.it ; e - mail info@patriarchinatura.it .

PROMEMORIA 21 settembre 1990 - Il giudice Rosario Livatino viene assassinato, a soli 38 anni, mentre percorre la statale Agrigento-Caltanissetta.


Il giudice Rosario Livatino viene assassinato, a soli 38 anni, mentre percorre la statale Agrigento-Caltanissetta, in Sicilia
Rosario Angelo Livatino (Canicattì, 3 ottobre 1952 – Agrigento, 21 settembre 1990) è stato un magistrato italiano assassinato dalla mafia.
« ”Con questo assassinio, che ha voluto colpire un valoroso servitore dello stato, impegnato nella difficile lotta contro l’ illegalità, la violenza e la sopraffazione si leva la coscienza civile e morale della nazione”. »
(Francesco Cossiga)
« "Quando moriremo, nessuno ci verrà a chiedere quanto siamo stati credenti, ma credibili". »
(Rosario Livatino, in uno dei suoi appunti)
Figlio dell'avvocato Vincenzo e della signora Rosalia Corbo. Conseguita la maturità presso il liceo classico Ugo Foscolo, nel 1971 s'iscrisse alla facoltà di giurisprudenza di Palermo nella quale si laureò nel 1975 cum laude. Tra il 1977 ed il 1978 prestò servizio come vicedirettore in prova presso l'Ufficio del Registro di Agrigento. Sempre nel 1978, dopo essersi classificato tra i primi in graduatoria nel concorso per uditore giudiziario, entrò in magistratura presso il Tribunale di Caltanissetta.
Nel 1979 diventò sostituto procuratore presso il tribunale di Agrigento e ricoprì la carica fino al 1989, quando assunse il ruolo di giudice a latere.
Venne ucciso il 21 settembre del 1990 sulla SS 640 mentre si recava, senza scorta, in tribunale, per mano di quattro sicari assoldati dalla Stidda agrigentina, organizzazione mafiosa in contrasto con Cosa Nostra. Del delitto fu testimone oculare Pietro Nava, sulla base delle cui dichiarazioni furono individuati gli esecutori dell'omicidio.
Nella sua attività si era occupato di quella che sarebbe esplosa come la Tangentopoli Siciliana ed aveva messo a segno numerosi colpi nei confronti della mafia, attraverso lo strumento della confisca dei beni.
Non molti giorni dopo la scoperta di legami mafia-massoneria, l'allora presidente della Repubblica Francesco Cossiga lo definì sprezzantemente Il giudice ragazzino, e dopo la morte del magistrato l'Espresso sviscerò molti retroscena della faccenda.
Papa Giovanni Paolo II definì Rosario Livatino «martire della giustizia ed indirettamente della fede».
La sua figura è ricordata nel film di Alessandro Di Robilant "Il giudice ragazzino", uscito nel 1994. È invece del 1992 il libro omonimo, scritto da Nando Dalla Chiesa.

20 settembre, 2010

A Palazzo Valentini presentato il torneo "Semilleros - in sport we trust"


A Palazzo Valentini presentato il torneo "Semilleros - in sport we trust"

Lo sport per distogliere i giovani dalla droga e dalla delinquenza. È questo l'obiettivo di "Semilleros - In Sport We Trust", il torneo nato in Perù e riservato alla categoria Giovanissimi, che da domani a sabato vedrà in campo le squadre di Roma, Lazio, Pescara, Romulea, Savio e Perù.

Il progetto, ideato da Francisco Mirò Quaesada, proprietario di uno dei maggiori quotidiani peruviani, "El Comercio", è stato presentato in conferenza nella Sala della Pace di Palazzo Valentini.

A fare gli onori di casa l'assessore provinciale a Sport, Turismo e Politiche Giovanili, Patrizia Prestipino: "Sono felice e orgogliosa - ha dichiarato - di ospitare questa iniziativa che racchiude i più sani e autentici valori dello sport. Questo torneo va oltre i confini geografici e politici, in nome della battaglia contro piaghe sociali come droga, violenza e criminalità".

Nel mese di agosto attraverso un torneo di livello nazionale sono stati selezionati su circa 10mila ragazzi i 16 migliori giocatori classe 1998 del Perù, presenti questa mattina a Palazzo Valentini e salutati da Simone Inzaghi e Roberto Muzzi, gli ex calciatori di Lazio e Roma oggi responsabili del settore giovanile. Testimonial dell'iniziativa un altro giocatore, il fiorentino di origini peruviane Manuel Vargas, che fu lanciato nel grande Calcio grazie al torneo Semilleros.

Il torneo prenderà il via domani con le gare tra Romulea e Pescara e tra Savio e Perù, mentre mercoledì esordiranno i giovani di Roma e Lazio.

La manifestazione, promossa da Provincia di Roma, Comune di Roma e Ministero degli Affari Esteri, è stata portata avanti dal gruppo Clandestine srl di Cristina Calleri e Roberta Campanile. A salutare l'iniziativa in conferenza stampa anche Mario Baccini e e il generale Giulio Coletta.

PROMEMORIA 20 settembre 1870 La presa di Roma


La presa di Roma (20 settembre 1870) comportò l'annessione di Roma al Regno d'Italia, e decretò la fine dello Stato Pontificio e del potere temporale dei Papi. L'anno successivo la capitale d'Italia fu trasferita da Firenze a Roma (legge 3 febbraio 1871, n. 33).

Le premesse

Il desiderio di porre Roma a capitale del nuovo regno d'Italia era già stata esplicitata da Cavour nel suo discorso al parlamento italiano nel 1860. Cavour prese poco dopo i contatti a Roma con Diomede Pantaleoni, un patriota romano, che aveva ampie conoscenze nell'ambiente ecclesiastico, per cercare una soluzione che assicurasse l'indipendenza del papa. Il principio era quello della "libertà assoluta della chiesa" cioè la libertà di coscienza, assicurando ai cattolici l'indipendenza del pontefice dal potere civile. Inizialmente si ebbe l'impressione che questa trattativa non dispiacesse completamente a Pio IX e al cardinale Giacomo Antonelli, ma questi dopo poco, già nei primi mesi del 1861, cambiarono atteggiamento e le trattative non ebbero seguito.
Poco dopo Cavour affermò in parlamento che riteneva «necessaria Roma all'Italia», e che prima o poi Roma sarebbe stata la capitale, ma che per far questo era necessario il consenso della Francia. Sperava che l'Europa tutta sarebbe stata convinta dell'importanza della separazione tra potere spirituale e potere temporale, e quindi riaffermò il principio di «libera Chiesa in libero Stato».[2]
Cavour già nell'aprile scrisse al principe Napoleone per convincere l'Imperatore a togliere da Roma il presidio francese che lì si trovava. Ricevette anche dal principe un abbozzo di convenzione:
« Fra l'Italia e la Francia, senza l'intervento della corte di Roma, si verrebbe a stipulare quanto segue:
1º La Francia, avendo messo il Santo Padre al coperto d'ogni intervento straniero, ritirerebbe da Roma le sue truppe, in uno spazio di tempo determinato, di 15 giorni o al più di un mese.
2º L'Italia prenderebbe impegno di non assalire ed eziandio di impedire in ogni modo a chicchessia, ogni aggressione contro il territorio rimasto in possesso del Santo Padre.
3º Il governo italiano s'interdirebbe qualunque reclamo contro l'organamento di un esercito pontificio, anche costituito di volontari cattolici stranieri, purché non oltrepassasse l'effettivo di 10 mila soldati, e non degenerasse in un mezzo di offesa a danno del regno d'Italia.

4° L'Italia si dichiarerebbe pronta ad entrare in trattative dirette con il governo romano, per prendere a suo carico la parte proporzionale che le spetterebbe nella passività degli antichi stati della chiesa »
(in Cadorna,La liberazione)
Il conte di Cavour vi acconsentiva in linea di massima, perché sperava che la stessa popolazione romana avrebbe risolto i problemi senza bisogno di repressioni da parte di governi stranieri, e che il Papa avrebbe infine ceduto alle spinte unitarie. Le uniche riserve espresse riguardavano la presenza di truppe straniere. La convenzione però non arrivò a conclusione per la morte di Cavour, il 6 giugno del 1861.
Bettino Ricasoli, successore di Cavour, cercò di riaprire i contatti con il cardinale Antonelli già il 10 settembre 1861, con una nota in cui faceva appello «alla mente ed al cuore del Santo Padre, perché colla sua sapienza e bontà, consenta ad un accordo che lasciando intatti i diritti della nazione, provvederebbe efficacemente alla dignità e grandezza della chiesa».[2] Ancora una volta Antonelli e Pio IX si mostrarono contrari. L'ambasciatore francese a Roma scrisse al suo ministro che il cardinale gli aveva detto:
(FR)
« Quant à pactiser avec les spoliateurs, nous ne le ferons jamais. »
(IT)
« Quanto a fare accordi con gli espropriatori, noi non lo faremo mai »
(Card. Antonelli)
Da quel momento ci fu uno stallo nelle attività diplomatiche, mentre rimaneva viva la spinta all'azione di Garibaldi e dei mazziniani. Ci furono una serie di tentativi tra cui quello più noto si concluse all'Aspromonte.
Agli inizi del 1863, il governo Minghetti riprese le trattative con Napoleone III, ma dopo questi avvenimenti Napoleone pretese maggiori garanzie. Si arrivò quindi alla convenzione di settembre, un accordo con Napoleone che prevedeva il ritiro delle truppe francesi, in cambio di un impegno da parte dell'Italia a non invadere lo Stato Pontificio. A garanzia dell'impegno da parte italiana, la Francia chiese il trasferimento della capitale da Torino a Firenze. Entrambe le parti espressero comunque una serie di riserve, e l'Italia si riservava completa libertà d'azione nel caso che una rivoluzione scoppiasse a Roma, condizioni che furono accettate dalla Francia, che riconobbe in questo modo i diritti dell'Italia su Roma.
Nel 1867 ci furono i fatti di Mentana. Il 3 novembre i francesi sbarcarono a Civitavecchia e si unirono alle truppe pontificie scontrandosi con i garibaldini. Le truppe italiane, che in base alla convenzione avevano varcato i confini dello stato pontificio, lo abbandonarono; ma i soldati francesi, nonostante quanto previsto nella convenzione di settembre, rimasero a Roma e il ministro francese Eugène Rouher dichiarò al parlamento francese
(FR)
« que l'Italie peut faire sans Rome; nous déclarons qu'elle ne s'emparera jamais de cette ville. La France ne supportera jamais cette violence faite à son honneur et au catholicisme. »
(IT)
« che l'Italia può fare a meno di Roma; noi dichiariamo che non si impadronirà mai di questa città. La Francia non sopporterà mai questa violenza fatta al suo onore ed al cattolicesimo. »
(Rouher.)
In risposta, il 9 dicembre Giovanni Lanza, nel discorso di insediamento alla presidenza della camera dei deputati, dichiarò che «siamo unanimi a volere il compimento dell'unità nazionale; e Roma, tardi o tosto, per la necessità delle cose e per la ragione dei tempi, dovrà essere capitale d'Italia».
Alla fine del 1869 lo stesso Lanza, alla caduta del terzo gabinetto Menabrea, si insediò come nuovo capo del Governo. Nel frattempo continuava l'occupazione francese di Roma, "non rimanendo più traccia della oramai conculcata convenzione del 15 settembre 1864.
Il 14 luglio 1870 il governo di Napoleone III dichiarò guerra alla Prussia.
L'occupazione di Roma fu una delle cause che impedì accordi di alleanza militare fra Francia e Italia. Girolamo Napoleone II in un discorso all'Assemblea Nazionale francese dichiarò il 24 novembre 1876 che la conservazione del potere temporale era costato alla Francia la perdita dell'Alsazia e della Lorena.[2] Il Papa lo stesso anno indisse a Roma un concilio ecumenico, che doveva anche risolvere il problema dell'infallibilità papale. Questa posizione destò preoccupazione per il timore che servisse al Papa per intromettersi negli affari politici.
Il 2 agosto la Francia, cercando di recuperare un rapporto amichevole con l'Italia, avvertì il governo italiano che era disponibile a ripristinare la convenzione del 1864 e a ritirare le truppe da Roma.
Il 20 agosto alla Camera ci furono interpellanze di vari deputati tra cui Cairoli e Nicotera che chiedevano di denunciare definitivamente la convenzione del 15 settembre e di muovere su Roma.[2] La risposta governativa ricordava che la convenzione escludeva i casi straordinari e proprio questa clausola aveva permesso a Napoleone III di intervenire a Mentana. Nel frattempo comunque i francesi abbandonarono Roma. Di nuovo si mosse la diplomazia italiana chiedendo una soluzione della questione romana. L'imperatrice Eugenia, che aveva in quel momento le funzioni di reggente, spedì la nave da guerra Orénoque a stazionare davanti a Civitavecchia. Ma le vicende della guerra franco-prussiana peggiorarono per i francesi, e Napoleone III cercò soccorsi in Italia che, visto lo stato dei rapporti, gli furono negati.[2]
Il 4 settembre 1870 cadeva il Secondo Impero, e in Francia veniva proclamata la Terza Repubblica. Questo stravolgimento aprì di fatto all'Italia la strada per Roma.

La preparazione diplomatica

Il 29 agosto 1870 il ministro degli affari esteri, il marchese Emilio Visconti Venosta inviò al ministro del Re a Parigi una lettera con cui espose i punti di vista del governo italiano da rappresentare al governo francese.
Visconti Venosta rileva come le condizioni che hanno a suo tempo portato alla convenzione di settembre tra Italia e Francia siano completamente cadute.
(FR)
« Florence, 29 août 1870.
Il Ministro degli Affari Esteri al Ministro del Re a Parigi
… Le but que le Gouvernement impérial poursuivait, celui de faciliter une conciliation entre le Saint-Père, les Romains et l'Italie, dans un sens conforme aux vues exprimées par l'Empereur dans sa lettre à M. de Thouvenel du 26 mai 1862, a été non seulement manqué, mais même complètement perdu par suite de circonstances sur lesquelles il serait inutile d'appuyer… »
(IT)
… L'obiettivo che il Governo imperiale ha perseguito, cioè di facilitare una conciliazione tra il Santo Padre, i Romani e l'Italia, conformemente ai punti di vista espressi dall'Imperatore nella sua lettera a M. de Thouvenel del 26 maggio 1862, è stato non solo mancato, ma è addiritura completamente fallito a causa di circostanze sulle quali è inutile insistere… »
(Visconti Venosta, in R. Cadorna, La liberazione di Roma, p. 331 )
Lo stesso giorno Visconti Venosta diramò a tutti i rappresentanti di Sua Maestà all'estero una lettera circolare con la quale si esponevano alle potenze europee le garanzie che venivano offerte al Pontefice a tutela della sua libertà; contemporaneamente si sottolineava l'urgenza di risolvere un problema che, secondo l'opinione del governo italiano, non poteva essere rimandato[3]. Il 7 settembre inviò un'altra lettera in cui le intenzioni del governo vengono nuovamente esplicitate e le motivazioni rafforzate.[4] L'8 settembre il ministro del Re a Monaco, il genovese Giovanni Antonio Migliorati, risponde a Visconti Venosta esponendo i risultati del colloquio con il conte di Bray: «Il Ministro degli Affari Esteri mi disse che le basi che porrebbe l'Italia alla Santa Sede ... gli sembrerebbero tali da dover essere accettate da Roma...».[4]
Simili considerazioni arrivano da Berna spedite da Luigi Melegari. Anche i rappresentanti a Vienna, a Karlsruhe, presso il governo del Baden e a Londra esprimono opinioni simili. L'unico governo che esita in qualche modo a prendere posizione è quello di Bismarck che si trova a Parigi assieme al suo re, che in questi giorni sta per essere incoronato imperatore. Solo il 20 settembre da Berlino esprime una posizione di stretta non ingerenza.[4] Jules Favre ministro del nuovo governo francese invia il 10 settembre all'incaricato di Francia a Roma un'indicazione in cui afferma che il governo francese «ne peut approuver ni reconnaître le pouvoir temporel du Saint-Siège».[4]
Il 20 agosto il cardinale Antonelli a sua volta aveva inviato una richiesta ai governi stranieri onde si opponessero «alla violenze dal governo sardo (sic!) minacciate». La maggior parte dei governi si limitò a non rispondere, altri invece espressero l'opinione che la cosa non li riguardava.

Preparativi militari

Il governo procedette alla costituzione di un Corpo d'osservazione dell'Italia centrale. In questo contesto furono chiamate sotto le armi anche le classi 1842-45. Il 10 agosto il ministro della guerra Giuseppe Govone convocò il generale Raffaele Cadorna cui assegnò il comando del corpo con le seguenti disposizioni:[5]
« 1° Mantenere inviolata la frontiera degli stati pontifici da qualunque tentativo d'irruzione di bande armate che tentassero di penetrarvi;
2° Mantenere l'ordine e reprimere ogni moto insurrezionale che fosse per manifestarsi nelle provincie occupate dalle divisioni poste sotto a' di Lei ordini;

3° Nel caso in cui moti insurrezionali avessero luogo negli stati pontifici, impedire che si estendano al di qua del confine. »
Il dispaccio concludeva con:
« La prudenza e l'energia altra volta da Lei dimostrata in non meno gravi circostanze[6], danno sicuro affidamento, che lo scopo che il governo si propone, sarà pienamente raggiunto. »
Oltre a Cadorna il governo nominò anche i comandanti delle tre divisioni che costituivano il corpo nelle persone dei generali Emilio Ferrero, Gustavo Mazè de la Roche e Nino Bixio. Cadorna sollevò subito i suoi dubbi sulla presenza di Bixio, che considerava troppo impetuoso e quindi inadatto ad una missione che «richiedeva somma prudenza». Govone, che si ritirerà pochi giorni dopo dal governo, accettò le opinioni di Cadorna e nominò al posto di Bixio il generale Cosenz.[5]
Alla fine di agosto le tre divisioni furono portate a cinque ed il comando di questi nuovi reparti fu affidato al generale Diego Angioletti e Bixio, che non riscuoteva le simpatie del comandante del Corpo. Il totale dei militari del Corpo arrivò a superare le 50.000 unità.
Il corpo pontificio era costituito da circa 15.000 militari di varie nazionalità. Circa 4.000 erano francesi, tra cui la legione di Antibes, forte di 1200 uomini, e circa 1.000 erano tedeschi. Vi erano inoltre 400 volontari pontifici. Con lo scoppio della guerra Franco-Prussiana parte dei militari francesi fu richiamata in patria. Il comandante era il generale Hermann Kanzler (badese), coadiuvato dai generali De Courten e Zappi.

I fatti

L'8 settembre, alcuni giorni prima dell'attacco una lettera autografa del re Vittorio Emanuele II venne consegnata a papa Pio IX dal conte Gustavo Ponza di San Martino, senatore del Regno. Nell'epistola al "Beatissimo Padre" Vittorio Emanuele, dopo aver paventato le minacce del «partito della rivoluzione cosmopolita», esplicitava «l'indeclinabile necessità per la sicurezza dell'Italia e della Santa Sede, che le mie truppe, già poste a guardia del confine, inoltrinsi per occupare le posizioni indispensabili per la sicurezza di Vostra Santità e pel mantenimento dell'ordine».[7]
Il 10 settembre il conte San Martino scrivendo da Roma al capo del governo, Giovanni Lanza, descrive i suoi incontri con il cardinale Antonelli del giorno precedente e in particolare l'incontro con il Papa. Scrive il conte:
« … che sono stato dal Santo Padre, che gli ho consegnato la lettera di Sua Maestà e la nota rimessami da V. Eccellenza.... Il Papa era profondamente addolorato, ma non mi parve disconoscere che gli ultimi avvenimenti rendono inevitabile per l'Italia l'azione su Roma… Esso [il Papa] non la riconoscerà legittima, protesterà in faccia al mondo, ma espresse troppo raccapriccio per le carneficine francesi e prussiane, per non darmi a sperare che non siano i modelli che vuol prendere … fui fermo nel dirgli che l'Italia trova il suo proposito di avere Roma, buono e morale… Il Papa mi disse, leggendo la lettera, che erano inutili tante parole, che avrebbe amato di meglio gli si dicesse a dirittura che il governo era costretto di entrare nel suo Stato »
(Ponza di San Martino)

Il conte Ponza di San Martino mi ha consegnato una lettera, che a V.M. piacque dirigermi; ma essa non è degna di un figlio affettuoso che si vanta di professare la fede cattolica, e si gloria di regia lealtà. Io non entrerò nei particolari della lettera, per non rinnovellare il dolore che una prima scorsa mi ha cagionato. Io benedico Iddio, il quale ha sofferto che V.M. empia di amarezza l'ultimo periodo della mia vita. Quanto al resto, io non posso ammettere le domande espresse nella sua lettera, né aderire ai principii che contiene. Faccio di nuovo ricorso a Dio, e pongo nelle mani di Lui la mia causa, che è interamente la Sua. Lo prego a concedere abbondanti grazie a V.M. per liberarla da ogni pericolo, renderla partecipe delle misericordie onde Ella ha bisogno.

Il conte di San Martino riferì verbalmente la frase pronunciata da Pio IX: «Io non sono profeta, né figlio di profeta, ma in realtà vi dico che non entrerete in Roma».[8] Dopo tre giorni di inutile attesa (durante i quali si aspettò invano la dichiarazione di resa), la mattina del 20 settembre (intorno alle nove) l'artiglieria [9] dell'esercito italiano, guidata dal generale Raffaele Cadorna, aprì una breccia di circa trenta metri nelle mura della città, accanto a Porta Pia, che consentì a due battaglioni (uno di fanteria, l'altro di bersaglieri) di occupare la città; una curiosità è che tra i partecipanti all'evento vi fu anche lo scrittore e giornalista Edmondo De Amicis, autore del libro Cuore, all'epoca ufficiale dell'esercito italiano. Il primo francobollo a portare per il mondo la notizia dell’unificazione della nazione fu il Vittorio Riquadrato di cui è giunto perfettamente conservato un esemplare su lettera timbrata proprio il 20 settembre 1870 a Roma.[10]
Secondo la descrizione di Antonio Maria Bonetti (1849-1896), caporale dei Cacciatori Pontifici:
« Stavamo sulle righe, quando alcune voci sulla Piazza di San Pietro gridarono: "Il Papa, il Papa!". In un momento, cavalieri e pedoni, ufficiali e soldati, rompono le righe e corrono verso l'obelisco, prorompendo nel grido turbinoso e immenso di: "Viva Pio IX, viva il Papa Re!", misto a singhiozzi, gemiti e sospiri. Quando poi il venerato Pontefice, alzate le mani al cielo, ci benedisse, e riabbassatele, facendo come un gesto di stringerci tutti al suo cuore paterno, e quindi, sciogliendosi in lacrime dirotte, si fuggì da quel balcone per non poter sostenere la nostra vista, allora sì veruno più poté far altro che ferire le stelle con urla, con fremiti ed esecrazioni contro coloro che erano stati causa di tanto cordoglio all'anima di un sì buon Padre e Sovrano »
Pio IX condannò aspramente l'atto, con cui la Curia Romana vide sottrarsi il secolare dominio su Roma. Si ritirò in Vaticano, dichiarandosi "prigioniero" fino alla morte, e intimò ai cattolici - con il celebre decreto Non expedit - di non partecipare più da quel momento alla vita politica italiana. Il parlamento italiano, per cercare di risolvere la questione, promulgò nel 1871 la Legge delle Guarentigie, ma il Papa non accettò la soluzione unilaterale di riappacificazione proposta dal governo e non mutò il suo atteggiamento. Questa situazione, indicata come "Questione Romana", perdurò fino ai Patti Lateranensi del 1929.

Considerazioni belliche

Nonostante l'importanza storica dei fatti (la riunione di Roma all'Italia e la fine dello Stato Pontificio), dal punto di vista militare l'operazione non fu di particolare rilievo. La assai debole resistenza opposta dall'esercito pontificio (complessivamente 15.000 uomini, tra cui dragoni pontifici, guardie svizzere, volontari provenienti per lo più da Francia, Austria, Baviera, Paesi Bassi, Irlanda, Spagna, ma soprattutto Zuavi, al comando dal generale Kanzler) ebbe in particolare valore simbolico.
Sulle ragioni per cui papa Pio IX non esercitò un'estrema resistenza sono state fatte varie ipotesi: la più accreditata è l'ipotesi della rassegnata volontà del Vaticano di mettere da parte ogni ipotesi di una violenta risposta militare all'offesa. È infatti noto che l'allora segretario di stato, il cardinale Giacomo Antonelli, abbia dato ordine al generale Kanzler di ritirare le truppe entro le mura e di limitarsi ad un puro atto di resistenza simbolico per evitare inutili e disumani spargimenti di sangue.