30 aprile, 2012
PROMEMORIA 30 aprile 1945 Adolf Hitler ed Eva Braun si suicidano dopo essere stati sposati per un giorno, il grandammiraglio Karl Dönitz diventa nuovo presidente del reich;
Adolf Hitler ed Eva Braun si suicidano dopo essere stati sposati per un giorno, il grandammiraglio Karl Dönitz diventa nuovo presidente del reich;
Le sue armate tedesche non riuscirono ad arrestare l'avanzata degli alleati, e mentre i sovietici si aprivano la strada verso il centro di Berlino, secondo le voci ufficiali, Hitler si suicidò nel suo bunker il 30 aprile 1945, insieme alla storica amante Eva Braun che aveva sposato il giorno prima. Aveva 56 anni. Come parte delle sue ultime volontà, ordinò che il suo corpo venisse portato all'esterno e bruciato. Nel suo testamento, scaricò tutti gli altri leader nazisti e nominò il grandammiraglio Karl Dönitz come nuovo Presidente del Reich e Joseph Goebbels come nuovo Cancelliere del Reich. Tuttavia quest'ultimo si suicidò il 1º maggio 1945 insieme alla moglie dopo aver ucciso i suoi sei figli. L'8 maggio 1945, la Germania si arrese. Il "Reich millenario" di Hitler era durato poco più di 12 anni.
I resti parzialmente carbonizzati di Hitler vennero trovati e identificati dai sovietici (attraverso le impronte delle arcate dentarie) e in seguito seppelliti a Magdeburgo nella Germania orientale. Pare che intorno all'aprile 1970 nella zona in cui i resti furono seppelliti, venne deciso di costruire una zona residenziale. I servizi segreti sovietici, quindi, riesumarono i resti di Hitler, di Eva Braun, di Joseph Goebbels e della sua famiglia, li cremarono e infine gettarono le ceneri nel fiume Elba. Attualmente rimangono a Mosca, nell'archivio di stato della federazione russa, una parte di calotta cranica e di mandibola di Adolf Hitler
29 aprile, 2012
Sopravviverà il ceto medio alla crisi? Incontro sul libro "L'eclissi della borghesia"
Sopravviverà il ceto medio alla crisi? Incontro sul libro "L'eclissi della borghesia"
Giovedì 3 maggio, alle ore 18.00, presso Palazzo Incontro – nel cuore di Roma, in via dei Prefetti 22 – il tema in discussione sarà “Sopravviverà il ceto medio alla crisi ?”.
Le riflessioni sull’argomento partiranno dal volume, edito da Laterza, “L’eclissi della borghesia” di Giuseppe De Rita e Antonio Galdo.
Ne parleranno il presidente della Provincia di Roma Nicola Zingaretti e Giuseppe De Rita, presidente del Censis (Centro Studi Investimenti Sociali).
A moderare l’incontro sarà Marco Panara, responsabile di Affari&Finanza/la Repubblica.
Sicurezza stradale: Colaceci premia “Teenagers on the road”
Sicurezza stradale: Colaceci premia “Teenagers on the road”
La Provincia di Roma ha realizzato ‘Teenagers on the road’ una campagna informativa sull’educazione stradale rivolta agli alunni degli istituti di scuola media superiore del territorio provinciale.
Questa mattina l’assessore alla Mobilità e Trasporti, Amalia Colaceci ha incontrato i ragazzi del liceo scientifico di Olevano Romano ‘Cartesio’, risultato vincitore.
L’Amministrazione provinciale ha sottoposto agli studenti un quiz strutturato per verificare la conoscenza delle regole tecniche basilari del codice della strada e delle norme di comportamento da tenere alla guida.
Oltre al quiz tecnico i ragazzi hanno ricevuto anche un quiz in lingua inglese realizzato con l’ausilio della ‘International Language School’ che ha predisposto un premio speciale per i vincitori.
All’iniziativa hanno partecipato 18 Istituti di scuola media superiore della provincia di Roma, che hanno selezionato 20 studenti dell’ultimo anno ciascuno i quali hanno potuto competere con le altre scuole rispondendo online ai quiz nei limiti di tempo concessi.
Al primo Istituto scolastico classificato andrà un soggiorno premio per i 20 studenti più l’accompagnatore a Londra dal 6 al 12 maggio.
“Anche quest’anno – ha spiegato Colaceci - abbiamo deciso di dedicare tempo e risorse per i giovani della provincia, attraverso un’iniziativa che coniuga l’educazione alla sicurezza stradale e la conoscenza della lingua inglese. I ragazzi avranno, infatti, non solo l’opportunità di visitare una grande capitale europea, ma anche di conoscere esperti in sicurezza stradale di Scotland Yard, che mostreranno loro il grande rispetto per il codice della strada che è segno identificativo e di civiltà nel Regno Unito”.
“Ringrazio tutti gli istituti che hanno partecipato all’iniziativa – ha concluso l’assessore Colaceci – segno che i ragazzi del territorio rispondono sempre con entusiasmo e mettono in campo tutta la loro intelligenza, se vengono stimolati nella maniera più vicina al loro mondo”.
Radio Due Ore Web
Ha iniziato, il 19 aprile 2012, le sue trasmissione Radio Due Ore Web. Il contenuto della terza trasmissione sarà dedicato esclusivamente alla Storia del Primo Maggio con particolare attenzione alla Strage di Portella della Ginestra. E' sufficiente collegarsi sul profilo facebook di Roberto Chiappini per poter ascoltare la trasmissione....Buon Ascolto!!!
Ambiente: la Provincia di Roma premiata a Vienna da Alleanza per il Clima con "Climate Star 2012"
La Provincia di Roma ha ricevuto, tra i pochi enti locali europei, il prestigioso premio “Climate Star 2012” di Alleanza per il Clima, l’associazione di Comuni ed enti territoriali europei che hanno l’obiettivo della lotta ai cambiamenti climatici.
“Siamo contenti per questo prestigioso riconoscimento che ci incoraggia a proseguire nella direzione che abbiamo intrapreso in questi anni per rendere più sostenibile il territorio provinciale e per la lotta ai cambiamenti climatici”.
Lo ha dichiarato l’assessore alle Politiche del Territorio e alla Tutela ambientale della Provincia di Roma Michele Civita, che ha ritirato il premio consegnato nel corso di una cerimonia al Castello “Hof”, nei pressi di Vienna, per conto dell’Amministrazione provinciale.
“E’ stato premiato il nostro impegno per la salvaguardia dell’ambiente che si è concretizzato, in questi anni, in un piano molto vasto, chiamato 'Provincia di Kyoto' – ha spiegato Civita - con cui la Provincia di Roma si pone il raggiungimento degli obiettivi indicati dal pacchetto clima dell’Unione Europea”.
“Con il Piano di Azione sono state individuate alcune sfide per lo sviluppo sostenibile del nostro territorio – ha ricordato l’assessore provinciale – come la pianificazione territoriale, il risparmio idrico e la qualità delle acque, lo sviluppo delle energie alternative e l’uso razionale dell’energia, la riduzione dei rifiuti e la raccolta differenziata, la biodiversità e l’amministrazione sostenibile”.
”Il Piano di Azione – ha aggiunto Civita – ha consentito di elaborare un programma articolato che ha mobilitato investimenti per circa 540 milioni di euro. Per sostenere questo impegno la Provincia di Roma ha condiviso la strategia dell’Unione Europea 20-20-20 oltre ad aderire al World Environment Day istituito dall’Assemblea delle Nazioni Unite”.
“Nel giugno 2009, inoltre, la Provincia di Roma è entrata a fare parte del 'Patto dei Sindaci' come 'Struttura di supporto'. Abbiamo approvato, tra i primi enti locali in Europa, il Piano di Azione per l’Energia Sostenibile (SEAP) – ha sottolineato Civita - con il quale ci proponiamo di coordinare tutte le azioni che abbiamo messo in campo per contribuire al raggiungimento degli obiettivi di riduzione delle emissioni inquinati. Sono 31 i Comuni della Provincia di Roma che hanno aderito al Patto, per 500mila abitanti coinvolti. Grazie al supporto tecnico della Provincia di Roma sono stati realizzati i primi 16 bilanci di Co2 in altrettanti Comuni e, sulla base di questi, saranno predisposti i relativi SEAP comunali”.
”L’obiettivo che ci siamo dati, e che viene riconosciuto con il prestigioso premio di Alleanza per il Clima, è quello di rendere strutturali – ha concluso Civita - per il governo del territorio le politiche per il risparmio, per l’efficientamento energetico e per la riduzione delle emissioni inquinanti attraverso il ricorso progressivo alle fonti rinnovabili”.
PROMEMORIA 29 aprile 1943 – Seconda guerra mondiale/Varsavia: rivolta degli ebrei rinchiusi nel ghetto
Seconda guerra mondiale/Varsavia: rivolta degli ebrei rinchiusi nel ghetto
La Rivolta del ghetto di Varsavia (tedesco: Großaktion Warschau), chiamata anche Rivolta di Varsavia del 1943, fu un'insurrezione ebraica in Polonia nel ghetto di Varsavia contro le autorità occupanti della Germania durante la seconda guerra mondiale. La rivolta principale cominciò il 19 aprile 1943 fino al 16 maggio di quell'anno e fu infine sedata dall'allora Brigadeführer (diventato in seguito SS-Gruppenführer) Jürgen Stroop. La rivolta principale fu anticipata il 18 gennaio 1943 da un'azione civile armata contro i tedeschi.
La Rivolta del ghetto di Varsavia non deve essere confusa con la rivolta di Varsavia che ebbe luogo l'anno successivo.
Dall'inizio del 1940, i nazisti cominciarono a concentrare in Polonia oltre 3 milioni di ebrei in sovraffollati ghetti dislocati in varie città polacche. Il più grande di questi, quello di Varsavia, conteneva 380.000 persone in un'area densamente popolata nel centro della città.
Migliaia di ebrei morirono di stenti o in conseguenza di epidemie prima che i nazisti cominciassero la massiccia deportazione degli ebrei del ghetto verso il campo di sterminio di Treblinka. All'inizio delle deportazioni, i membri dell'ambiente giudaico si incontrarono, ma decisero di non resistere, sperando che gli ebrei fossero veramente spediti in campi di lavoro piuttosto che verso la loro morte. Alla fine del 1942 fu chiaro che le deportazioni erano invece indirizzate ai campi di morte, e molti dei rimanenti 40.000-50.000 ebrei decisero di resistere, e circa dalle 750 alle 1000 persone, inclusi i bambini, combatterono realmente.
Il 18 gennaio 1943 si verificò il primo caso dell'insurrezione armata, quando i tedeschi iniziarono una seconda ondata di deportazione degli ebrei a seguito di un ordine impartito da Heinrich Himmler, comandante delle SS, che ordinava la deportazione di circa 24.000 ebrei. Gli ebrei insorti realizzarono un successo considerevole, impedendo la realizzazione dell'ordine: solo 650 ebrei vennero deportati. Dopo quattro giorni di combattimenti le unità tedesche uscirono dal ghetto e le organizzazioni insorte ŻOB e ŻZW presero il controllo del ghetto, costruendo dozzine di posti di combattimento e operando contro i collaborazionisti ebraici.
Himmler, contrariato per l'inaspettata resistenza scrisse, il 1 febbraio 1943, al comandante delle SS e della polizia per il Governatorato Generale, Krüger ordinandogli: «Per ragioni di sicurezza Le ordino di distruggere il ghetto di Varsavia dopo aver trasferito da là il campo di concentramento».
L'ordine prevedeva inoltre la salvaguardia di tutte le installazioni produttive all'interno del ghetto che avrebbero dovuto essere trasferite, insieme agli operai considerati "utili" allo sforzo bellico, presso altri ghetti dove avrebbero ripreso la produzione, principalmente lavori di sartoria per l'esercito.
A tal fine, tra febbraio e marzo, le autorità tedesche, in collaborazione con alcuni imprenditori della zona, cercarono di convincere i lavoratori ad uscire spontaneamente dal ghetto. Queste pressioni non ebbero però successo, anzi, fecero confluire molti operai nelle file dei movimenti di resistenza armata.
Nel frattempo, all'interno del ghetto, gli abitanti si prepararono a quella che avevano ormai capito sarebbe stata l'ultima battaglia. Migliaia di bunker vennero scavati sotto le case, molti collegati tra loro attraverso le condotte di scarico e collegati al sistema idrico ed elettrico. In alcuni casi i bunker erano inoltre collegati a tunnel che portavano all'esterno del ghetto, in zone sicure della città di Varsavia.
Il supporto della resistenza esterna al ghetto fu limitato, ma le unità polacche appartenenti all'Armia Krajowa e alla Gwardia Ludowa attaccarono sporadicamente le unità tedesche di guardia all'esterno del ghetto e cercarono di farvi penetrare armi e munizioni. In parte questi sforzi vennero rallentati da motivi politici: i rappresentanti della ŻOB erano vicini all'Unione Sovietica e che la Resistenza polacca temeva come futuro ostacolo ad una Polonia indipendente dopo la sconfitta delle forze tedesche. Nonostante questo uno speciale comando dell'Armia Krajowa, comandato da Henryk Iwański, combatté all'interno del ghetto a fianco delle formazioni nazionaliste ebraiche della ŻZW. Vennero inoltre tentati due attentati dinamitardi contro le mura del ghetto, che però non sortirono nessun effetto.
La battaglia finale si scatenò nel periodo del Pesach, la Pasqua ebraica, il 19 aprile 1943. I tedeschi inviarono all'interno del ghetto una forza di 2.054 soldati, tra i quali 821 appartenenti all'élite delle Waffen-SS e 363 poliziotti polacchi. I difensori li accolsero con un fuoco di armi leggere e lancio di granate lanciate dalle finestre dei piani più alti dei palazzi. I tedeschi reagirono cannoneggiando tutte le case ed incendiandole. Gli incendi produssero presto una grave carenza d'ossigeno all'interno dei bunker sotterranei che si trasformarono in una mortale trappola soffocante.
La resistenza significativa cessò il 23 aprile e la rivolta venne ufficialmente considerata risolta il 13 maggio, quando il comandante tedesco, Jürgen Stroop, per celebrare il successo, ordinò di radere al suolo la Grande Sinagoga di Varsavia. Nonostante questo, per tutta l'estate del 1943 dal ghetto continuarono a provenire sporadici colpi ad opera degli ultimi difensori.
Durante i combattimenti persero la vita circa 7.000 ebrei ed ulteriori 6.000 morirono bruciati nelle case in fiamme o soffocati all'interno dei bunker sotterranei. I rimanenti 50.000 abitanti vennero deportati presso diversi campi di sterminio, per la maggior parte presso il campo di Treblinka. I tedeschi persero circa 300 uomini tra soldati e collaboratori polacchi.
Terminata la rivolta, il ghetto venne demolito con la distruzione della maggior parte delle case superstiti e divenne il punto per le esecuzioni di prigionieri ed ostaggi polacchi. Successivamente sulle rovine del ghetto venne costruito il campo di concentramento KL Warschau. Durante la successiva insurrezione di Varsavia del 1944, un battaglione dell'Armia Krajowa riusci a salvare circa 380 ebrei dalle prigioni di Gęsiówka e Pawiak, molti dei quali entrarono immediatamente a far parte dell'unità.
Fotografia tratta dal rapporto stilato da Jürgen Stroop nel maggio 1943 inviato ad Heinrich Himmler. La didascalia originale in tedesco indicava: "Fatti uscire forzatamente dai nascondigli".
Il rapporto finale stilato da Jürgen Stroop il 16 maggio 1943, riportava:
« 180 ebrei, banditi e subumani sono stati distrutti. Il quartiere ebreo di Varsavia non esiste più. L'azione principale è stata terminata alle ore 20:15 con la distruzione della sinagoga di Varsavia... Il numero totale degli ebrei eliminati è di 56.065, includendo sia gli ebrei catturati che quelli del quale lo sterminio può essere provato. »
L'insurrezione del ghetto del 1943 viene a volte confusa con la rivolta di Varsavia del 1944. I due eventi furono separati nel tempo ed ebbero due obiettivi diversi. Il primo, nel ghetto, fu l'opportunità di morire combattendo, con una piccola speranza di salvezza, invece che andare incontro a morte sicura nei campi di concentramento, scelta all'ultimo momento possibile prima della deportazione. La seconda fu un'azione coordinata nel quadro dell'Operazione Tempest dell'Armia Krajowa.
Esistono comunque alcuni paralleli: una parte - circa cento - dei combattenti del ghetto presero parte al successivo combattimento; la brutalità della repressione tedesca fu simile e alcuni comandanti della rivolta di Varsavia presero spunto dall'esperienza fatta nei combattimenti del ghetto.
Alcuni sopravvissuti all'insurrezione del ghetto, conosciuti come i "combattenti del ghetto", incluso Icchak Cukierman (vicecomandante della ŻOB), dopo la guerra si trasferirono in Israele, presso il kibbutz Lohamey ha-Geta'ot (Combattenti del Ghetto). Nel 1984 i membri del kibbutz pubblicarono Dapei Edut (Testimonianze dei sopravvissuti), quattro volumi di ricordi personali di 96 membri del kibbutz. Situato a nord di San Giovanni d'Acri, il kibbutz possiede un museo ed un archivio dedicato alla memoria dell'Olocausto.
26 aprile, 2012
PROMEMORIA 26 aprile 1954 – Si apre la Conferenza di Ginevra: scopo riportare la pace in Indocina ed in Corea
Si apre la Conferenza di Ginevra: scopo riportare la pace in Indocina ed in Corea
La Conferenza di Ginevra (26 aprile - 21 luglio 1954) è una conferenza fra diversi paesi che volevano terminare le ostilità e riportare la pace nell'Indocina francese e in Corea. Produsse una serie di trattati noti come gli Accordi di Ginevra, firmati per la Francia da Pierre Mendès-France e per il Vietnam del Nord da Pham Van Dong.
Antefatti
Durante la Guerra d'Indocina la Francia aveva provato a ripristinare il potere coloniale in Indocina, ma nonostante l'aiuto statunitense erano stati sconfitti nel 1954 dalle forze sotto il comando di Ho Chi Minh e dal Viet Minh, in particolare nella Battaglia di Dien Bien Phu. L'importanza di ciò stava nel fatto che era la prima volta che una nazione occidentale veniva sconfitta da un movimento indigeno di resistenza del Sud-est asiatico.
Gli accordi di Ginevra
Il 27 aprile 1954 la Conferenza portò a una dichiarazione che sosteneva l'integrità territoriale e la sovranità dell'Indocina garantendo così l'indipendenza dalla Francia. Inoltre la dichiarazione della Conferenza concordava sulla cessazione delle ostilità e del coinvolgimento straniero (o di truppe) negli affari interni dell'Indocina. Furono disegnate zone nord e zone sud, entro le quali le truppe avversarie si dovevano ritirare, per facilitare la cessazione delle ostilità fra le forze vietnamite e quelle che avevano supportato la Francia. Il Viet Minh, che era avanzato nel profondo sud per combattere i Francesi, si ritirò da queste posizioni a nord della linea del cessate il fuoco, aspettando l'unificazione sulla base di elezioni libere con supervisione internazionale che si sarebbero dovute tenere nel luglio del 1956 (Articolo 3). Le forze francesi abbandonarono quasi del tutto il Vietnam, benché gran parte dell'infrastruttura governativa regionale nel Sud fosse la stessa che c'era sotto i Francesi.
Una Commissione Internazionale di Controllo fu creata per garantire il rispetto degli Accordi di Ginevra, ma era fondamentalmente priva di poteri per portare a termine il proprio compito. Ne facevano parte India, Canada e Polonia.
L'accordo era fra la Cambogia, la Repubblica Democratica del Vietnam, la Francia, il Laos, la Repubblica Popolare Cinese, lo Stato del Vietnam, l'Unione Sovietica, il Regno Unito e gli Stati Uniti.
Eventi successivi alla dichiarazione
Le forze comuniste erano state utili per la sconfitta della Francia, quindi l'ideologia nazionalista fu profondamente influenzata dal comunismo: "comunista" e "combattente per la libertà" divennero sinonimi nella mente di molti Vietnamiti.
Ho Chi Minh prevedeva di essere eletto da una grossa fetta della popolazione nelle imminenti elezioni e quindi era convinto di riuscire ad instaurare un regime comunista in tutto il paese.
Dopo la fine delle ostilità, vi fu una grande migrazione. 450.000 persone, per lo più Cattolici, si trasferirono a sud della linea del cessate-il-fuoco stabilita dagli Accordi. La C.I.A. tentò di influenzare ulteriormente i Cattolici Vietnamiti con slogan come "la Vergine Maria si sta trasferendo a sud". 52.000 persone andarono a nord, ma i sostenitori dei Comunisti furono esortati a restare al sud per votare nelle future elezioni.
Sostenuto dagli Stati Uniti, Ngo Dinh Diem si assicurò il potere al sud. In un referendum per la sua leadership ottenne circa il 98% dei voti, di cui una grande percentuale a Saigon.
La conferenza aveva stabilito che le elezioni nazionali si sarebbero dovute tenere nel giro di due anni, ma Diem, inimicandosi sempre più la popolazione del sud, represse i sostenitori delle elezioni ed esse non vi furono mai. Altre repressioni e l'idea che non vi sarebbero state libere consultazioni, portarono i Sud-Vietnamiti, che si opponevano a Diem, a formare il Fronte di Liberazione Nazionale (meglio noto come Viet Cong) il quale, lanciando attacchi di guerriglia contro il governo della Repubblica del Vietnam, si batteva per la riunificazione del Paese sotto il comunismo. I Viet Cong erano sostenuti dall'Armata Popolare Vietnamita del Nord.
Costantemente appoggiato dagli Stati Uniti, il governo di Diem rifiutò più volte di aprire un dialogo con la Repubblica Democratica del Vietnam riguardo alle elezioni generali: il Sud sosteneva di non dover onorare l'accordo in quanto non ne era fra i firmatari.
Le attività di guerriglia nel Sud crebbero giorno per giorno, mentre consiglieri militari statunitensi continuavano ad aiutare l'Esercito della Repubblica del Vietnam. Il risultato fu la Guerra del Vietnam.
A Palazzo Valentini "La Moda è di moda". Incontro con i protagonisti del Made in Italy
A Palazzo Valentini "La Moda è di moda". Incontro con i protagonisti del Made in Italy
Il Presidente della Provincia di Roma, Nicola Zingaretti, ha presentato “La Moda è di moda. Incontro con i protagonisti del Made in Italy” con l’ideatore e coordinatore degli incontri Stefano Dominella.
La conferenza stampa di presentazione si è svolta presso la Sala Peppino Impastato di Palazzo Valentini.
L’iniziativa, che avrà come palcoscenico ideale il Teatro Studio dell’Auditorium Parco della Musica di Roma, ha l’obiettivo di far avvicinare e di far conoscere al pubblico le grandi firme del Made in Italy, il percorso formativo, la filosofia di prodotto e d’immagine, svelandone anche le ansie e gli aneddoti della vita lavorativa.
Fin dietro le quinte, il backstage della creatività. Un incontro diretto, suddiviso in quattro serate, con quattro grandi nomi del fashion system italiano, racconti di moda e di vita moderati da Laura Laurenzi, Cinzia Malvini, Mariella Milani e Paola Cacianti.
Protagonisti dell’evento “La Moda e di moda” saranno anche i giovani. Il focus sulle nuove generazioni appassionate di moda si svilupperà attraverso la partecipazione di scuole di design e moda. Per ogni sera, una parte del Teatro Studio della manifestazione sarà riservata agli studenti dei vari corsi.
L’iniziativa, promossa dalla Provincia di Roma, nell'ambito del Progetto ABC Arte Bellezza Cultura, è a cura di Stefano Dominella.
25 aprile, 2012
PROMEMORIA 25 aprile 1982 - Israele completa il suo ritiro dalla Penisola del Sinai dopo gli accordi di Camp David
Israele completa il suo ritiro dalla Penisola del Sinai dopo gli accordi di Camp David
Gli accordi di Camp David sono stati firmati dal presidente egiziano Anwar al-Sadat e dal Primo Ministro israeliano Menachem Begin il 17 settembre 1978, dopo dodici giorni di negoziati segreti a Camp David. I due accordi sono stati firmati alla Casa Bianca sotto l'auspicio del Presidente degli Stati Uniti Jimmy Carter. Gli accordi hanno portato direttamente al Trattato di pace israelo-egiziano del 1979.
Gli accordi [modifica]
Ci sono stati due accordi di Camp David nel 1978: Un quadro per Pace in Medio Oriente e un quadro per la Conclusione di un Trattato di pace tra Egitto e Israele.
Il primo accordo aveva tre parti. La prima parte è stata un quadro per i negoziati di istituire una autonoma autorità auto-disciplinante in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza, ed attuare pienamente la Risoluzione 242 del Consiglio di Sicurezza ONU. È stato meno chiaro riguardo gli accordi relativi al Sinai, e più tardi è stato interpretato diversamente da Israele, Egitto, e gli Stati Uniti. Il destino di Gerusalemme, come avverrà in occasione degli accordi di Oslo del 1993, è stato deliberatamente escluso dal presente accordo.
La seconda parte, affrontava le relazioni israelo-egiziane. La terza parte dei "Principi associati" dichiarava i principi che devono applicarsi alle relazioni tra Israele e tutti i suoi vicini arabi.
Il secondo accordo delineava una base per il trattato di pace sei mesi più tardi, in particolare, di decidere il futuro della penisola del Sinai. Israele aveva accettato di ritirare le sue forze armate dal Sinai, evacuare i suoi 4.500 abitanti civili, e il ripristino di Egitto in cambio di una normale relazioni diplomatiche con l'Egitto, la garanzia della libertà di passaggio attraverso il Canale di Suez e di altri corsi d'acqua nelle vicinanze (come lo Stretto di Tiran), e una restrizione sulle forze Egitto potrebbe posto sulla penisola del Sinai, in particolare all'interno di 20-40 km da Israele. Israele ha altresì convenuto di limitare le proprie forze una piccola distanza (3 km) dal confine egiziano, e di garantire il libero passaggio tra l'Egitto e la Giordania. Con il ritiro, Israele ha perso la Abu-Rudeis campi petroliferi nella parte occidentale del Sinai.
L'accordo ha portato anche negli Stati Uniti l'impegno a diversi miliardi di dollari di sovvenzioni annuali per i governi di Israele e l'Egitto, i contributi che continuano tutt'oggi, e sono indicati come un miscuglio di sovvenzioni e aiuti pacchetti impegnata a Stati Uniti d'acquisto di materiale.
Dal 1979 (anno di accordo di pace) al 1997, l'Egitto ha ricevuto 1,3 miliardi di $ l'anno, che hanno anche contribuito a modernizzare l'esercito egiziano. In confronto, Israele ha ricevuto 3 miliardi di $ l'anno dal 1985 in sovvenzioni e aiuti militari.
24 aprile, 2012
PROMEMORIA 24 aprile 1916 – Irlanda: ha inizio la Rivolta di Pasqua
Irlanda: ha inizio la Rivolta di Pasqua – il movimento della Fratellanza repubblicana irlandese guidata dal nazionalista Patrick Pearse inizia la sollevazione contro il dominio britannico che preparerà il terreno per la guerra anglo-irlandese
La Rivolta di Pasqua (in inglese Easter Rising, in gaelico Éirí Amach na Cásca) fu una ribellione avvenuta in Irlanda nella settimana di Pasqua del 1916.
La rivolta fu un tentativo dei militanti repubblicani irlandesi di ottenere l'indipendenza dal Regno Unito con la forza delle armi. Fu la più significativa ribellione in Irlanda sin dal 1798. La Rivolta, che fu per gran parte organizzata dalla Irish Republican Brotherhood, durò dal 24 al 30 aprile 1916. Membri dei Volontari irlandesi, guidati dal poeta, insegnante e avvocato Pádraig Pearse, si unirono alla più piccola Irish Citizen Army di James Connolly, occuparono punti chiave e simbolici di Dublino e proclamarono la Repubblica irlandese indipendente dalla Gran Bretagna dal General Post Office. La Rivolta costituì anche un banco di prova per l'impiego, per la prima volta nella storia, dei carri armati, da lì a pochi mesi utilizzati anche nelle operazioni della Prima guerra mondiale. La Rivolta fu sedata in sei giorni, ed i suoi leader furono processati dalla corte marziale e giustiziati. Nonostante il suo insuccesso militare e il giudizio iniziale negativo della popolazione civile, l'episodio è oggi considerato uno dei punti saldi per la futura creazione dell'attuale Repubblica d'Irlanda.
23 aprile, 2012
PROMEMORIA 23 aprile 1933 – Germania: viene istituita la Gestapo
Germania: viene istituita la Gestapo
La Geheime Staatspolizei (ted. Polizia segreta di Stato), comunemente abbreviata in Gestapo, era la polizia politica del Terzo Reich.
I suoi membri erano reclutati tra gli ufficiali di carriera della polizia e il suo ruolo e la sua organizzazione furono stabiliti da Hermann Göring dopo che Adolf Hitler salì al potere nel marzo 1933. Rudolf Diels fu il primo capo dell'organizzazione, inizialmente chiamata Dipartimento 1A della polizia di Stato prussiana.
Il compito della Gestapo era quello di investigare e combattere «tutte le tendenze pericolose per lo Stato». Aveva autorità di investigare sui casi di tradimento, spionaggio e sabotaggio, oltre ai casi di attacchi criminali al Partito Nazista e allo Stato.
Le azioni della Gestapo non erano limitate dalla legge o soggette a revisione giudiziaria. Il giurista nazista Werner Best al riguardo dichiarò: «Finché la Gestapo... esegue la volontà della leadership, sta agendo legalmente». La Gestapo era specificatamente esente dalla responsabilità verso le corti amministrative, dove i cittadini potevano rivolgersi per obbligare lo Stato a conformarsi alle leggi.
Il potere della Gestapo più spesso abusato era lo Schutzhaft o custodia protettiva, di fatto il potere di imprigionare chiunque senza procedimento giudiziario, tipicamente nei campi di concentramento. Le persone imprigionate dovevano addirittura firmare il loro Schutzhaftbefehl (il documento che dichiarava che la persona veniva imprigionata). Normalmente la firma veniva estorta con la tortura.
Nel 1934, Göring, sotto la pressione di Heinrich Himmler, acconsentì a garantire il controllo della Gestapo alle SS. Nel 1936 Reinhard Heydrich ne fu nominato capo e Heinrich Müller responsabile delle operazioni.
Durante la seconda guerra mondiale, la Gestapo si espanse fino ad un organico di 45.000 unità. Essa aiutò nel controllo delle aree occupate dell'Europa e si occupava di identificare ebrei, socialisti, omosessuali e altri, per il trasporto nei campi di concentramento.
Al Processo di Norimberga l'intera organizzazione fu inquisita e condannata per crimini contro l'umanità.
22 aprile, 2012
PROMEMORIA 22 aprile 1970 - Celebrazione del primo Giorno della terra
Celebrazione del primo Giorno della terra
Il Giorno della Terra, in inglese Earth Day, è il nome usato per indicare due diverse festività: una che si tiene annualmente ogni primavera nell’emisfero nord del pianeta, e un’altra in autunno nell’emisfero sud[la primavera dell'emisfero nord e l'autunno dell'emisfero sud non sono contemporanei?], dedicate entrambe all’ambiente e alla salvaguardia del pianeta Terra. Le Nazioni Unite celebrano questa festa ogni anno nell’equinozio di primavera, ma è un’osservanza ufficializzarla il 22 aprile di ciascun anno. La festività è riconosciuta da ben 192 nazioni e viene celebrata da quasi mezzo miliardo di persone. Nata il 22 aprile 1970 per sottolineare la necessità della conservazione delle risorse naturali della Terra. Nato come movimento universitario, nel tempo, l’Earth Day è divenuto un avvenimento educativo ed informativo. I gruppi ecologisti lo utilizzano come occasione per valutare le problematiche del pianeta: l’inquinamento di aria, acqua e suolo, la distruzione degli ecosistemi, le migliaia di piante e specie animali che scompaiono, e l’esaurimento delle risorse non rinnovabili. Si insiste in soluzioni che permettano di eliminare gli effetti negativi delle attività dell’uomo; queste soluzioni includono il riciclo dei materiali, la conservazione delle risorse naturali come il petrolio e i gas fossili, il divieto di utilizzare prodotti chimici dannosi, la cessazione della distruzione di habitat fondamentali come i boschi umidi e la protezione delle specie minacciate.
21 aprile, 2012
PROMEMORIA 21 aprile 1977 – Italia: a Roma un agente di P.S., Settimio Passamonti, 23 anni, viene ucciso a colpi d'arma da fuoco vicino alla città universitaria durante scontri a fuoco tra polizia ed estremisti di sinistra (dell'area di Autonomia Operaia)
Italia: a Roma un agente di P.S., Settimio Passamonti, 23 anni, viene ucciso a colpi d'arma da fuoco vicino alla città universitaria durante scontri a fuoco tra polizia ed estremisti di sinistra (dell'area di Autonomia Operaia)
Il mattino del 21 aprile la polizia sgomberò l'Università di Roma occupata da studenti dell'area dell'Autonomia. Nel pomeriggio appartenenti all'area degli autonomi reagirono con Bottiglie Molotov e armi da fuoco. Vicino alla città universitaria, nella zona di San Lorenzo, un gruppo di manifestanti aprì il fuoco contro le forze dell'ordine. Settimio Passamonti raggiunto da due colpi cadde ucciso. L'agente Antonio Merenda, altri due agenti (secondo alcune fonti tre) e un carabiniere furono feriti, ma si salvarono. Rimase ferita anche la giornalista Patrizia Bermier.
Lo scontro fu uno dei più violenti degli anni di piombo per il numero dei colpiti e per il volume di fuoco.
Il giorno successivo il governo vietò tutte le manifestazioni nel Lazio per un mese ed il Ministro dell'Interno Francesco Cossiga annunciò il provvedimento alla stampa dichiarando: «Deve finire il tempo dei figli dei contadini meridionali uccisi dai figli della borghesia romana».
Le indagini non portarono alla identificazione dei responsabili e l'assassinio del giovane rimase impunito.
20 aprile, 2012
“Cittadino, non suddito”, incontro in memoria di Bruno Tescari
“Cittadino, non suddito”, incontro in memoria di Bruno Tescari
Venerdì 20 aprile a partire dalle ore 10:00 presso la Sala Di Liegro di Palazzo Valentini, si ricorderà la figura di Bruno Tescari, uno dei fondatori della FISH, la Federazione Italiana per il Superamento dell'Handicap, recentemente scomparso.
Un uomo dalla profonda onestà intellettuale dimostrata in quarant'anni di impegno civile, attraverso lunghe battaglie portate avanti con volontà e forza inesauribili, sempre alla ricerca di soluzioni contro ogni forma di discriminazione o negazione di diritti.
Una grande perdita per la tutta la società civile e per il mondo della disabilità che ha sempre visto in Bruno Tescari un coraggioso paladino, impegnato con costanza per la difesa dei diritti civili, per l’abbattimento delle barriere architettoniche e soprattutto di quelle culturali.
L’iniziativa prevede anche la Presentazione del Concorso di idee per progetti finalizzati alla mobilità, ai percorsi di autonomia e alla socializzazione delle persone con disabilità.
20 APRILE 2012
ore 10.00/13.00
Palazzo Valentini – Sala Di Liegro
Via IV Novembre, 119/A – Roma
PROMEMORIA 20 aprile 1945 Battaglia di Berlino e fine del Terzo Reich
Battaglia di Berlino e fine del Terzo Reich
Fino all'ultimo Hitler, ormai disperato e quasi farneticante, pianificò fantomatiche offensive e proclamò propositi di resistenza ad oltranza, utilizzando i miseri resti delle armate sconfitte, vecchi e giovanissimi del Volksturm e divisioni "fantasma" (create frettolosamente con nomi altisonanti e pochi mezzi). Ancora il 6 marzo le divisioni corazzate Waffen-SS ritirate dalle Ardenne sferravano un'ultima offensiva in Ungheria nella zona del lago Balaton; dopo duri scontri le forze sovietiche contennero l'attacco e passarono all'offensiva (16 marzo). Ormai in disfacimento, le armate tedesche ripiegavano per coprire Vienna; le colonne corazzate russe proseguirono superando tutti gli sbarramenti. Vienna cadde il 13 aprile dopo alcuni aspri scontri dentro la città; i russi si congiunsero il 4 maggio con gli americani provenienti da ovest nella regione di Linz.
Il 16 aprile 1945 l'Armata Rossa sferrava la sua ultima offensiva generale con obiettivo Berlino; l'attacco venne sferrato in gran fretta sotto la pressione di Stalin: di fronte al crollo del fronte occidentale tedesco, ai segni evidenti di dissoluzione della resistenza all'ovest e alla rapidità dell'avanzata, scarsamente contrastata, alleata, c'era il rischio che gli alleati occidentali precedessero i russi a Berlino (del resto nelle alte sfere tedesche c'erano piani assurdi per aprire la Germania agli anglosassoni e tentare un rocambolesco rovesciamento di alleanze). Al contrario, la resistenza tedesca sul fronte est si stava rafforzando (con l'afflusso di rinforzi terrestri e aerei dagli altri fronti) e le truppe nemiche erano intenzionate a battersi fino all'ultimo per difendere la capitale e il Führer, ma anche per salvaguardare la popolazione civile e guadagnare tempo in attesa dell'arrivo angloamericano da ovest. La massa offensiva sovietica (agli ordini dei marescialli Žukov e Konev) era imponente e nettamente superiore a quella nemica, ma inizialmente venne impiegata male e confusamente; le perdite, di fronte alle difese fortificate tedesche furono altissime; lo sfondamento decisivo (ottenuto con la forza bruta di migliaia di carri armati impiegati in massa) fu ottenuto solo il 20 aprile. Dopo queste difficoltà iniziali, la velocità dell'avanzata aumentò; in campo aperto le armate corazzate sovietiche superarono tutti gli ostacoli e manovrarono per accerchiare Berlino; il 25 aprileiniziò la battaglia dentro l'enorme abitato della capitale. Hitler, ormai rassegnato e deciso a terminare la sua vita e quella del Terzo Reich con un vero "Crepuscolo degli Dei" nibelungico[121], decise di rimanere dentro la città e di organizzare la difesa contando su reparti raccogliticci di Waffen-SS straniere, resti di Panzerdivision disciolte e truppe del Volksturm e della Hitlerjugend. La battaglia casa per casa fu durissima e sanguinosa, i sovietici avanzarono passo passo da tutte le direzioni lentamente e a costo di pesanti perdite; dall'esterno alcuni tentativi di soccorrere Berlino da parte delle modeste forze dei generali Wenck e Steiner fallirono; il cerchio di ferro sovietico era impenetrabile. Sempre il 25 aprile l'Armata Rossa si congiungeva aTorgau sull'Elba con l'Esercito Americano arrivato sul fiume fin dal 13 aprile.
La battaglia finale nel centro di Berlino terminò il 2 maggio con la resa della guarnigione; Hitler si era suicidato già il 30 aprile dopo aver sposato il 29 aprile Eva Braun. I sovietici avevano così concluso vittoriosamente, dopo grandi sacrifici, nel cuore della capitale nemica la Grande Guerra Patriottica; solo in quest'ultima battaglia persero 135.000 uomini; le perdite tedesche furono di 400.000 morti e feriti e 450.000 prigionieri.
L'ultima manovra sovietica in Europa fu la marcia su Praga, insorta contro i tedeschi il 5 maggio, organizzata da Stalin anche per anticipare l'arrivo degli americani; le colonne corazzate russe diressero su Dresda e arrivarono nella capitale cecoslovacca il 9 maggio. Sul Baltico le forze sovietiche si erano già congiunte con le truppe inglesi provenienti dallo Schleswig-Holstein, dove si era rifugiato l'ultimo governo del Reich guidato (secondo le disposizioni testamentali di Hitler) dall'ammiraglio Karl Dönitz.
La notte del 8 maggio, al quartier generale del maresciallo Zhukov a Berlino (alla presenza dei rappresentanti alleati Spaatz, Tedder e deLattre) il feldmaresciallo Keitel firmava il documento di resa incondizionata della Germania. Per volontà di Stalin (volendo egli sottolineare il ruolo preponderante dell'Unione Sovietica nella vittoria), i rappresentanti del Reich avevano dovuto ripetere davanti ai russi la resa già firmata il 7 maggio al quartier generale di Eisenhower a Reims.
19 aprile, 2012
PROMEMORIA 19 aprile 1937 – L'Italia fascista vara la prima legge di tutela della razza
L'Italia fascista vara la prima legge di tutela della razza, il regio decreto legge n. 880/37. L'ordinanza vietava il madamismo (l'acquisto di una concubina) ed il matrimonio con le donne di colore delle colonie africane
Il fondamento e la premessa teorica alla leggi razziali furono alcune considerazioni che miravano a stabilire l'esistenza della razza italiana e la sua appartenenza al gruppo delle così dette razze ariane. A tali considerazioni si cercò di dare un fondamento scientifico, benché quest'ultimo sia poi risultato inconsistente.
Dopo l'entrata in vigore nel 1937 del Regio decreto legge n. 880 – che vietava il madamismo (l'acquisto di una concubina) e il matrimonio degli italiani coi «sudditi delle colonie africane» – altre leggi di spiccata indole razzista vennero promulgate dal parlamento italiano.
18 aprile, 2012
Presentazione del romanzo "La donna dal cappotto verde" di Edith Bruck
Presentazione del romanzo "La donna dal cappotto verde" di Edith Bruck
Mercoledì 18 aprile 2012, alle ore 17.30, presso la Sala Di Liegro di Palazzo Valentini - nel cuore di Roma, in via IV Novembre 119/a – verrà presentato il romanzo “La donna dal cappotto verde” di Edith Bruck, edito da Garzanti Libri.
Ad incontrare l’autrice:
Maria Grazia Capulli - giornalista del Tg2
Andrea Riccardi - Ministro per la Cooperazione Internazionale e l’integrazione
Nicola Zingaretti - Presidente della Provincia di Roma.
Di origine ungherese, Edith Bruck è nata in una povera, numerosa famiglia ebrea. Nel 1944, poco più che bambina, il suo primo viaggio la portò nel ghetto del capoluogo e di lì ad Auschwitz, Dachau, Bergen-Belsen…
Sopravvissuta alla deportazione, dopo anni di pellegrinaggio approdò definitivamente in Italia, adottandone la lingua.
Nel 1959 esce il suo primo libro Chi ti ama così, un’autobiografia che ha per tappe l’infanzia in riva al Tibisco e la Germania dei Lager. Nelle sue opere il più delle volte ha reso testimonianza dell’evento nero del XX secolo.
Nella lunga carriera ha ricevuto diversi premi letterari ed è stata tradotta in più lingue. Tra gli altri, è traduttrice di Attila József e Miklós Radnóti.
Straordinaria testimone della più grande tragedia del nostro tempo, affronta con fine sensibilità e sapienza narrativa due temi chiave che segnano l'esistenza di tutti noi: la memoria e la pietà. La donna dal cappotto verde li indaga facendone il motore di una storia, la storia – possibile e impossibile – di due donne che si cercano, oltre il dolore e la colpa.
PROMEMORIA 18 aprile 1974 – Italia: il magistrato Mario Sossi viene rapito dalle Brigate Rosse
Italia: il magistrato Mario Sossi viene rapito dalle Brigate Rosse
Mario Sossi (Imperia, 1932) è un ex magistrato italiano, Pubblico Ministero nel processo al Gruppo XXII Ottobre, fu sequestrato dalle Brigate Rosse a Genova il 18 aprile 1974 e rilasciato a Milano il 23 maggio 1974.
Storia del sequestro
Mario Sossi era un magistrato del tribunale di Genova. Mario Sossi nasce ad Imperia nel 1932. Sossi viene chiamato alle armi e tra il 1953 e il 1954 presta servizio nel corpo militare degli alpini a cui resterà sempre legatissimo. Durante l'università milita nella FUAN, un'associazione studentesca missina. Sossi entra in magistratura nel 1957 e si associa all'UMI, l'associazione dei magistrati politicamente più a destra, da cui comunque si dissocerà in seguito per il mancato sostegno dell'associazione durante il suo sequestro. Nel merito politico divenne famoso per l'inchiesta sugli scioperi negli ospedali psichiatrici di Quarto e Cogoleto, per l'arresto di alcuni edicolanti che avevano esposto al pubblico riviste pornografiche e infine per l'arresto dell'avvocato Giambattista Lazagna sospettato di aver rubato armi ed esplosivi che verrà prosciolto in istruttoria.
Al momento del rapimento ad opera delle Brigate Rosse sosteneva l'accusa contro gruppi terroristici. Un gruppo di 20 terroristi, con sette auto e un furgoncino lo sequestrò. Sossi fu caricato su un'auto A112 guidata da Alberto Franceschini, seguito da Mara Cagol su una 128. Superato un posto di blocco, per un equivoco, Franceschini sparò una raffica di mitra contro l'auto guidata da Mara Cagol, che rimase illesa. Nell'intervista rilasciata a Giovanni Minoli per il programma "La storia siamo noi", Sossi ha dichiarato che a seguito della sparatoria, l'auto su cui si trovava, incatenato dentro ad un sacco, andò a sbattere contro un albero. Fu in quell'occasione che si procurò l'ecchimosi che è evidente nelle prime foto diffuse dalle BR. Sossi fu sottoposto ad interrogatorio da Alberto Franceschini, coadiuvato da Pietro Bertolazzi. La direzione strategica delle Brigate Rosse si riunì ed vi furono divergenze.
A quel punto il rapimento fu gestito da Alberto Franceschini, Mara Cagol e Piero Bertolazzi, Sossi fu sottoposto ad un processo, al termine del quale i brigatisti decisero di ucciderlo ("Sossi, fascista, sei il primo della lista!"). Le Brigate Rosse chiesero per la sua liberazione come contropartita la liberazione dei terroristi del Gruppo XXII Ottobre e il loro trasporto in un paese amico, ma i paesi considerati potenziali benevoli ospitanti declinarono tutti l'asilo politico, prima Cuba, poi Algeria e Corea del Nord. Sossi venne liberato a Milano il 23 maggio 1974, subito dopo la sua liberazione non cercò di avvisare nessuno, tornò solitario a Genova in treno e infine si presentò alla Guardia di Finanza della sua città.
Il rapimento di Mario Sossi costituì uno dei primi salti di qualità nell'azione di lotta delle Brigate Rosse, mostrando all'opinione pubblica italiana che ormai erano in grado di compiere azioni ben più complesse, rispetto a quelle mordi e fuggi in cui erano ormai note, come quella di rapire un magistrato e tenerlo impunemente in loro prigionia per più di un mese e negoziarne la sua liberazione con lo stato italiano.
A liberazione avvenuta il procuratore della Repubblica Francesco Coco verrà ucciso l'8 giugno 1976, insieme a due uomini della scorta, dalle BR come rappresaglia perché si era rifiutato di acconsentire alla scarcerazione di alcuni terroristi in cambio di Sossi. Il sequestro fu denominato dai Brigatisti Operazione Girasole, parteciparono all'operazione tra gli altri Alberto Franceschini, Mara Cagol e Pietro Bertolazzi (secondo altre fonti Piero Bertolazzi).
All'epoca, durante il periodo del sequestro, nell'ambito brigatista, si fecero delle strofe sull'impresa, musicandole sul tema di una vecchia canzone della resistenza: 'Era il 18 aprile, le otto suonate / Passarono all'azione le Rosse Brigate / A catturare Sossi il giudice fascista / Che per i comunisti era il primo della lista. / Aveva condannato compagni proletari / della 22 ottobre, rivoluzionari. / Ora cari borghesi se rivolete Sossi / Tirate fuori subito il compagno Rossi. / Della 22 ottobre vogliamo i comunisti / che sono stati i primi, i primi brigatisti. / Forza Brigate Rosse, in alto il fucile / che ogni giorno sia un 18 aprile.
17 aprile, 2012
PROMEMORIA 17 aprile 1961 – Crisi dei missili di Cuba/Baia dei porci: inizia l'invasione di Cuba
Crisi dei missili di Cuba/Baia dei porci: inizia l'invasione di Cuba
La crisi dei missili di Cuba fu un confronto tra USA e URSS conseguente allo spiegamento sovietico di missili nucleari a Cuba. La crisi iniziò il 15 ottobre 1962 e durò tredici giorni, in seguito alla loro scoperta il 14 ottobre, da parte di un aereo da ricognizione U2.
È considerato uno dei momenti più critici della Guerra Fredda, assieme al Blocco di Berlino e all'esercitazione Able Archer 83.
Dopo giorni di tensione, Chruščëv, vista la fermezza di Washington e di John Fitzgerald Kennedy, ordinò il ritiro dei missili in cambio della promessa di non invasione dell'isola e del ritiro dei missili Jupiter installati nelle basi di Turchia e Italia, avvenuto sei mesi più tardi.
Un U-2 in volo a fine agosto fotografò una nuova serie di postazioni SAM che venivano costruite, ma il 4 settembre Kennedy disse al Congresso che non c'erano missili "offensivi" a Cuba. Nella notte dell'8 settembre, la prima consegna di MRBM SS-4 Sandal venne scaricata a L'Avana e un secondo carico arrivò il 16 settembre. I sovietici stavano costruendo nove siti, sei per gli SS-4 e tre per gli SS-5 Skean a più lungo raggio (fino a 3.500 chilometri). L'arsenale pianificato era di quaranta rampe di lancio, con un incremento del 70% della capacità offensiva sovietica durante il primo colpo.
Un numero di problemi non legati alla vicenda fece sì che i missili non vennissero scoperti fino al volo di un U-2 del 14 ottobre, che mostrava chiaramente la costruzione di una postazione per degli SS-4 vicino a San Cristóbal. Per il 19 ottobre, i voli degli U-2 (ora praticamente continui) mostrarono che quattro postazioni erano operative. Inizialmente, il governo statunitense tenne l'informazione segreta, rivelandola solo ai quattordici ufficiali chiave del comitato esecutivo. Il Regno Unito non venne informato fino alla sera del 21 ottobre. Il Presidente Kennedy, in un appello televisivo del 22 ottobre, annunciò la scoperta delle installazioni e proclamò che ogni attacco di missili nucleari proveniente da Cuba sarebbe stato considerato come un attacco portato dall'Unione Sovietica e avrebbe ricevuto una risposta conseguente. Kennedy ordinò anche una quarantena navale su Cuba, per prevenire ulteriori consegne sovietiche di materiale militare.
Il termine quarantena fu preferito a quello di blocco navale in quanto quest'ultimo, secondo le consuetudini del diritto internazionale sarebbe potuto essere considerato come un atto di guerra e avrebbe comportato un'immediata risposta militare sovietica. Per tutta la durata della crisi, i responsabili dello Stato maggiore americano insistettero perché il riluttante presidente ordinasse un'immediata azione militare per eliminare le rampe missilistiche prima che queste diventassero operative.
A Cuba, durante i giorni della crisi, si trovavano 140 testate nucleari di provenienza sovietica, delle quali 90 erano "tattiche". Robert McNamara, Segretario della Difesa durante il Governo Kennedy, dichiarò di avere appreso la notizia direttamente da Fidel Castro, anni dopo, e di come Castro avesse chiesto a Chruščëv di usare queste testate per attaccare gli Stati Uniti[
16 aprile, 2012
A Palazzo Incontro la mostra “Fragile per sempre”
A Palazzo Incontro la mostra “Fragile per sempre”
Mercoledì 18 aprile, ore 19,00, presso Palazzo Incontro - nel cuore di Roma, in Via dei Prefetti, 22 – si terrà l’inaugurazione della mostra “FRAGILE PER SEMPRE - Fragile for ever”.
All’inaugurazione dell’esposizione interverrà, tra gli altri, il presidente della Provincia di Roma Nicola Zingaretti
Promossa dalla Provincia di Roma, la mostra è realizzata nell’ambito delle iniziative del Progetto ABC Arte Bellezza Cultura in collaborazione con il CIAC, il Centro Internazionale di Arte Contemporanea di Genazzano.
Il Progetto ABC Arte Bellezza Cultura, fortemente voluto dal Presidente della Provincia di Roma, ha l’obiettivo di sostenere le eccellenze culturali e territoriali della provincia di Roma.
La mostra Fragile per sempre – a cura di Claudio Libero Pisano – è il terzo appuntamento che conclude un ciclo di incontri espositivi del Contemporaneo a Palazzo Incontro con la partecipazione di otto artisti: Simone Bertugno, Gianni Dessì, Jacopo Mazzonelli, Laura Palmieri, Antonio Rovaldi, Donatella Spaziani, Ivana Spinelli, Antonello Viola.
Palazzo Incontro
Via Dei Prefetti, 22 - Roma
ore 10.00 - 19.00
INGRESSO GRATUITO
Chiuso il lunedì
La mostra rimane aperta dal 18 aprile al 18 maggio 2012
PROMEMORIA 16 aprile 1947 Disastro di Texas City, una tremenda esplosione che si verificò nel porto di Texas City
Disastro di Texas City, una tremenda esplosione che si verificò nel porto di Texas City causata dall'incendio dell'imbarcazione francese SS Grandcamp carica di nitrato di ammonio. L'esplosione che seguì l'incendio fu udita nel raggio di 150 miglia e causò almeno 576 morti, di cui 178 non vennero identificati.
Il disastro di Texas City fu una tremenda esplosione che si verificò il 16 aprile 1947 nel porto di Texas City. Essa fu causata dall'incendio dell'imbarcazione francese SS Grandcamp carica di nitrato di ammonio. L'esplosione che seguì l'incendio fu udita nel raggio di 150 miglia e causò almeno 576 morti, di cui 178 non vennero identificati.
15 aprile, 2012
PROMEMORIA 15 aprile 2010 Islanda: Dopo molti anni erutta il vulcano Eyjafjallajkull, che provoca una nube di ceneri che copre buona parte d'Europa
Islanda: Dopo molti anni erutta il vulcano Eyjafjallajkull, che provoca una nube di ceneri che copre buona parte della superficie europea, provocando disagi alla navigazione aerea e la chiusura di tutti gli aeroporti di Regno Unito, Irlanda, Danimarca, Norvegia, Belgio, Francia, Germania, Svizzera, Svezia, Polonia, Estonia, Lettonia, Repubblica Ceca, Austria, Ungheria, Romania e Italia settentrionale. Il blocco del traffico aereo è rimasto fino alle ore 8:00 di lunedì 19 aprile.
14 aprile, 2012
PROMEMORIA 14 aprile 2004 Iraq: Fabrizio Quattrocchi, uno dei quattro ostaggi italiani in mano ai ribelli, viene ucciso con un colpo alla nuca
Iraq: Fabrizio Quattrocchi, uno dei quattro ostaggi italiani in mano ai ribelli, viene ucciso con un colpo alla nuca
Quattrocchi fu preso in ostaggio a Bagdad, il 13 aprile 2004, insieme ai colleghi Umberto Cupertino, Maurizio Agliana e Salvatore Stefio, da miliziani del gruppo autoproclamatosi "Falangi Verdi di Maometto", mai identificati.
Il paese arabo, occupato militarmente già da un anno a seguito dell'invasione condotta dagli Stati Uniti e da una coalizione internazionale era tutt'altro che pacificato. Pur non partecipando alle prime fasi del conflitto che aveva condotto in breve tempo (1º maggio 2003) al dissolversi dell'esercito iracheno e alla caduta di Saddam Hussein, l'Italia aveva accettato di far parte della "coalizione dei volonterosi" guidata da Stati Uniti e Gran Bretagna e, a seguito delle risoluzioni ONU 1483, 1500 e 151 del 22 maggio 2003, era presente in Iraq dal 15 luglio dello stesso anno con oltre 3.000 militari in un'operazione di peacekeeping denominata Antica Babilonia.
A seguito dell'operazione militare erano giunte in Iraq anche decine di migliaia di guardie, assunte da numerose compagnie private (contractors), sia statunitensi che di altri Paesi, per affiancare gli eserciti regolari nelle operazioni di controllo del territorio e per la protezione del personale e delle installazioni civili e militari. Gli Stati Uniti, la forza capofila della coalizione, avevano fornito alle guardie le apposite credenziali e le avevano dotate delle armi, nel quadro di una vasta operazione di outsourcing (esternalizzazione) delle proprie attività sul territorio iracheno.
Le quattro guardie italiane quindi, benché assunte da una "compagnia di sicurezza" fondata da italiani (la Presidium Corporation), stavano operando al servizio dell'esercito statunitense in Iraq, eludendo così – in ragione del loro status – gli obblighi legali stabiliti dalle convenzioni internazionali, cui sono invece legati per definizione i militari impegnati dalla potenza occupante[senza fonte]. Per questo stato di cose, la situazione dei rapiti fu subito ritenuta delicata e pericolosa.
Il reclutatore dei quattro rapiti, Giampiero Spinelli, socio della Presidium corporation, individuato come responsabile del loro invio in Iraq, è stato indagato dalla magistratura italiana e assolto con formula piena, ai sensi dell'art.288 del c.p..
I rapitori lanciarono all'Italia un ultimatum: chiesero al Governo il ritiro delle truppe dall'Iraq, e le scuse per alcune frasi che avrebbero offeso l'Islam. L'ultimatum fu rifiutato.
Cupertino, Agliana e Stefio furono liberati l'8 giugno 2004, dopo 58 giorni di prigionia.
Il video dell'uccisione
« Quando gli assassini gli stavano puntando la pistola contro, questo ragazzo ha cercato di togliersi il cappuccio e ha gridato: adesso vi faccio vedere come muore un italiano. E lo hanno ucciso. È morto così: da coraggioso, da eroe »
(Franco Frattini, 15 aprile 2004)
Non sono tuttora completamente chiari i motivi per cui i rapitori decisero di uccidere Fabrizio Quattrocchi, lasciando in vita i suoi colleghi, ma si conoscono i suoi ultimi momenti di vita, registrati su video. Nel giugno del 2004 il quotidiano londinese Sunday Times pubblicò un'intervista a un iracheno, il cui nome di battaglia è Abu Yussuf, dichiaratosi membro del gruppo di rapitori dei quattro italiani. Yussuf dichiarò di aver girato personalmente il video dell'uccisione dell'italiano.
Secondo Yussuf, Quattrocchi, ormai consapevole del suo destino, avrebbe chiesto perché intendevano ucciderlo. «Per chiedere al governo italiano di ritirare le truppe», sarebbe stata la risposta. L'italiano avrebbe replicato: «È inutile, il mio governo non tratterà mai con voi per salvare le nostre vite». I rapitori allora lo costrinsero a inginocchiarsi in una fossa, bendato e con le mani legate.
Il racconto di Yussuf prosegue: «Quattrocchi mi disse: "Tu che parli italiano concedimi un desiderio, toglimi la benda e fammi morire come un italiano"» – Maurizio Agliana, collega di prigionia di Quattrocchi, confermò in seguito l'effettiva presenza tra i rapitori di almeno una persona in grado di capire e parlare un minimo di italiano[6] – «Voleva guardarci negli occhi mentre gli sparavamo». Ma mentre reiterava la richiesta di togliere la benda, l'ostaggio fu colpito mortalmente alla testa. Secondo Yussuf «Quattrocchi fu ucciso con la sua pistola, ma con una pallottola irachena». Successivamente, un video dell'uccisione fu spedito alla tv del Qatar Al-Jazira, che si è sempre rifiutata di mandarlo in onda sostenendo che fosse «troppo macabro», nonostante la stessa emittente avesse già trasmesso ripetutamente scene di vittime di guerra e filmati di esecuzioni.
Stando alla versione di Yussuf, per liberare gli altri tre ostaggi furono pagati 4 milioni di dollari. La versione ufficiale della liberazione di Cupertino, Agliana e Stefio parla invece di un blitz incruento da parte delle truppe americane.
Solo nel gennaio 2006 il TG1 della RAI ricevette un filmato relativo all'uccisione di Quattrocchi e lo trasmise parzialmente, interrompendone la riproduzione un attimo prima del momento degli spari «per rispetto della sensibilità della famiglia e dei telespettatori». Nel suo blog il giornalista del TG1 Pino Scaccia ne riferisce il contenuto completo:
« Fabrizio Quattrocchi è inginocchiato, le mani legate, incappucciato. Dice con voce ferma: "Posso toglierla?" riferito alla kefiah. Qualcuno gli risponde "no". E allora egli tenta di togliersi la benda e pronuncia: "Adesso vi faccio vedere come muore un italiano". Passano secondi e gli sparano da dietro con la pistola. Tre colpi. Due vanno a segno, nella schiena. Quattrocchi cade testa in giù. Lo rigirano, gli tolgono la kefia, mostrano il volto alla telecamera, poi lo buttano dentro una fossa già preparata. "È nemico di Dio, è nemico di Allah", concludono in coro i sequestratori. »
(Pino Scaccia, 9 gennaio 2006, descrivendo il filmato dell'uccisione di Fabrizio Quattrocchi)
Subito dopo la trasmissione del filmato, l'allora direttore del TG1 Clemente Mimun intervistò in diretta il compagno di prigionia Maurizio Agliana e la sorella di Fabrizio, Graziella Quattrocchi.
Sul video diffuso dal TG1 furono sollevati dubbi anche a seguito della testimonianza di Margherita Boniver, allora sottosegretario di Stato agli Affari esteri, la quale sostenne che il filmato originale pervenuto ad Al Jazira – e da lei visionato nel maggio 2004, durante una visita in Qatar – fosse «diverso» da quello mandato in onda nel 2006.[8]
Quattrocchi fu preso in ostaggio a Bagdad, il 13 aprile 2004, insieme ai colleghi Umberto Cupertino, Maurizio Agliana e Salvatore Stefio, da miliziani del gruppo autoproclamatosi "Falangi Verdi di Maometto", mai identificati.
Il paese arabo, occupato militarmente già da un anno a seguito dell'invasione condotta dagli Stati Uniti e da una coalizione internazionale era tutt'altro che pacificato. Pur non partecipando alle prime fasi del conflitto che aveva condotto in breve tempo (1º maggio 2003) al dissolversi dell'esercito iracheno e alla caduta di Saddam Hussein, l'Italia aveva accettato di far parte della "coalizione dei volonterosi" guidata da Stati Uniti e Gran Bretagna e, a seguito delle risoluzioni ONU 1483, 1500 e 151 del 22 maggio 2003, era presente in Iraq dal 15 luglio dello stesso anno con oltre 3.000 militari in un'operazione di peacekeeping denominata Antica Babilonia.
A seguito dell'operazione militare erano giunte in Iraq anche decine di migliaia di guardie, assunte da numerose compagnie private (contractors), sia statunitensi che di altri Paesi, per affiancare gli eserciti regolari nelle operazioni di controllo del territorio e per la protezione del personale e delle installazioni civili e militari. Gli Stati Uniti, la forza capofila della coalizione, avevano fornito alle guardie le apposite credenziali e le avevano dotate delle armi, nel quadro di una vasta operazione di outsourcing (esternalizzazione) delle proprie attività sul territorio iracheno.
Le quattro guardie italiane quindi, benché assunte da una "compagnia di sicurezza" fondata da italiani (la Presidium Corporation), stavano operando al servizio dell'esercito statunitense in Iraq, eludendo così – in ragione del loro status – gli obblighi legali stabiliti dalle convenzioni internazionali, cui sono invece legati per definizione i militari impegnati dalla potenza occupante[senza fonte]. Per questo stato di cose, la situazione dei rapiti fu subito ritenuta delicata e pericolosa.
Il reclutatore dei quattro rapiti, Giampiero Spinelli, socio della Presidium corporation, individuato come responsabile del loro invio in Iraq, è stato indagato dalla magistratura italiana e assolto con formula piena, ai sensi dell'art.288 del c.p..
I rapitori lanciarono all'Italia un ultimatum: chiesero al Governo il ritiro delle truppe dall'Iraq, e le scuse per alcune frasi che avrebbero offeso l'Islam. L'ultimatum fu rifiutato.
Cupertino, Agliana e Stefio furono liberati l'8 giugno 2004, dopo 58 giorni di prigionia.
Il video dell'uccisione
« Quando gli assassini gli stavano puntando la pistola contro, questo ragazzo ha cercato di togliersi il cappuccio e ha gridato: adesso vi faccio vedere come muore un italiano. E lo hanno ucciso. È morto così: da coraggioso, da eroe »
(Franco Frattini, 15 aprile 2004)
Non sono tuttora completamente chiari i motivi per cui i rapitori decisero di uccidere Fabrizio Quattrocchi, lasciando in vita i suoi colleghi, ma si conoscono i suoi ultimi momenti di vita, registrati su video. Nel giugno del 2004 il quotidiano londinese Sunday Times pubblicò un'intervista a un iracheno, il cui nome di battaglia è Abu Yussuf, dichiaratosi membro del gruppo di rapitori dei quattro italiani. Yussuf dichiarò di aver girato personalmente il video dell'uccisione dell'italiano.
Secondo Yussuf, Quattrocchi, ormai consapevole del suo destino, avrebbe chiesto perché intendevano ucciderlo. «Per chiedere al governo italiano di ritirare le truppe», sarebbe stata la risposta. L'italiano avrebbe replicato: «È inutile, il mio governo non tratterà mai con voi per salvare le nostre vite». I rapitori allora lo costrinsero a inginocchiarsi in una fossa, bendato e con le mani legate.
Il racconto di Yussuf prosegue: «Quattrocchi mi disse: "Tu che parli italiano concedimi un desiderio, toglimi la benda e fammi morire come un italiano"» – Maurizio Agliana, collega di prigionia di Quattrocchi, confermò in seguito l'effettiva presenza tra i rapitori di almeno una persona in grado di capire e parlare un minimo di italiano[6] – «Voleva guardarci negli occhi mentre gli sparavamo». Ma mentre reiterava la richiesta di togliere la benda, l'ostaggio fu colpito mortalmente alla testa. Secondo Yussuf «Quattrocchi fu ucciso con la sua pistola, ma con una pallottola irachena». Successivamente, un video dell'uccisione fu spedito alla tv del Qatar Al-Jazira, che si è sempre rifiutata di mandarlo in onda sostenendo che fosse «troppo macabro», nonostante la stessa emittente avesse già trasmesso ripetutamente scene di vittime di guerra e filmati di esecuzioni.
Stando alla versione di Yussuf, per liberare gli altri tre ostaggi furono pagati 4 milioni di dollari. La versione ufficiale della liberazione di Cupertino, Agliana e Stefio parla invece di un blitz incruento da parte delle truppe americane.
Solo nel gennaio 2006 il TG1 della RAI ricevette un filmato relativo all'uccisione di Quattrocchi e lo trasmise parzialmente, interrompendone la riproduzione un attimo prima del momento degli spari «per rispetto della sensibilità della famiglia e dei telespettatori». Nel suo blog il giornalista del TG1 Pino Scaccia ne riferisce il contenuto completo:
« Fabrizio Quattrocchi è inginocchiato, le mani legate, incappucciato. Dice con voce ferma: "Posso toglierla?" riferito alla kefiah. Qualcuno gli risponde "no". E allora egli tenta di togliersi la benda e pronuncia: "Adesso vi faccio vedere come muore un italiano". Passano secondi e gli sparano da dietro con la pistola. Tre colpi. Due vanno a segno, nella schiena. Quattrocchi cade testa in giù. Lo rigirano, gli tolgono la kefia, mostrano il volto alla telecamera, poi lo buttano dentro una fossa già preparata. "È nemico di Dio, è nemico di Allah", concludono in coro i sequestratori. »
(Pino Scaccia, 9 gennaio 2006, descrivendo il filmato dell'uccisione di Fabrizio Quattrocchi)
Subito dopo la trasmissione del filmato, l'allora direttore del TG1 Clemente Mimun intervistò in diretta il compagno di prigionia Maurizio Agliana e la sorella di Fabrizio, Graziella Quattrocchi.
Sul video diffuso dal TG1 furono sollevati dubbi anche a seguito della testimonianza di Margherita Boniver, allora sottosegretario di Stato agli Affari esteri, la quale sostenne che il filmato originale pervenuto ad Al Jazira – e da lei visionato nel maggio 2004, durante una visita in Qatar – fosse «diverso» da quello mandato in onda nel 2006.[8]
13 aprile, 2012
Il Lazio nei “tesori” della Società Geografica Italiana
Il Lazio nei “tesori” della Società Geografica Italiana
Il Lazio nei “tesori” della Società Geografica Italiana. Carte geografiche, libri rari, fotografie e cartoline.
Mercoledì 11 aprile, presso la Sala Egon von Furstenberg di Palazzo Valentini, alle ore 18, la mostra è stata inaugurata dall’Assessore alle Politiche del Turismo, dello Sport e delle Politiche Giovanili della Provincia di Roma, Patrizia Prestipino.
L'assessore Prestipino in questa occasione ha affermato: “Abbiamo fortemente voluto questa mostra che inauguro con grande piacere perchè accende i riflettori su quelle che sono le espressioni storiche e culturali della provincia di Roma e di tutto il territorio del Lazio, attraverso il pregiato materiale della Società Geografica Italiana”.
La mostra è visitabile, con ingresso libero, sino al 20 aprile con il seguente orario: dal lunedì al venerdì 10-19; sabato 10-13.
L’esposizione intende fornire una panoramica di territori molto diversi tra loro per aspetto e condizioni naturali, evidenziando, in particolare, la progressiva crescita d’interesse da parte dei viaggiatori nei confronti della regione, tappa essenziale del Grand Tour.
Si passa dalle opere antiche del Cinquecento, di notevole rilevanza storico-culturale e strettamente bibliografica ai testi moderni del Novecento, alcuni dei quali di grande interesse scientifico ed altri di importante valore artistico.
Vengono presentate anche carte geografiche raffiguranti la regione nelle diverse epoche storiche in un arco di tempo che va dal XVII al XIX secolo.
I soggetti raffigurati ci restituiscono le immagini e le atmosfere del Lazio della prima metà del Novecento.
Paesaggi rurali e scorci urbani, dove spesso anche l’uomo è raffigurato ci appaiono nella loro autenticità, catturati dallo sguardo di due fotografi d’eccezione: Mario Fondi ed Elio Migliorini, maestri della geografia italiana. È dunque la particolare prospettiva del geografo che ci guida lungo questo percorso di scoperta di un Lazio ormai quasi del tutto scomparso, che è stato ricostruito anche attraverso l’apporto delle cartoline d’epoca.
PROMEMORIA 13 aprile 1990 – Unione Sovietica, in linea con la Perestrojka, Michail Gorbačëv ammette la verità sul Massacro di Katyń
Unione Sovietica, in linea con la Perestrojka, Michail Gorbačëv ammette la verità sul Massacro di Katyń
Il massacro della foresta di Katyń, noto anche più semplicemente come Massacro di Katyń, avvenne durante la seconda guerra mondiale e consistette nell'esecuzione di massa, da parte dell'Armata Rossa, di soldati e civili polacchi. L'espressione si riferiva inizialmente al massacro dei soli ufficiali polacchi detenuti del campo di prigionia di Kozielsk, che avvenne appunto nella foresta di Katyń, vicino al villaggio di Gnezdovo, a breve distanza da Smolensk. Attualmente l'espressione denota invece l'uccisione di 21.857 cittadini polacchi: i prigionieri di guerra dei campi di Kozielsk, Starobielsk e Ostashkov e i detenuti delle prigioni della Bielorussia e Ucraina occidentali, fatti uccidere su ordine di Stalin nella foresta di Katyń e nelle prigioni di Kalinin (Tver), Kharkov e di altre città sovietiche. La scoperta del massacro annunciata a Radio Berlino il 13 aprile 1943 dalla propaganda nazista come un crimine dei Sovietici causò l'immediata rottura delle relazioni diplomatiche tra il governo polacco in esilio a Londra e l'Unione Sovietica per ritorsione da parte di Stalin. L'URSS negò le accuse in tutte le maniere possibili fino al 1990, quando riconobbe l'NKVD come responsabile del massacro e della sua copertura.
Nel 1989 studiosi sovietici rivelarono che Stalin aveva effettivamente ordinato il massacro, e nell'ottobre 1990 Michail Gorbačëv porse le scuse ufficiali del suo paese alla Polonia, confermando che la NKVD aveva giustiziato i prigionieri e aggiungendo l'esistenza di altri due luoghi di sepoltura simili a quello di Katyń: Mednoje e Pyatikhatki. Il leader sovietico, però, sostenne che i documenti cruciali, tra cui l'ordine di fucilare 25 000 polacchi senza neppure avanzare contro di loro un capo di imputazione, non si sapeva dove fossero.
La vicenda può dirsi conclusa solo con la presidenza di Boris Eltsin. Nel 1992 alcuni funzionari russi rilasciarono documenti top secret del «Plico sigillato n. 1». Tra questi vi era la proposta del marzo 1940, di Lavrentij Beria, di passare per le armi 25.700 polacchi dei campi di Kozelsk, Ostashkov e Starobels e di alcune prigioni della Bielorussia e dell'Ucraina occidentali, con la firma (tra gli altri) di Stalin; estratti dell'ordine del Politburo del 5 marzo 1940; e una nota di Aleksandr Shelepin a Nikita Khrushchev del 3 marzo 1959, con informazioni sull'esecuzione di 21.857 polacchi e con la proposta di distruggere i loro archivi personali.
Le investigazioni che accusano delle uccisioni lo stato tedesco piuttosto che quello sovietico sono state usate per screditare il Processo di Norimberga nel suo complesso, spesso in supporto al negazionismo dell'Olocausto, o per mettere in discussione la legittimità e/o la saggezza di usare la legge penale per proibire la revisione dell'Olocausto. Si deve notare che esistono alcuni studiosi che negano la colpevolezza sovietica, dichiarano falsi i documenti declassificati e cercano di dimostrare che i polacchi vennero uccisi dai tedeschi nel 1941 (nonostante dalle autopsie sia evidente la differenza di un anno in un cadavere, e i cadaveri portassero uniformi invernali, mentre i tedeschi invasero l'Urss in estate).
Durante la visita in Russia di Aleksander Kwasniewski, nel settembre del 2004, funzionari russi annunciarono la volontà di trasferire tutte le informazioni sul massacro di Katyń alle autorità polacche non appena fossero state declassificate. Nel marzo 2005 le autorità russe hanno posto fine ad un'investigazione durata un decennio. Il pubblico ministero militare capo russo Alexander Savenkov ha dichiarato che il massacro non fu un genocidio, un crimine di guerra o un crimine contro l'umanità e che «Non esistono assolutamente le basi per parlarne in termini giuridici». Nonostante le dichiarazioni fatte in precedenza, 116 dei 183 volumi di documenti raccolti durante l'investigazione russa, così come la decisione di porvi fine, sono stati coperti da segreto.
A causa di ciò l'Istituto nazionale per il ricordo polacco ha deciso di avviare una propria indagine. Un gruppo di magistrati guidati da Leon Kieres ha dichiarato che cercherà di individuare i nomi di coloro che ordinarono ed eseguirono le uccisioni. Inoltre, il 22 marzo 2005, il Camera dei deputati della Polonia (Parlamento) polacco ha approvato all'unanimità un atto con il quale si richiede che sugli archivi russi venga tolto il segreto. Il Camera dei deputati della Polonia ha inoltre richiesto alla Russia di qualificare come genocidio il massacro di Katyń e di riconoscere i danni agli eredi delle vittime. I tribunali russi hanno respinto la richiesta.
Nel 2010 il governo russo ha parzialmente accolto la richiesta polacca, mettendo online i documenti già resi noti. Dal 28 aprile sul sito web dell'Archivio di Stato russo sono disponibili il dossier sull'eccidio. Il governo ha promesso a Varsavia di fornire documenti non ancora trasmessi. Il responsabile dell'Archivio di Stato russo, Andreij Artizov, ha commentato la pubblicazione del dossier dicendo che: «Ora nessuno potrà dubitare che la colpa fu dei sovietici» e che «anche noi non abbiamo fatto solo del bene».
Per ricucire la profonda ferita e le divisioni che il massacro aveva provocato fra i due popoli, nell'aprile dello stesso anno doveva tenersi in Russia una solenne commemorazione delle vittime dell'eccidio alla presenza delle massime autorità polacche e russe, ma tale cerimonia non poté aver luogo a causa dell'Incidente dell'aereo presidenziale polacco in cui persero la vita il presidente della Polonia Lech Kaczyński ed altre 95 persone.
12 aprile, 2012
Sicurezza stradale: prosegue impegno della Provincia di Roma per “Salva i Ciclisti”
Sicurezza stradale: prosegue impegno della Provincia di Roma per “Salva i Ciclisti”
Rispettare l’ambiente e garantire la sicurezza di chi utilizza la bicicletta per gli spostamenti in città. L’Amministrazione provinciale di Roma, dopo aver aderito nei mesi scorsi alla campagna ‘Salva i ciclisti’, ha provveduto ieri a formalizzare il proprio impegno a tutela della sicurezza stradale e dei ciclisti di Roma e del territorio della provincia attraverso l’approvazione di una delibera di giunta.
Il documento impegna infatti la Provincia a concludere la redazione del Piano Provinciale per la ciclabilità corredato da una mappatura degli incroci più pericolosi su cui si interverrà, nei limiti delle risorse disponibili, per la messa in sicurezza attraverso il miglioramento della segnaletica e l'incremento di autovelox e limitatori di velocità sulle strade provinciali.
“Con la delibera – ha spiegato il presidente della Provincia di Roma, Nicola Zingaretti - abbiamo dato seguito all’impegno preso nei giorni scorsi con i promotori della campagna. Oltre a chiudere il piano provinciale della ciclabilità, e sostenere finanziariamente quello dei singoli Comuni, avvieremo una campagna di informazione per il rispetto del codice della strada e porteremo a termine i progetti per la realizzazione di nuove piste ciclabili che andranno ad aggiungersi a quelle già realizzate”.
“Sarà inoltre affisso – ha aggiunto l’assessore provinciale alle Politiche della Mobilità e Trasporti, Amalia Colaceci – uno striscione sulla facciata di Palazzo Valentini per promuovere la campagna ‘Salva i ciclisti’ e per portare a conoscenza del maggior numero di cittadini romani della manifestazione ‘L’Italia cambia strada’ in programma il 28 aprile, nella capitale e in numerose città europee, alla quale ha aderito anche la Provincia di Roma”.
Da oggi, infatti, un grande "stendardo" campeggia all'ingresso principale della sede dell'Amministrazione provinciale, a tangibile testimonianza del sostegno dell'Ente per la sicurezza viaria e la tutela dei ciclisti ed in vista della
manifestazione nazionale a Roma della campagna #salvaiciclisti, fissata per il 28 aprile, alle ore 15, presso i Fori Imperiali.
PROMEMORIA 12 aprile 1973 - Milano: durante una manifestazione neofascista non autorizzata, viene ucciso l'agente Antonio Marino.
Milano: durante una manifestazione neofascista non autorizzata, Vittorio Loi e Maurizio Murelli lanciano alcune bombe a mano contro la polizia. L'agente Antonio Marino resta ucciso
A Milano si svolge una manifestazione (non autorizzata) del Msi. Il corteo, guidato dai dirigenti nazionali Servello e Petronio, si scontra con la polizia. Nel corso degli scontri, violentissimi, vengono lanciate alcune bombe a mano contro le forze dell'ordine, provocando la morte dell'agente di polizia Antonio Marino.
L'immagine legalitaria e di forza d'ordine del Msi è irrimediabilmente incrinata. I dirigenti missini, nel tentativo di recuperare un'immagine rispettabile per il movimento, denunciano i presunti autori dell'attentato (riconosciuti poi colpevoli), sperando di dimostrare, in tal modo, l'estraneità del partito alle violenze. Tuttavia, ciò contribuirà ancor di più a sottolineare i legami tra estremisti violenti e Msi. I colpevoli (Murelli e Loi), infatti, appartengono al gruppo milanese La Fenice, che risulterà avere piena legittimità all'interno del Msi.
11 aprile, 2012
“Lo sguardo delle donne – Un altro modo di vivere la capitale metropolitana”.
“Lo sguardo delle donne – Un altro modo di vivere la capitale metropolitana”.
Giovedì 12 aprile, alle ore 17.00, a Roma, in via Appia Antica 42, presso la Sala Conferenze Complesso Cartiera Latina – Parco Regionale dell’Appia Antica si terrà l’incontro “Lo sguardo delle donne – Un altro modo di vivere la capitale metropolitana”.
Interverranno al convegno:
Roberta Carlini, giornalista, caporedattrice inGenere.it
Franca Cipriani, consigliera di parità della Provincia di Roma
Cecilia D’Elia, assessore alle Politiche culturali della Provincia di Roma
Alessandra Paolini, giornalista “la Repubblica”
Tamar Pitch, docente Sociologia del Diritto, Università di Perugia
Costanza Quatriglio, regista
Chiara Ricci, ricercatrice, campagna Sbilanciamoci!
Linda Laura Sabbadini, direttore dipartimento per le statistiche sociali e ambientali, ISTAT
Maria Sabrina Sarto, direttrice CNIS nanotecnologie Università La Sapienza
Giorgia Serughetti, ricercatrice sociale, SeNonOraQuando
Nicola Zingaretti, presidente della Provincia di Roma
In occasione dell’incontro verrà proiettato il video “IO, QUI”, regia di Costanza Quatriglio, Produzione Provincia di Roma – Indigo Film.
Sarà disponibile, per chi lo desidera, un servizio di accoglienza per i bambini.
Per prenotazioni: fr.marta@provincia.roma.it
PROMEMORIA 11 aprile 2009 Italia: viene arrestato, dopo 43 anni di latitanza, il boss mafioso Bernardo Provenzano
Italia: viene arrestato, dopo 43 anni di latitanza, il boss mafioso Bernardo Provenzano
Bernardo Provenzano, detto Binnu u tratturi (Bernardo il trattore, per la violenza con cui falciava le vite dei suoi nemici) e Zù Binu (Corleone, 31 gennaio 1933), è un criminale italiano, ritenuto il capo di tutti i capi di "Cosa nostra", la mafia siciliana.
Arrestato l'11 aprile 2006, Provenzano era ricercato sin dal 9 maggio 1963, con una latitanza record di quarantatré anni. In precedenza era già stato condannato in contumacia a tre ergastoli ed aveva altri procedimenti penali in corso.
Le indagini che portarono all'arresto del capo mafia di Corleone si incentrarono sull'intercettazione dei famosi pizzini, i biglietti con cui Provenzano comunicava con la moglie, il cognato Carmelo Gariffo e con il resto del clan. Dopo l'intercettazione di questi pizzini e alcuni pacchi contenenti la spesa e la biancheria, movimentati da alcuni staffettisti di fiducia del boss, i poliziotti della Squadra Mobile di Palermo e gli agenti della Sco sono riusciti a identificare il luogo in cui si rifugiava Provenzano.
Individuato il casolare, gli agenti hanno monitorato il luogo per dieci giorni attraverso microspie ed intercettazioni ambientali, per avere la certezza che all'interno vi fosse proprio Provenzano.
L'11 aprile 2006 le forze dell'ordine decidono di eseguire il blitz e l'arresto, a cui Provenzano ha reagito senza opporre la minima resistenza. Il boss ha confermato la propria identità ed è stato scortato alla questura di Palermo.
Il questore di Palermo ha successivamente confermato che per giungere alla cattura le autorità non si sono avvalse né di pentiti né di confidenti.
Il casolare (il proprietario del quale è stato arrestato) in cui viveva il boss era arredato in maniera spartana, con il letto, un cucinino, il frigo e un bagno, oltre che una stufa per il freddo e la macchina da scrivere con cui compilava i pizzini.
Iscriviti a:
Post (Atom)