12 novembre, 2012

PROMEMORIA 12 novembre 1989 – Achille Occhetto dà via alla svolta della Bolognina che porterà allo scioglimento del Partito Comunista Italiano.

Achille Occhetto dà via alla svolta della Bolognina che porterà allo scioglimento del Partito Comunista Italiano. Con svolta della Bolognina (o semplicemente "svolta" o, più comunemente, "Bolognina" si indica quel processo politico che dal 12 novembre 1989, giorno dell'annuncio della svolta, a Bologna, al quartiere Navile (ex Bolognina), porterà il 3 febbraio 1991 allo scioglimento del Partito Comunista Italiano. Verso il XIX congresso straordinario Il fatto che la DDR possa rinunciare al muro di Berlino e aprire le frontiere, viene avvertito come il segnale definitivo che l'ordine di Jalta è ormai al tramonto. È a quel punto che il segretario generale Occhetto ritiene mutata la prospettiva del PCI. Il 12 novembre Occhetto è a sorpresa a Bologna per partecipare alla manifestazione per celebrare il 45º anniversario della battaglia partigiana della Bolognina, il quartiere interno al quartiere Navile. Davanti agli ex partigiani raccolti nella sala comunale di via Pellegrino Tibaldi 17, Occhetto annuncia che ora occorre «andare avanti con lo stesso coraggio che fu dimostrato durante la Resistenza (...) Gorbaciov prima di dare il via ai cambiamenti in URSS incontrò i veterani e gli disse: voi avete vinto la II guerra mondiale, ora se non volete che venga persa non bisogna conservare ma impegnarsi in grandi trasformazioni». Per Occhetto, in definitiva, è necessario «non continuare su vecchie strade ma inventarne di nuove per unificare le forze di progresso». E a chi gli chiede se quanto dice lascia presagire che il PCI possa anche cambiare nome, Occhetto risponde: «Lasciano presagire tutto»[24]. La svolta è dunque annunciata in solitario da Occhetto e senza che il partito fosse preparato o comunque consultato, cosa che gli verrà rimproverata da moltissimi nei mesi successivi. Il giorno dopo se ne discute ufficialmente in segreteria (compatta col segretario) e quindi per altri due giorni in Direzione. Qui Occhetto chiede che il PCI promuova una «fase costituente sulla cui base far vivere una forza politica che, in quanto nuova, cambia anche il nome», e, per forzare un po', sulla svolta Occhetto pone la fiducia al suo mandato. Già dal giorno prima, però, si capisce che la svolta non trova i comunisti entusiasti. Se infatti è ovvio che la sinistra del partito sia contraria, può invece stupire che a destra il presidente della Commissione centrale di garanzia del partito Giancarlo Pajetta già dal 13 si dichiari ostile alla svolta: «Io non mi vergogno di questo nome né della nostra storia, e non lo cambio per quello che hanno fatto quelli là (i comunisti dell'Est, ndr). Se cambiamo nome, cosa facciamo, il terzo partito socialista? Io dico soltanto che quando Longo mi mandò da Parri per costituire il comando del CLN, né Parri, né altri mi chiesero di cambiare nome, ma soltanto di combattere insieme». La Direzione dura due giorni e si conclude con un rinvio della discussione in Comitato Centrale. Spiega Occhetto: «Benché la direzione fosse ampiamente d'accordo con me, non ho ritenuto di dover mettere ai voti la mia proposta perché chi deve decidere è il partito. Da domani, non cambieremo nome, continueremo a chiamarci come ci chiamiamo. Voglio dire a tutti che non ci stiamo sciogliendo, che il PCI è in campo ed è talmente vivo che propone una cosa più grande. Su questo apriamo una discussione seria, e credo che tutti i compagni debbono essere molto tranquilli: la sorte del partito, il futuro del PCI è nelle mani di ciascun militante». In verità a parte la destra che quasi compatta si schiera col segretario nella speranza di arrivare a una fusione col PSI nell'Internazionale socialista, il resto della direzione prende una posizione attesista, ma è evidente che non c'è entusiasmo per la svolta. E su l'Unità il direttore Massimo D'Alema scrive: «Quella che prospettiamo non è la prospettiva della rinuncia o dell'abiura». Una precisazione dovuta dopo che tanti militanti avevano intasato i centralini del quotidiano per gridare la loro rabbia contro la svolta. Le telefonate saranno tante e tali da venire trasmesse già il 15 su ItaliaRadio[25], da un anno e mezzo emittente radiofonica del PCI. Intanto Armando Cossutta ha già chiara la situazione. Per il riferimento dell'estrema sinistra del Pci «Occhetto intende lasciare il PCI. La domanda non può essere "cosa faranno i comunisti", perché è ovvio che essi vogliono rimanere in un partito comunista. La domanda vera è: quanti saranno quelli che, non sentendosi più comunisti, decideranno di seguire Occhetto in un altro partito non più comunista?». Da qui la proposta di un referendum fra gli iscritti o un congresso straordinario al più presto. Il 16 si va delineando meglio l'opposizione alla svolta. Da Madrid rientra Pietro Ingrao, storico leader della sinistra del PCI, e non è per nulla tenero con la svolta: «Non sono d'accordo con la proposta avanzata da Occhetto. Spiegherò il mio dissenso nel Comitato centrale». Lo stesso giorno la sezione "Togliatti" di Treviso fonda un Comitato per la difesa del simbolo guidato da Zeno Giuliato. Il 20 novembre si apre il Comitato Centrale. I suoi 300 membri discuteranno della svolta per cinque giorni. Ad accoglierli in via delle Botteghe Oscure a Roma ci sono 200 militanti che fischiano e insultano i favorevoli alla svolta. L'auto di Luciano Lama è presa pure a calci. La tensione è alta ed alla fine Piero Fassino, responsabile Organizzazione, proverà a calmarli incontrandoli nei sotterranei della sede comunista. Più sopra, al 5º piano, prosegue il Comitato centrale. Nella sua relazione introduttiva Occhetto afferma di «condividere il tormento» dei compagni, ma non fa un passo indietro e chiede «fino a quando una forza di sinistra può durare senza risolvere il problema del potere, cioè di un potere diverso?», da qui l'idea di fare un nuovo partito con altri vicini di sinistra (e che Occhetto chiama la «sinistra diffusa») per poi andare al governo col PSI e altri e con la DC all'opposizione. Questa la prospettiva, ma per il resto viene rinfacciato al segretario come tutto appaia troppo vago. Tanto che anche tra le stesse fila del segretario c'è chi come Napolitano vede nel nuovo partito l'occasione storica per andare verso a un matrimonio col PSI e chi come D'Alema vi vede l'occasione per continuare con maggiore linfa un forte braccio di ferro a sinistra col PSI. Occhetto chiude avvertendo che «prima viene la cosa e poi il nome. E la cosa è la costruzione in Italia di una nuova forza politica». Da questo momento in poi il dibattito sulla svolta della Bolognina sarà anche conosciuto come il "dibattito sulla Cosa". Il CC si conclude il 24 novembre con il voto di 326 membri su 374: 219 sì, 73 no e 34 astenuti all'ordine del giorno col quale «il CC del Pci assume la proposta del segretario di dar vita ad una fase costituente di una nuova formazione politica», ma al contempo si accetta la proposta delle opposizioni di indire un congresso straordinario entro quattro mesi per decidere se dar vita a un nuovo partito. Fra i no a Occhetto pesa quello del presidente Natta. Il 21 novembre lascia il Pci, dopo trent'anni, il deputato genovese Antonio Montessoro: «Non avevo scelta: quando ti accorgi che la situazione sta precipitando, stupidamente; di fronte all'inaffidabilità di questo gruppo dirigente, ad una prova di imperizia e di inesperienza assoluta, non potevo fare altrimenti. Mi sono sentito defraudato del mio lavoro, dei trent'anni di vita dedicati al partito: e me ne sono andato»[31]. Dal 23 novembre Montessoro è iscritto al gruppo misto.

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