17 maggio, 2009

PROMEMORIA 17 maggio 1981 - Con un referendum, gli italiani confermano la legge sull'aborto del 1978


Con un referendum, gli italiani confermano la legge sull'aborto del 1978.

Legislazione precedente al 1978
Prima del 1978, l'interruzione volontaria di gravidanza (IVG), in qualsiasi sua forma, era considerata dal codice penale italiano un reato (art. 545 e segg. cod. pen., abrogati nel 1978). In particolare:
causare l'aborto di una donna non consenziente (o consenziente, ma minore di quattordici anni) era punito con la reclusione da sette a dodici anni (art. 545),
causare l'aborto di una donna consenziente era punito con la reclusione da due a cinque anni, comminati sia all'esecutore dell'aborto che alla donna stessa (art. 546),
procurarsi l'aborto era invece punito con la reclusione da uno a quattro anni (art. 547).
istigare all'aborto, o fornire i mezzi per procedere ad esso era punito con la reclusione da sei mesi a due anni (art. 548).
In caso di lesioni o morte della donna le pene erano ovviamente inasprite (art. 549 e 550), ma, nel caso "... alcuno dei fatti preveduti dagli articoli 545, 546, 547, 548 549 e 550 è stato commesso per salvare l'onore proprio o quello di un prossimo congiunto, le pene ivi stabilite sono diminuite dalla metà ai due terzi." (art. 551).
La regolamentazione dell'IVG del 1978 [modifica]
Nel 1975 il tema della regolamentazione dell'aborto riceveva l'attenzione dei mezzi di comunicazione, in particolare dopo l'arresto del segretario del Partito Radicale Gianfranco Spadaccia, della segretaria del Centro Informazioni Sterilizzazione Aborto (CISA) Adele Faccio e della militante radicale Emma Bonino, per aver praticato aborti, dopo essersi autodenunciati alle autorità di polizia (azione nonviolenta dei radicali).
Il CISA era un organismo fondato da Adele Faccio che con molte altre donne si proponeva di combattere la piaga dell'aborto clandestino, creando i primi consultori in Italia e organizzando dei «viaggi della speranza» verso le cliniche inglesi e olandesi, dove grazie a voli charter e a convenzioni contrattate dal CISA, era possibile per le donne avere interventi medici a prezzi contenuti e con i mezzi tecnologicamente più evoluti. Nel 1975 dopo un incontro prima con Marco Pannella e poi con Gianfranco Spadaccia il CISA si federava con il Partito radicale, e in poche settimane entrava in funzione l'ambulatorio di Firenze presso la sede del partito.
Il 5 febbraio una delegazione comprendente Marco Pannella e Livio Zanetti, direttore de L’Espresso, presentava alla Corte di Cassazione la richiesta di un referendum abrogativo degli articoli nn. 546, 547, 548, 549 2° Comma, 550, 551, 552, 553, 554, 555 del codice penale, riguardanti i reati d'aborto su donna consenziente, di istigazione all’aborto, di atti abortivi su donna ritenuta incinta, di sterilizzazione, di incitamento a pratiche contro la procreazione, di contagio da sifilide o da blenorragia.
Cominciava in questo modo la raccolta firme. Il referendum era patrocinato dalla Lega XIII Maggio e da L’Espresso, che lo promossero unitamente al Partito Radicale e al Movimento di liberazione della donna. Tra le forze aderenti figuravano Lotta continua, Avanguardia operaia e PdUP-Manifesto.
Dopo aver raccolto oltre 700.000 firme, il 15 aprile del 1976 con un Decreto del Presidente della Repubblica veniva fissato il giorno per la consultazione referendaria, ma lo stesso Presidente Leone il primo maggio fu costretto a ricorrere per la seconda volta allo scioglimento delle Camere. Erano forti i timori dei partiti per le divisioni che poteva provocare una nuova consultazione popolare dopo l’esperienza del referendum sul divorzio dell'anno precedente.
Il bisogno di adeguare la normativa si è presentato al legislatore anche in seguito alla sentenza n.27 del 18 febbraio 1975 della Corte Costituzionale. Con questa sentenza la Suprema Corte, pur ritendendo che la tutela del concepito ha fondamento costituzionale, consentiva il ricorso alla IVG per motivi molto gravi.
La legge italiana sulla IVG è la Legge n.194 del 22 maggio 1978 (detta anche più semplicemente "la 194") con la quale sono venuti a cadere i reati previsti dal titolo X del libro II del codice penale con l'abrogazione degli articoli dal 545 al 555, oltre alle norme di cui alle lettere b) ed f) dell'articolo 103 del T.U. delle leggi sanitarie.
La 194 consente alla donna, nei casi previsti dalla legge (vedi sotto), di poter ricorrere alla IVG in una struttura pubblica (ospedale o poliambulatorio convenzionato con la Regione di appartenenza), nei primi 90 giorni di gestazione; tra il quarto e quinto mese è possibile ricorrere alla IVG solo per motivi di natura terapeutica.
Il prologo della legge (art. 1), recita:
Lo Stato garantisce il diritto alla procreazione cosciente e responsabile, riconosce il valore sociale della maternità e tutela la vita umana dal suo inizio.
L'interruzione volontaria della gravidanza, di cui alla presente legge, non è mezzo per il controllo delle nascite.
Lo Stato, le regioni e gli enti locali, nell'ambito delle proprie funzioni e competenze, promuovono e sviluppano i servizi socio-sanitari, nonché altre iniziative necessarie per evitare che l'aborto sia usato ai fini della limitazione delle nascite.
L'art. 2 tratta dei consultori e della loro funzione in relazione alla materia della legge, indicando il dovere che hanno della donna in stato di gravidanza:
informarla sui diritti garantitigli dalla legge e sui servizi di cui può usufruire;
informarla sui diritti delle gestanti in materia laborale;
suggerire agli enti locali soluzioni a maternità che creino problemi;
contribuire a far superare le cause che possono portare all'interruzione della gravidanza.
Nei primi novanta giorni di gravidanza il ricorso alla IVG è permesso alla donna quando
circostanze per le quali la prosecuzione della gravidanza, il parto o la maternità comporterebbero un serio pericolo per la sua salute fisica o psichica, in relazione o al suo stato di salute, o alle sue condizioni economiche, o sociali o familiari, o alle circostanze in cui è avvenuto il concepimento, o a previsioni di anomalie o malformazioni del concepito (art. 4).
Come risulta dalle amplissime formule usate dalla legge, le possibilità di accedere alla IVG nei primi novanta giorni sono praticamente illimitate e comunque la decisione finale spetta soltanto alla donna.
La IVG è permessa dalla legge anche dopo i primi novanta giorni di gravidanza (art. 6):
quando la gravidanza o il parto comportino un grave pericolo per la vita della donna;
quando siano accertati processi patologici, tra cui quelli relativi a rilevanti anomalie o malformazioni del nascituro, che determinino un grave pericolo per la salute fisica o psichica della donna.
Le minori e le donne interdette devono ricevere l'autorizzazione del tutore o del tribunale dei minori per poter effettuare la IVG. Ma, al fine di tutelare situazioni particolarmente delicate, la legge 194 prevede che (art.12)
...nei primi novanta giorni, quando vi siano seri motivi che impediscano o sconsiglino la consultazione delle persone esercenti la potestà o la tutela, oppure queste, interpellate, rifiutino il loro assenso o esprimano pareri tra loro difformi, il consultorio o la struttura socio-sanitaria, o il medico di fiducia, espleta i compiti e le procedure di cui all'articolo 5 e rimette entro sette giorni dalla richiesta una relazione, corredata del proprio parere, al giudice tutelare del luogo in cui esso opera. Il giudice tutelare, entro cinque giorni, sentita la donna e tenuto conto della sua volontà, delle ragioni che adduce e della relazione trasmessagli, può autorizzare la donna, con atto non soggetto a reclamo, a decidere la interruzione della gravidanza.
La legge stabilisce che le generalità della donna rimangano anonime.
La legge prevede inoltre che "il medico che esegue l'interruzione della gravidanza è tenuto a fornire alla donna le informazioni e le indicazioni sulla regolazione delle nascite" (art. 14).
Il ginecologo può esercitare l'obiezione di coscienza. Se al monento dell'intervento non sono disponibili medici non obiettori, il medico di turno è tenuto a praticare l'aborto alla donna richiedente.
La donna ha anche il diritto a lasciare il bambino in affido all'ospedale per una successiva adozione, e a restare anonima.
Questa legge è stata confermata dagli elettori con una consultazione referendaria il 17 maggio 1981.

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