14 aprile, 2012

PROMEMORIA 14 aprile 2004 Iraq: Fabrizio Quattrocchi, uno dei quattro ostaggi italiani in mano ai ribelli, viene ucciso con un colpo alla nuca

Iraq: Fabrizio Quattrocchi, uno dei quattro ostaggi italiani in mano ai ribelli, viene ucciso con un colpo alla nuca
Quattrocchi fu preso in ostaggio a Bagdad, il 13 aprile 2004, insieme ai colleghi Umberto Cupertino, Maurizio Agliana e Salvatore Stefio, da miliziani del gruppo autoproclamatosi "Falangi Verdi di Maometto", mai identificati.
Il paese arabo, occupato militarmente già da un anno a seguito dell'invasione condotta dagli Stati Uniti e da una coalizione internazionale era tutt'altro che pacificato. Pur non partecipando alle prime fasi del conflitto che aveva condotto in breve tempo (1º maggio 2003) al dissolversi dell'esercito iracheno e alla caduta di Saddam Hussein, l'Italia aveva accettato di far parte della "coalizione dei volonterosi" guidata da Stati Uniti e Gran Bretagna e, a seguito delle risoluzioni ONU 1483, 1500 e 151 del 22 maggio 2003, era presente in Iraq dal 15 luglio dello stesso anno con oltre 3.000 militari in un'operazione di peacekeeping denominata Antica Babilonia.
A seguito dell'operazione militare erano giunte in Iraq anche decine di migliaia di guardie, assunte da numerose compagnie private (contractors), sia statunitensi che di altri Paesi, per affiancare gli eserciti regolari nelle operazioni di controllo del territorio e per la protezione del personale e delle installazioni civili e militari. Gli Stati Uniti, la forza capofila della coalizione, avevano fornito alle guardie le apposite credenziali e le avevano dotate delle armi, nel quadro di una vasta operazione di outsourcing (esternalizzazione) delle proprie attività sul territorio iracheno.
Le quattro guardie italiane quindi, benché assunte da una "compagnia di sicurezza" fondata da italiani (la Presidium Corporation), stavano operando al servizio dell'esercito statunitense in Iraq, eludendo così – in ragione del loro status – gli obblighi legali stabiliti dalle convenzioni internazionali, cui sono invece legati per definizione i militari impegnati dalla potenza occupante[senza fonte]. Per questo stato di cose, la situazione dei rapiti fu subito ritenuta delicata e pericolosa.
Il reclutatore dei quattro rapiti, Giampiero Spinelli, socio della Presidium corporation, individuato come responsabile del loro invio in Iraq, è stato indagato dalla magistratura italiana e assolto con formula piena, ai sensi dell'art.288 del c.p..
I rapitori lanciarono all'Italia un ultimatum: chiesero al Governo il ritiro delle truppe dall'Iraq, e le scuse per alcune frasi che avrebbero offeso l'Islam. L'ultimatum fu rifiutato.
Cupertino, Agliana e Stefio furono liberati l'8 giugno 2004, dopo 58 giorni di prigionia.
Il video dell'uccisione
« Quando gli assassini gli stavano puntando la pistola contro, questo ragazzo ha cercato di togliersi il cappuccio e ha gridato: adesso vi faccio vedere come muore un italiano. E lo hanno ucciso. È morto così: da coraggioso, da eroe »
(Franco Frattini, 15 aprile 2004)
Non sono tuttora completamente chiari i motivi per cui i rapitori decisero di uccidere Fabrizio Quattrocchi, lasciando in vita i suoi colleghi, ma si conoscono i suoi ultimi momenti di vita, registrati su video. Nel giugno del 2004 il quotidiano londinese Sunday Times pubblicò un'intervista a un iracheno, il cui nome di battaglia è Abu Yussuf, dichiaratosi membro del gruppo di rapitori dei quattro italiani. Yussuf dichiarò di aver girato personalmente il video dell'uccisione dell'italiano.
Secondo Yussuf, Quattrocchi, ormai consapevole del suo destino, avrebbe chiesto perché intendevano ucciderlo. «Per chiedere al governo italiano di ritirare le truppe», sarebbe stata la risposta. L'italiano avrebbe replicato: «È inutile, il mio governo non tratterà mai con voi per salvare le nostre vite». I rapitori allora lo costrinsero a inginocchiarsi in una fossa, bendato e con le mani legate.
Il racconto di Yussuf prosegue: «Quattrocchi mi disse: "Tu che parli italiano concedimi un desiderio, toglimi la benda e fammi morire come un italiano"» – Maurizio Agliana, collega di prigionia di Quattrocchi, confermò in seguito l'effettiva presenza tra i rapitori di almeno una persona in grado di capire e parlare un minimo di italiano[6] – «Voleva guardarci negli occhi mentre gli sparavamo». Ma mentre reiterava la richiesta di togliere la benda, l'ostaggio fu colpito mortalmente alla testa. Secondo Yussuf «Quattrocchi fu ucciso con la sua pistola, ma con una pallottola irachena». Successivamente, un video dell'uccisione fu spedito alla tv del Qatar Al-Jazira, che si è sempre rifiutata di mandarlo in onda sostenendo che fosse «troppo macabro», nonostante la stessa emittente avesse già trasmesso ripetutamente scene di vittime di guerra e filmati di esecuzioni.
Stando alla versione di Yussuf, per liberare gli altri tre ostaggi furono pagati 4 milioni di dollari. La versione ufficiale della liberazione di Cupertino, Agliana e Stefio parla invece di un blitz incruento da parte delle truppe americane.
Solo nel gennaio 2006 il TG1 della RAI ricevette un filmato relativo all'uccisione di Quattrocchi e lo trasmise parzialmente, interrompendone la riproduzione un attimo prima del momento degli spari «per rispetto della sensibilità della famiglia e dei telespettatori». Nel suo blog il giornalista del TG1 Pino Scaccia ne riferisce il contenuto completo:
« Fabrizio Quattrocchi è inginocchiato, le mani legate, incappucciato. Dice con voce ferma: "Posso toglierla?" riferito alla kefiah. Qualcuno gli risponde "no". E allora egli tenta di togliersi la benda e pronuncia: "Adesso vi faccio vedere come muore un italiano". Passano secondi e gli sparano da dietro con la pistola. Tre colpi. Due vanno a segno, nella schiena. Quattrocchi cade testa in giù. Lo rigirano, gli tolgono la kefia, mostrano il volto alla telecamera, poi lo buttano dentro una fossa già preparata. "È nemico di Dio, è nemico di Allah", concludono in coro i sequestratori. »
(Pino Scaccia, 9 gennaio 2006, descrivendo il filmato dell'uccisione di Fabrizio Quattrocchi)
Subito dopo la trasmissione del filmato, l'allora direttore del TG1 Clemente Mimun intervistò in diretta il compagno di prigionia Maurizio Agliana e la sorella di Fabrizio, Graziella Quattrocchi.
Sul video diffuso dal TG1 furono sollevati dubbi anche a seguito della testimonianza di Margherita Boniver, allora sottosegretario di Stato agli Affari esteri, la quale sostenne che il filmato originale pervenuto ad Al Jazira – e da lei visionato nel maggio 2004, durante una visita in Qatar – fosse «diverso» da quello mandato in onda nel 2006.[8]

Nessun commento: