18 settembre, 2012
PROMEMORIA 18 settembre 1938 – Trieste: Benito Mussolini legge per la prima volta le Leggi Razziali dal balcone del Municipio in occasione della sua visita alla città.
Trieste: Benito Mussolini legge per la prima volta le Leggi Razziali dal balcone del Municipio in occasione della sua visita alla città.
Le leggi razziali fasciste sono un insieme di provvedimenti legislativi e amministrativi (leggi, ordinanze, circolari, ecc.) che vennero varati in Italia fra il 1938 e il primo quinquennio degli anni quaranta, inizialmente dal regime fascista e poi dalla Repubblica Sociale Italiana, rivolti prevalentemente – ma non solo – contro le persone di religione ebraica. Furono lette per la prima volta il 18 settembre 1938 a Trieste da Benito Mussolini dal balcone del Municipio in occasione della sua visita alla città.
Per la legislazione fascista era ebreo chi era nato da: genitori entrambi ebrei, da un ebreo e da uno straniero, da una madre ebrea in condizioni di paternità ignota oppure chi, pur avendo un genitore ariano, professasse la religione ebraica. Sugli ebrei venne emanata una serie di leggi discriminatorie. La legislazione fascista ammise tuttavia la discussa figura dell'ebreo "arianizzato" (allora fu usato il termine improprio "discriminato"), ovvero dell'ebreo che avesse particolari meriti: militari, civili o politici. Agli ebrei "arianizzati"[non chiaro] le leggi razziali furono applicate con alcune deroghe e limitazioni, anche se in seguito questi ultimi saranno de facto discriminati come tutti gli altri.
La legislazione antisemita comprendeva: il divieto di matrimonio tra italiani ed ebrei, il divieto per gli ebrei di avere alle proprie dipendenze domestici di razza ariana, il divieto per tutte le pubbliche amministrazioni e per le società private di carattere pubblicistico – come banche e assicurazioni – di avere alle proprie dipendenze ebrei, il divieto di trasferirsi in Italia a ebrei stranieri, la revoca della cittadinanza italiana concessa a ebrei stranieri in data posteriore al 1919, il divieto di svolgere la professione di notaio e di giornalista e forti limitazioni per tutte le cosiddette professioni intellettuali, il divieto di iscrizione dei ragazzi ebrei – che non fossero convertiti al cattolicesimo e che non vivessero in zone in cui i ragazzi ebrei erano troppo pochi per istituire scuole ebraiche – nelle scuole pubbliche, il divieto per le scuole medie di assumere come libri di testo opere alla cui redazione avesse partecipato in qualche modo un ebreo. Fu inoltre disposta la creazione di scuole – a cura delle comunità ebraiche – specifiche per ragazzi ebrei. Gli insegnanti ebrei avrebbero potuto lavorare solo in quelle scuole.
Infine vi fu una serie di limitazioni da cui erano esclusi i cosiddetti arianizzati: il divieto di svolgere il servizio militare, esercitare il ruolo di tutore di minori, essere titolari di aziende dichiarate di interesse per la difesa nazionale, essere proprietari di terreni o di fabbricati urbani al di sopra di un certo valore. Per tutti fu disposta l'annotazione dello stato di razza ebraica nei registri dello stato civile.
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