07 dicembre, 2012
PROMEMORIA 7 dicembre 1988 – In Armenia un terremoto di magnitudo 6,9 della Scala Richter uccide quasi 25.000 persone, oltre a provocare 15.000 feriti e 400.000 senzatetto.
In Armenia un terremoto di magnitudo 6,9 della Scala Richter uccide quasi 25.000 persone, oltre a provocare 15.000 feriti e 400.000 senzatetto.
Il 7 dicembre 1988 un violentissimo terremoto valutato intorno agli 11 punti della scala Mercalli provocò circa 25.000 morti ed un numero impressionante di feriti e senza tetto in varie città dell’Armenia.
Dinamica dell’intervento
Siamo stati trasportati con un aereo militare fino all’aeroporto di Erevan, la capitale, dove siamo giunti alla sera e da dove in pulman siamo stati trasferiti a Spitak giungendovi all’alba. Subito abbiamo montato le nostre tende e poi senza dormire abbiamo cominciato ad operare in un zuccherificio.
Prima di operare la polizia ci ha chiesto su quali frequenze trasmettevano le nostre radio portatili. Il nostro operare era estremamente complicato dal fatto che il camminare era intralciato notevolmente dalla melassa che, uscendo dai serbatoi distrutti, aveva invaso la fabbrica facendosi ancor più densa per via del forte freddo.
Tantè che nei locali sotto il livello del terreno non abbiamo potuto operare, pena il rimanerci. Abbiamo poi operato in città, sempre discretamente accompagnati e indirizzati dove operare dalla polizia. Questo per il primo giorno, poi avendo constatato che operavamo professionalmente e in tranquillità ed avevamo subito intavolato un buon rapporto con la popolazione, non ci ha più accompagnato.
Un effetto del terremoto è risultato evidente dal fatto che il centro della città era distrutto completamente, mentre la periferia molto meno, come se fosse passato qualche cosa che avesse delimitato con precisione i lati esterni del proprio passaggio.
Con questo fenomeno il centro del terremoto aveva delimitato il proprio passaggio. Abbiamo operato poi anche nella città di Kirovakan quasi completamente rasa al suolo.
Poi siamo andati per i piccoli paesi in montagna, per piste e strade impraticabili sia per il fango che per la neve a controllare case e scuole distrutte. Una volta siamo stati chiamati in una località distante perché via radio ci avevano comunicato che un soccorritore nell’operare era caduto in un pozzo.
Per fortuna dopo poco, sempre via radio, ci è stato comunicato il suo salvataggio. Abbiamo parlato con molta gente locale, tutta affabile e cortese e desiderosa di agevolarci. In una delle tende del nostro campo vi era anche un piccola infermeria.
Qui era stato portato fra gli altri un soldato ferito gravemente alla testa perché coinvolto in un incidente stradale, ed il nostro dottore-rianimatore riuscì a metterlo in condizioni di essere trasportato, era notte, all’ospedale della capitale distante varie ore di strada di montagna. I superiori del soldato disperavano che potesse essere salvato, ma questo fu possibile tramite il dottore.
Dato che operavamo senza farci tanti problemi e perché eravamo autonomi potendo contare su due Land Rover che avevamo portato dall’Italia, un ufficiale in divisa del contingente inglese venne al nostro accampamento per consigliarsi come poter meglio coordinare l’operatività fra i vari gruppi che erano immobilizzati dal fatto che non avevano portato con se mezzi di locomozione.
Questo era una cosa estremamente condizionante dato che essi potevano operare in un raggio limitato dalla distanza. Il nostro accampamento di notte dopo un paio di giorni dal nostro arrivo, dovette essere pattugliato da militari che ogni tanto dovevano sparare con i mitra per tenere lontano lupi e cani randagi che si aggiravano nelle vicinanze, attratti dai cadaveri insepolti che giacevano nel cimitero posto vicino al nostro accampamento. Il Presidente dell’allora Unione Sovietica venne di persona a ringraziarci al nostro accampamento.
Il nostro è stato un buon operare, visto che pochi giorni dopo dal ritorno, il governo ci ha fatto avere la copia di una stesura dell’accordo avvenuto dopo il nostro intervento, a firma dell’allora ministro degli esteri Gianni De Michelis, , per interventi in caso di calamità naturali con il governo Armeno. A Roma poi fummo chiamati dall’ambasciatore dell’Unione Sovietica il quale, ci consegnò una medaglia.
Questa ci dissero che solo a pochi soccorritori sarebbe stata consegnata. Al ritorno avemmo guai con l’aereo dato che come poi ci fu detto una cinghia di plastica che avvolge i pacchi era entrata in un comparto del motore. Dovemmo fare scalo per varie ore nella notte in Turchia. Per fortuna ci accompagnava la Presidente della Croce Rossa italiana la Signora Maria Pia Fanfani, la quale pur essendo tutto chiuso e è riuscita a farci avere del cibo.
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