31 dicembre, 2009
30 dicembre, 2009
Tre nuove panchine a Torraccia
Questa mattina il Consigliere de Municipio Roma V Roberto Chiappini ha istallato, con l'aiuto di amici, tre nuove panchine nell'area antistante il Maxi Sidis a fianco dell'edicola dei giornali. Un nuovo piccolo servizio che il nostro municipio porta a Torraccia. Prossimamente verrà mattonata l'area opposta all'edicola, verrà retrocessa la pensilina Atac in modo da lasciare liberto tutto il marciapiede.
PROMEMORIA 30 dicembre 1922 - Viene costituita l'Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche (URSS)
Viene costituita l'Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche (URSS.).
L'Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche (URSS) (in russo Союз Советских Социалистических Республик - CCCP[?] ascolta [?·i], [sʌjus sʌ'vʲɛtskɪx səʦɪəlɪ'stiʧɪskɪx rʲɪ'spublɪx], Sojuz Sovetskich Socialističeskich Respublik - SSSR, nelle altre lingue parlate nelle repubbliche sovietiche, si veda Nomi ufficiali dell'Unione Sovietica), anche nota come Unione Sovietica (Сов́етский Со́юз, [sʌ'vʲɛtskɪj sʌjus], Sovetskij Sojuz), era uno stato federale comunista dell'Eurasia nordorientale. Fu fondata il 30 dicembre 1922, sulle ceneri del vecchio Impero zarista, e si sciolse ufficialmente il 26 dicembre 1991.
La lista delle repubbliche costituenti la federazione, nel corso del tempo subì numerose variazioni. Negli anni precedenti il suo scioglimento, ne facevano parte 15 Repubbliche Socialiste Sovietiche (RSS).
La più grande per superficie, economia e popolazione e la più importante sul piano politico fu la Repubblica Socialista Sovietica Russa, l'odierna Russia. Anche il territorio dell'Unione Sovietica subì vari mutamenti, e nel periodo più recente corrispondeva approssimativamente a quello del tardo Impero Russo, senza tuttavia Polonia e Finlandia. L'organizzazione politica del paese prevedeva un solo partito politico ufficialmente riconosciuto, il Partito Comunista dell'Unione Sovietica (PCUS), guidato da un segretario generale e dal Politburo.
29 dicembre, 2009
Venti milioni di euro a sostegno dell’occupazione per ultraquarantenni e soggetti deboli
Venti milioni di euro a sostegno dell’occupazione per ultraquarantenni e soggetti deboli
Venti milioni di euro a sostegno dell'occupazione attraverso azioni di formazione, orientamento e accompagnamento, con cui contrastare l'esclusione dal mercato del lavoro per chi ha più di 40 anni e per i soggetti più deboli.
Questa la somma messa a disposizione per i bandi del Progetto obiettivo 2010, presentato questa mattina a Palazzo Valentini dal presidente della Provincia di Roma, Nicola Zingaretti, dall' assessore provinciale al Lavoro, Massimiliano Smeriglio, e da quello regionale all'Istruzione, Marco Di Stefano.
"I bandi - ha detto Zingaretti - vogliono essere una risposta di qualità alla crisi. Grazie ai Fondi europei messi a disposizione dalla Regione Lazio, si è potuta realizzare una vera e propria azione anticiclica che rafforza ulteriormente l'attività formativa promossa dalla Provincia di Roma. Chiudiamo il 2009 dedicandolo al tema della formazione e del lavoro come elementi fondamentali della nostra azione di governo".
Due gli assi di intervento, che vedono come beneficiari delle azioni da un lato ultra40enni, lavoratori occupati, atipici, inoccupati, disoccupati e dall'altro persone in situazione di fragilità sociale: in tutto potranno essere servite al massimo oltre 2.700 persone.
A ognuno sarà garantito un "sostegno al reddito" pari a 5 euro per ogni ora di formazione (circa 500 euro al mese); previsti anche incentivi per le aziende che al termine assumeranno in forma stabile o per la nascita di nuove imprese.
"Il bando - ha precisato Smeriglio – è stato pubblicato il 23 dicembre e scade il primo febbraio 2010".
Per consultare il bando visitare la sezione “Bandi e Avvisi” di questo portale.
PROMEMORIA 29 dicembre 1998 - I capi dei Khmer Rossi chiedono scusa per il genocidio in Cambogia che negli anni '70 fece oltre 1 milione di vittime
I capi dei Khmer Rossi chiedono scusa per il genocidio in Cambogia che negli anni '70 fece oltre 1 milione di vittime.
Khmer Rossi ("Khmaey Krahom" in lingua khmer) è il nome di una organizzazione politica comunista rimasta al potere in Cambogia dal 17 aprile 1975 al 9 gennaio 1979.
Il termine Khmer Rossi - dall'originale in lingua francese Khmer Rouge - fu coniato dal sovrano Norodom Sihanouk. Il loro nome ufficiale fu Partito Comunista della Cambogia, più tardi Partito della Kampuchea Democratica.
Si ritiene che il regime dei Khmer Rossi abbia causato la morte di 1,7 milioni di persone attraverso carestia, lavoro forzato e esecuzioni. Fu uno dei regimi più violenti del XX secolo, spesso paragonato a quello di Stalin e di Adolf Hitler. In rapporto alla popolazione, causò più morti di tutti gli altri. Finora solo tre dei leader Khmer Rossi sono stati processati e condannati al carcere. Molti - e soprattutto i più implicati nelle esecuzioni sommarie verificatesi durante la loro breve dittatura - hanno beneficiato di un'amnistia ad hoc per motivi meramente politici e di ordine pubblico. In cambio, è probabile che essi causarono la morte del loro leader, Pol Pot, per non farlo cadere vivo nelle mani del Tribunale Penale Internazionale, l'organismo sovranazionale deputato a giudicare i rei di crimini contro l'umanità e di genocidio.
Caduta dei Khmer Rossi
Il 22 dicembre 1978, dopo alcuni anni di scontri di frontiera e incursioni militari nel Vietnam (nel Settembre 1977 si rischiò la guerra aperta), le truppe vietnamite invasero la Cambogia, occuparono Phnom Penh il 7 gennaio 1979 e deposero il regime dei Khmer Rossi. A dispetto della tradizionale paura cambogiana della dominazione vietnamita (i vietnamiti ed i thailandesi abbatterono nel 1400 il regno Khmer di Angkor Vat), gli invasori furono assistiti dalle defezioni degli attivisti Khmer Rossi, che formavano la base del governo. Nel regime di Pol Pot, infatti, da sempre convivevano a fatica due fazioni, una maggioritaria filocinese (quella facente capo a Pol Pot, per l'appunto), ed una (con a capo Heng Samri) provietnamita e prosovietica: furono appunto questi ultimi, per timore di esser epurati e giustiziati ad invocare l'aiuto "fraterno" del Vietnam. I Khmer Rossi si ritirarono a ovest e continuarono a controllare l'area vicino alla Thailandia per i successivi dieci anni, ufficiosamente protetti da elementi dell'esercito tailandese e finanziati da contrabbandieri di diamanti e legname.
Gli USA e le altre nazioni occidentali, insieme alla Cina, continuarono nelle votazioni ONU a chiamare "Kampuchea Democratica" il legittimo governo cambogiano nella loro disapprovazione dell'occupazione vietnamita e dell'instaurazione della Repubblica Popolare di Kampuchea, che era sostenuta dall'Unione Sovietica. La Cina lanciò una punitiva invasione del nord Vietnam. Durante gli anni ottanta gli Stati Uniti dettero supporti militari e umanitari al repubblicano FLNPK e al realista ANS, tutti e due gruppi insurrezionali. I Khmer Rossi, guidati da Pol Pot e da molti militari dei tre gruppi ribelli, ricevettero molti aiuti dalla Cina e dall'esercito tailandese. Anche se l'est e il centro della Cambogia furono fermamente sotto il controllo vietnamita nel 1980, la parte ovest del paese continuò a essere un campo di battaglia per tutti gli anni ottanta, con milioni di mine sparse sul territorio.
Pol Pot lasciò la guida dei Khmer Rossi a Khieu Samphan nel 1985, ma continuò a essere capo effettivo di questi. Alcuni giornalisti [1] dissero che sebbene la comunità internazionale fosse vicina alla condanna del brutale regime dei Khmer Rossi, un considerevole numero di cambogiani nelle aeree controllate dai Khmer Rossi davano genuino supporto a Pol Pot, per il suo nazionalismo e la sua visione di una "pura" società Khmer.
Dopo un decennio di inconcludente conflitto, tutte le fazioni politiche cambogiane sottoscrissero un trattato nel 1991 a favore di elezioni e per il disarmo. Ma nel 1992 i Khmer Rossi ripresero a combattere e l'anno dopo non riconobbero il risultato delle elezioni. Ci fu una defezione di massa nel 1996 quando solo una metà (circa 4.000) rimasero soldati. Nel 1997 ci fu il processo e l'imprigionamento di Pol Pot e altri Khmer Rossi. Pol Pot morì nell'aprile 1998 e Khieu Samphan si arrese a dicembre. Il 29 dicembre 1998 i rimanenti leader Khmer Rossi contestarono i massacri degli anni settanta. Nel 1999 molti membri si erano arresi o erano stati catturati. Nel dicembre 1999 Ta mok e i rimanenti leader si arresero e i Khmer Rossi smisero effettivamente di esistere.
Prima della presa del potere da parte dei Khmer Rossi, molti cambogiani erano andati nei campi di rifugio stranieri. Ma coloro che non potevano fuggire dovettero lavorare nelle fattorie rurali fino a che i vietnamiti non li ebbero liberati e fatti uscire. Molti cambogiani andarono in Thailandia a chiedere asilo. Da lì sono stati trasportati in campi di rifugio come Kha-I-Dang, il solo campo che permetteva di andare in paesi come gli Stati Uniti, l'Australia, la Francia o il Canada.
28 dicembre, 2009
Infrastrutture, dalla Regione 15 milioni per le opere scelte dai cittadin
Infrastrutture, dalla Regione 15 milioni per le opere scelte dai cittadini
La giunta regionale del Lazio ha approvato una delibera che recepisce l'indicazione dei cittadini consultati attraverso il metodo dell'economia partecipata su 59 interveni in 55 grandi e piccoli comuni del Lazio interessati alla ripartizione, nel triennio 2009-2011, di 15 milioni di euro per la realizzazione di opere pubbliche sul territorio.
"Con questo provvedimento la giunta regionale - ha commentato l'assessore ai lavori pubblici, Vincenzo Maruccio - finanzia una serie di piccoli interventi segnalati direttamente dai cittadini: un esempio concreto di istituzioni vicine alle esigenze delle persone. Piccole e medie comunità potranno beneficiare così di opere che possono sensibilmente migliorare la qualità della vita. "
Per il vicepresidente Esterino Montino "E' il segno di un modo nuovo di decidere le opere consultando direttamente i cittadini e ascoltando i loro bisogni concreti. Questa delibera è uno dei numerosi simboli di cinque anni di governo regionale basati sulla discontinuità e l'innovazione nell'amministrazione del territorio".
La delibera individua nello specifico due graduatorie che contengono i nomi dei comuni rientranti nel provvedimento e gli importi previsti per ciascun intervento finanziato. Nei piccoli comuni gli interventi vanno dalla realizzazione di impianti fotovoltaici a quella di parcheggi e strutture sportive, alla ristrutturazione di piazze ed edifici pubblici e alla manutenzione di strade e scuole.
In particolare gli interventi riguardano 27 comuni della Provincia di Roma, 9 del reatino, 8 in provincia di Frosinone, 6 nel viterbese e 5 nella provincia pontina. Tra questi sono previste opere nei municipi II, V, VII, XI e XV di Roma e, tra i capoluoghi di provincia, a Latina e Frosinone.
PROMEMORIA 28 dicembre 1908 Calabria e Sicilia: un terremoto del 10° grado.E quì vogliono costruire il ponte?
Calabria e Sicilia: un terremoto del 10° grado ed un seguente maremoto radono al suolo le città di Reggio Calabria e Messina causando 100.000 morti. Verrà definito come uno dei due eventi sismici più catastrofici che la storia italiana ricordi.
E qui si ha la pretesa di costruire il ponte sullo stretto? Se si ha la pretesa di essere ricordati nei libri di storia l'odierno Presidente del Consiglio potrebbe impegnarsi su progetti meno faraonici ma essenziali per i cittadini!!!
Ma torniamo alla Storia,
Il terremoto di Messina, spesso citato anche come terremoto di Messina e Reggio del 1908 o terremoto calabro-siculo del 1908, è considerato uno degli eventi più catastrofici del XX secolo. Si verificò alle ore 5:21 del 28 dicembre 1908 e in 37 "lunghissimi" secondi danneggiò gravemente le città di Messina e Reggio Calabria.
Gli avvenimenti
Lunedì 28 dicembre 1908 un terremoto di 7,1 gradi Richter[2] (XI-XII Mercalli) si abbatté violentemente sullo Stretto, colpendo Messina e Reggio in tarda nottata (5,21). Uno dei più potenti sismi della storia italiana aveva còlto la regione nel sonno, interrotto tutte le vie di comunicazione (strada, ferrovia, telegrafo, telefono), danneggiato i cavi elettrici e del gas, e sospeso così l'illuminazione stradale fino a Villa San Giovanni e a Palmi. Con lo strascico di un maremoto, l'evento devastò particolarmente Messina, causandovi il crollo del 90% degli edifici.
Le testimonianze dell'epoca
La relazione al Senato del Regno – datata 1909 – sul terremoto di Messina è agghiacciante: «Un attimo della potenza degli elementi ha flagellato due nobilissime province – nobilissime e care – abbattendo molti secoli di opere e di civiltà. Non è soltanto una sventura della gente italiana; è una sventura della umanità, sicché il grido pietoso scoppiava al di qua e al di là delle Alpi e dei mari, fondendo e confondendo, in una gara di sacrificio e di fratellanza, ogni persona, ogni classe, ogni nazionalità. È la pietà dei vivi che tenta la rivincita dell’umanità sulle violenze della terra. Forse non è ancor completo, nei nostri intelletti, il terribile quadro, né preciso il concetto della grande sventura, né ancor siamo in grado di misurare le proporzioni dell’abisso, dal cui fondo spaventoso vogliamo risorgere. Sappiamo che il danno è immenso, e che grandi e immediate provvidenze sono necessarie».
Giovanni Pascoli, che fu docente universitario a Messina e frequentava spesso Reggio essendo amico di Diego Vitrioli scrisse:
« Qui dove tutto è distrutto, rimane la poesia. »
I siciliani ed i calabresi vennero immediatamente soccorsi da navi russe ed inglesi di passaggio, mentre gli aiuti italiani arrivarono, con stupore della stampa, solo dopo una settimana. Tra le prime squadre di soccorso che giunsero a Reggio vi fu quella proveniente da Cosenza, guidata dall’esponente socialista Pietro Mancini che dichiarò:
« Le descrizioni dei giornali di Reggio e dintorni sono al di sotto del vero. Nessuna parola, la più esagerata, può darvene l’idea. Bisogna avere visto. Immaginate tutto ciò che vi può essere di più triste, di più desolante. Immaginate una città abbattuta totalmente, degli inebetiti per le vie, dei cadaveri in putrefazione ad ogni angolo di via, e voi avrete un’idea approssimativa di che cos’è Reggio, la bella città che fu. »
E ancora i giornali scrissero:
« Oramai non v’è dubbio che, se a Reggio fossero giunti pronti i soccorsi, a quest’ora non si sarebbero dovute deplorare tante vittime. »
« Si è assodato che Reggio rimase per due giorni in quasi completo abbandono. I primi ad accorrere il giorno 28 in suo soccorso vennero a piedi da Lazzaro – insieme al generale Mazzitelli ed a poche centinaia di soldati: furono i dottori Annetta e Bellizzi in unione ai componenti la squadra agricola operaia di Cirò, forte di 150 uomini accompagnati dall’avv. Berardelli di Cosenza. Questa squadra ebbe contegno mirabile e diede aiuto alle migliaia di feriti giacenti presso la stazione. Gli stessi operai provvidero allo sgombero della linea ferroviaria favorendo la riattivazione delle comunicazioni ferroviarie. Appena giunti furono circondati da una turba di affamati ed il pane da essi portato veniva loro strappato letteralmente dalle mani. Sicché essi dovettero patire la fame fino al giorno 30 quando cominciò l’arrivo delle navi. »
Luoghi pubblici
A Reggio Calabria andarono distrutti diversi edifici pubblici. Caserme ed ospedali subirono gravi danni, 600 le vittime del 22° fanteria dislocate nella caserma Mezzacapo, all'Ospedale civile, su 230 malati ricoverati se ne salvarono solo 29.
A Bagnara di Calabria crollarono numerose case. A Palmi andò distrutta la chiesa di San Rocco. A Trifase nei pressi di Catanzaro si ebbero molti danni ma fortunatamente pochi gli scomparsi data la modesta dimensione delle abitazioni. In Sicilia si ebbero crolli a Maletto, Belpasso, Mineo, S. Giovanni di Giarre, Riposto e Noto. A Caltagirone crollò per metà il quartiere militare.
A Messina, maggiormente sinistrata, rimasero sotto le macerie ricchi e poveri, autorità civili e militari. Nella nuvola di polvere che oscurò il cielo, sotto una pioggia torrenziale ed al buio, i sopravvissuti inebetiti dalla sventura e semivestiti non riuscirono a realizzare immediatamente l’accaduto. Alcuni si diressero verso il mare, altri rimasero nei pressi delle loro abitazioni nel generoso tentativo di portare soccorso a familiari ed amici. Qui furono colti dalle esplosioni e dagli incendi causati dal gas che si sprigionò dalle tubature interrotte. Tra voragini e montagne di macerie gli incendi si estesero, andarono in fiamme case, edifici e palazzi ubicati nella zona di via Cavour, via Cardines, via della Riviera, corso dei Mille, via Monastero Sant'Agostino.
Ai danni provocati dalle scosse sismiche ed a quello degli incendi si aggiunsero quelli cagionati dal maremoto, di impressionante violenza, che si riversò sulle zone costiere di tutto lo Stretto di Messina con ondate devastanti stimate, a seconda delle località della costa orientale della Sicilia, da 6 m a 12 m di altezza (13 metri a Pellaro, frazione di Reggio Calabria). Lo tsunami in questo caso provocò molte vittime, fra i sopravvissuti che si erano ammassati sulla riva del mare, alla ricerca di un'ingannevole protezione. [3]. Improvvisamente le acque si ritirarono e dopo pochi minuti almeno tre grandi ondate aggiunsero al già tragico bilancio altra distruzione e morte. Onde gigantesche raggiunsero il litorale spazzando e schiantando quanto esistente. Nel suo ritirarsi la marea risucchiò barche, cadaveri e feriti. Molte persone, uscite incolumi da crolli ed incendi, trascinate al largo affogarono miseramente. Alcune navi alla fonda furono danneggiate, altre riuscirono a mantenere gli ormeggi entrando in collisione l’una con l’altra ma subendo danni limitati. Il villaggio del Faro a pochi chilometri da Messina andò quasi integralmente distrutto. La furia delle onde spazzò via le case situate nelle vicinanze della spiaggia anche in altre zone. Le località più duramente colpite furono Pellaro, Lazzaro e Gallico sulle coste calabresi; Briga e Paradiso, Sant'Alessio e fino a Riposto su quelle siciliane. Gravissimo fu il bilancio delle vittime: Messina, che all’epoca contava circa 140.000 abitanti, ne perse circa 80.000 e Reggio Calabria registrò circa 15.000 morti su una popolazione di 45.000 abitanti. Secondo altre stime si raggiunse la cifra impressionante di 120.000 vittime, 80.000 in Sicilia e 40.000 in Calabria. Altissimo fu il numero dei feriti e catastrofici furono i danni materiali. Numerosissime scosse di assestamento si ripeterono nelle giornate successive e fin quasi alla fine del mese di marzo 1909.
27 dicembre, 2009
PROMEMORIA 27 dicembre 1947 - Il Capo provvisorio dello Stato Enrico De Nicola promulga la Costituzione della Repubblica Italiana
Il Capo provvisorio dello Stato Enrico De Nicola promulga la Costituzione della Repubblica Italiana.
Enrico de Nicola (Napoli, 9 novembre 1877 – Torre del Greco, 1º ottobre 1959) è stato un politico e avvocato italiano. Fu il primo Presidente della Repubblica Italiana. Fu infatti eletto Capo provvisorio dello Stato dall'Assemblea Costituente e dal 1º gennaio 1948, a norma della prima disposizione transitoria della Costituzione, assunse titolo ed attribuzioni del Presidente della Repubblica. Precedentemente era stato Presidente della Camera dei Deputati dal 26 giugno 1920 al 25 gennaio 1924
Avvocato penalista di notorietà nazionale, politicamente di area liberale giolittiana, fu eletto per la prima volta deputato nel 1909 (XXIII legislatura) nel collegio di Afragola. Riconfermato sino alla XXVI legislatura, all'epoca della marcia su Roma (1922) si ritrova garante del patto nazionale di pacificazione tra fascisti e socialisti, poi abortito. Era persino di simpatie monarchiche, e questo rappresentava un segnale di pacificazione e di unità nazionale dopo un referendum molto combattuto.
Dopo l'incarico a Mussolini di formare un governo in funzione antisocialista e stabilizzatrice, si ritrovò, nei liberali e coi democristiani, ad appoggiarne la fiducia.
Fu presidente della Camera fino al 1924, quando decise di non ricandidarsi alle elezioni col listone nazionale assieme ai fascisti. Nel 1929 fu nominato senatore del Regno, ma non prese mai parte ai lavori parlamentari, tranne in alcune commissioni giuridiche.
Nel 1943, dopo la caduta del regime, considerato figura autorevole della politica pre-fascista, fu chiamato a mediare fra gli Alleati e la Corona per consentire un più agevole passaggio di poteri ed è generalmente considerata una sua creazione l'istituzione della figura del Luogotenente, con la quale si riduceva l'impatto formale della sconfitta pur limitando la sovranità monarchica.
De Nicola, inoltre, è l'unico ad aver ricoperto sia la carica di Presidente del Senato sia quella di Presidente della Camera dei Deputati. Nella sua vita ricoprì anche la carica di Presidente della Repubblica e Presidente della Corte Costituzionale, trovandosi così ad esser stato a capo di 4 delle 5 cariche dello Stato.
In occasione del 50° anniversario della morte, la casa editrice Kairòs ha pubblicato la prima biografia completa e dettagliata sulla vita e l'opera di De Nicola che, intitolata Enrico De Nicola. Il presidente galantuomo, è opera del giornalista e scrittore napoletano Andrea Jelardi.
Le ragioni dell'elezione
Fu eletto dall'Assemblea Costituente capo provvisorio dello Stato il 28 giugno 1946. L'elezione fu il frutto di un lungo lavoro "diplomatico" fra i vertici dei principali partiti politici, i quali, superata una iniziale contrapposizione fra le candidature di Benedetto Croce e Vittorio Emanuele Orlando, avevano finalmente convenuto che si dovesse eleggere un presidente capace di riscuotere il maggior gradimento possibile presso la popolazione affinché il trapasso al nuovo sistema fosse il meno traumatico possibile; si convenne perciò che dovesse scegliersi un meridionale, a compensazione della provenienza settentrionale della maggioranza dei leader politici, e che (stante il risicato - e da parte monarchica contestato - scarto dei risultati del referendum istituzionale) dovesse trattarsi di un monarchico.
La contrapposizione delle candidature di Orlando (proposta da DC e destre) e di Croce (proposta dalle sinistre e dai laici) si protrasse sterilmente per lungo tempo e tardò ad essere composta (principalmente dall'incessante opera di convincimento condotta da De Gasperi) per evolvere alfine nella comune indicazione di De Nicola, ma anche dall'interessato venne un supplemento di ritardo, esasperante per l'alternanza di orientamenti, ora positivi, ora negativi, che pareva esternare.
I dubbi, l'umiltà
Noto infatti per una prudenza ai limiti dell'indecisione, De Nicola era contrastato da sentimenti diversi e morso da profondi dubbi, mal tollerati da chi desiderava conoscere una volta per tutte il suo volere definitivo. Andreotti avrebbe ricordato che in tale occasione Manlio Lupinacci scrisse sul Giornale d'Italia "Onorevole De Nicola, decida di decidere se accetta di accettare".[1] Fu eletto il 28 giugno 1946, con 396 voti su 501, e assunse la carica il 1º luglio. Il 25 giugno 1947 rassegnò le dimissioni, per presunti motivi di salute; le dimissioni non potevano essere respinte dalla Costituente, che lo ri-elesse il giorno dopo.
Dopo l'entrata in vigore della Costituzione, in occasione delle prime elezioni parlamentari del Presidente della Repubblica, la maggioranza elesse nuovo presidente della Repubblica il liberale Luigi Einaudi, e De Nicola divenne senatore a vita.
Cariche successive
Fu anche sottosegretario di Stato al Ministero delle Colonie e a quello del Tesoro. Esercitò le attribuzioni e assunse il titolo di presidente della Repubblica dal 1º gennaio 1948, a norma della prima disposizione transitoria della Costituzione.
Come ex Presidente della Repubblica, divenne senatore a vita. Fu Presidente del Senato della Repubblica dal 28 aprile 1951 al 24 giugno 1952, durante la I Legislatura. Si dimise in occasione delle votazioni per la legge elettorale sul c.d. premio di maggioranza (altrimenti detta legge truffa).
Il 2 dicembre 1955 fu nominato giudice della Corte Costituzionale dal Presidente della Repubblica Giovanni Gronchi. Ricoprì l'incarico di Presidente della Corte Costituzionale dal 23 gennaio 1956 al 26 marzo 1957.
Il 1º ottobre 1959 morì nella sua casa di Torre del Greco.
Lo stile
Era particolarmente stimato per l'onestà, l'umiltà e l'austerità dei costumi.
Enrico De Nicola, giunto discretamente a bordo della sua auto privata a Roma dalla sua Torre del Greco, per assumere la carica (ponendo in subbuglio il mondo della politica e la polizia fino al suo arrivo), rifiutò lo stipendio previsto per il capo dello stato (12 milioni di lire) ed anzi spese preferibilmente sempre di tasca propria. Divenne famoso il suo cappotto rivoltato, dignitosissimo co-protagonista di numerosissime occasioni ufficiali.
Considerando la provvisorietà della sua carica, ritenne improprio stabilirsi al Quirinale, optando per Palazzo Giustiniani; durante la sua presidenza, ostentava un'agendina nella quale, asseriva, andava prendendo appunti sul corretto modo di esercitare la funzione presidenziale, quasi una sorta di codice deontologico per capi di stato. Il suo successore, Luigi Einaudi, fra le prime cose che fece da presidente volle dunque ricercare quest'agendina, ma, sostiene Andreotti, la trovò incredibilmente vuota, senza che De Nicola vi avesse scritto alcunché.[2]
Ad Afragola, il podestà Ciaramella ottenne dall'alto commissario per la Provincia di Napoli l'autorizzazione ad intitolargli una strada quando era ancora in vita.
26 dicembre, 2009
PROMEMORIA 26 dicembre 2004 - Maremoto dell'Oceano Indiano
Maremoto dell'Oceano Indiano: un terremoto - con conseguente tsunami - di magnitudo 9,0, con epicentro al largo di Sumatra (Oceano Indiano), sconvolge una vastissima area dell'Asia con gravissime ripercussioni dalle coste dell'Africa orientale fino all'Australia. Almeno 300.000 le vittime.
Il maremoto dell'Oceano Indiano del dicembre 2004 è stato uno dei più catastrofici disastri naturali dell'epoca moderna, causando circa 230.000 morti. Ha avuto la sua origine e il suo sviluppo nell'arco di poche ore in una vasta area della Terra: ha riguardato l'intero sud-est dell'Asia, giungendo a lambire le coste dell'Africa orientale.
L'evento ha avuto inizio alle ore 00:58:53 UTC del 26 dicembre 2004 quando un violentissimo terremoto - circa 9,3 gradi della scala ML della magnitudo locale - ha colpito l'oceano Indiano al largo della costa nord-occidentale di Sumatra (Indonesia).
Tale terremoto è risultato il più violento degli ultimi quarant'anni, cioè dal sisma che colpì l'Alaska (USA) il 27 marzo del 1964, ed ha provocato centinaia di migliaia di vittime, sia direttamente sia attraverso il conseguente maremoto manifestatosi attraverso una serie di onde anomale alte fino a quindici metri che hanno colpito sotto forma di giganteschi tsunami vaste zone costiere dell'area asiatica tra i quindici minuti e le dieci ore successive al terremoto.
Gli tsunami hanno colpito e devastato parti delle regioni costiere dell'Indonesia, dello Sri Lanka, dell'India, della Thailandia, della Birmania, del Bangladesh, delle Maldive giungendo a colpire le coste della Somalia e del Kenya (ad oltre 4.500 km dall'epicentro del sisma).
Danni e vittime
Il terremoto ha scatenato delle grandi onde anomale che hanno colpito sotto forma di immensi tsunami le coste dell'Oceano Indiano (sono anche state registrate lievi fluttuazioni di livello nell'Oceano Pacifico). Il numero totale di vittime accertate causate da questa serie di cataclismi è di circa 226.000 esseri umani, ma decine di migliaia di persone sono ancora date per disperse, mentre tra i tre ed i cinque milioni sarebbero gli sfollati. Le vittime italiane sarebbero state 40, di cui 37 in Thailandia e 3 nello Sri Lanka.
A fronte di stime iniziali molto più conservative il responsabile delle operazioni di soccorso dell'Unione Europea, Guido Bertolaso, aveva fin dalle prime ore affermato che i morti avrebbero potuto essere alla fine ben più di 100.000[9], mentre attualmente circolano stime che pongono tra i 150.000 ed i 400.000[10] il numero dei morti soltanto per conseguenza diretta del terremoto e del conseguente tsunami soltanto in Indonesia. Secondo le organizzazioni umanitarie circa un terzo delle vittime potrebbe essere costituito da bambini, specie in considerazione del fatto che fra le popolazioni delle regioni interessate dalla sciagura vi è un'alta proporzione di minori che - in ogni caso - hanno potuto opporre una minore resistenza alla forza straripante delle acque.
Oltre alle popolazioni residenti, vi sono tra le vittime molti turisti stranieri che si trovavano in quelle zone nel pieno delle vacanze di Natale.
Il mancato avvertimento dell'imminente arrivo dell'onda mortale, soprattutto in India e Sri Lanka, ha provocato in queste regioni 55.000 morti. Se le popolazioni costiere fossero state avvertite da messaggi televisivi, o tramite i cellulari, o da veicoli muniti di altoparlanti, sarebbe bastato uno spostamento di cinquecento metri verso l'interno, o su alture vicine, per non cadere vittime dello tsunami. L'onda ha impiegato circa tre ore ad attraversare il Golfo del Bengala prima di infrangersi violentemente contro le coste indiane e singalesi.
Gli tsunami sono piuttosto frequenti nell'Oceano Pacifico, dove le popolazioni ed i governi sono più preparati a questo fenomeno e dove sono in funzione degli evoluti sistemi di allerta. Nell'Oceano Indiano l'ultimo tsunami paragonabile a questo avvenne nel 1883, a seguito dell'eruzione e della conseguente esplosione del Krakatoa. Il numero elevato di vittime di questo maremoto potrebbe essere anche dovuto al fatto che i paesi colpiti erano del tutto impreparati all'evento, e che le popolazioni stesse non si sono rese conto e non hanno compreso i segnali che avrebbero potuto far riconoscere loro l'arrivo di uno tsunami.
Lo stato di emergenza è stato dichiarato nello Sri Lanka, in Indonesia e nelle Maldive. Le Nazioni Unite hanno dichiarato che le operazioni umanitarie attualmente in corso a seguito del cataclisma saranno le più costose della storia. I governi e le ONG hanno lanciato l'allarme sul fatto che il numero di vittime finale potrebbe aumentare a causa di eventuali epidemie.
Alcuni storici hanno già ipotizzato che questo potrebbe essere il più costoso tsunami in termini di vite umane a memoria d'uomo.
I fusi orari delle zone colpite dal cataclisma sono i seguenti: UTC+3: (Kenya, Somalia); UTC+4: (Mauritius, Réunion, Seychelles); UTC+5: (Maldives); UTC+5:30: (India); UTC+6: (Bangladesh, Sri Lanka); UTC+6:30: (Isole Cocos, Birmania); UTC+7: (Indonesia (ovest), Thailandia); UTC+8: (Malesia, Singapore). Dato che il terremoto ha colpito alle 00:58:53 UTC, bisogna considerare i fusi orari precedentemente introdotti per ottenere
25 dicembre, 2009
PROMEMORIA 25 dicembre 1996 - Portopalo: nella notte fra il 25 e il 26 dicembre affonda un battello di immigrati
Portopalo: nella notte fra il 25 e il 26 dicembre affonda un battello di immigrati che cercava di raggiungere le coste siciliane. Le vittime sono 283: si tratta della più grande tragedia navale avvenuta nel Mediterraneo dalla fine della seconda guerra mondiale. Viene ricordata come la Strage di Natale.
Il naufragio della F174 rappresenta la più grande tragedia navale del Mediterraneo dalla fine della Seconda Guerra Mondiale avvenuta nella notte tra il 25 e il 26 dicembre 1996 e per questo conosciuta anche con il nome di Strage di Natale. Il naufragio è conosciuto inoltre con il nome di Tragedia di Portopalo, perché avvenuto a poche miglia dalla località siciliana di Portopalo di Capo Passero, in provincia di Siracusa. Nel naufragio persero la vita 289 persone.
Il viaggio dei clandestini
La nave trasportava clandestini provenienti principalmente da India, Pakistan e Sri Lanka. I clandestini provenienti da varie località asiatiche erano stati convogliati verso il porto del Cairo. Qui, dopo aver versato circa un migliaio di dollari a testa ai trafficanti di esseri umani, vennero imbarcati sulla "Friendship"; la nave però non venne fatta partire perche si attendeva l'arrivo di altri clandestini per poter partire a pieno carico. Dopo 12 giorni di vana attesa i clandestini vengono trasbordati su un cargo battente bandiera honduregna, la "Yohan", che parte con 470 persone a bordo. Le condizioni di vita a bordo della nave sono pessime: i passeggeri sono rinchiusi nella stiva, con pochissimo cibo e acqua a disposizione.
La nave, un battello maltese dal nome F174, arriva nella notte tra il 25 e il 26 dicembre. Si tratta di un'imbarcazione in pessimo stato, in legno e con i sistemi di sicurezza fuori uso. I passeggeri dello "Yohan" salgono in massa sul battello maltese, lungo 18 metri, fino a che la nave non comincia a dare segni di instabilità. I trafficanti decidono allora di effettuare due viaggi per trasportare tutti i passeggeri e la F174 riparte con circa 400 persone a bordo, non accorgendosi però di uno squarcio sulla prua apertosi dopo un urto con la "Yohan" nelle operazioni di trasbordo.
Il battello imbarca acqua, e resosi conto di non poter raggiungere la costa siciliana chiede aiuto alla "Yohan". Il cargo giunge in pochi minuti ma a causa del mare in burrasca si scontra con la F174 che si spacca in tre ed affonda. Solo una trentina di persone, tra cui il comandante greco, si salvano sui mezzi di soccorso lanciati dalla "Yohan". Muoiono quasi 300 persone.
I trafficanti ripartono con la Yohan per la Grecia dove scaricano i passeggeri superstiti, tenendoli però segregati affinché non possano parlare. Un gruppo di clandestini riesce a fuggire e racconta alla polizia greca l'accaduto; la polizia greca non crede però alla loro versione e arresta i clandestini.
La "Yohan" viene sequestrata il 28 febbraio dopo aver sbarcato altri clandestini in Calabria. Le autorità italiane si dimostrano però perplesse sull'accaduto e non approfondiscono le indagini. Poiché il naufragio non ha quasi lasciato tracce concrete la vicenda è stata appurata solo grazie alle indagini di un giornalista Giovanni Maria Bellu che hanno creduto alle testimonianze di alcuni clandestini e seguito alcune voci che circolavano.
L'inchiesta
Nei giorni successivi alla tragedia i pescatori di Portopalo ritrovano numerosi cadaveri, ma non denunciano nulla alle autorità per evitare interrogatori e lunghi sequestri delle imbarcazioni. I cadaveri vengono rigettati in mare. Solo un pescatore, Salvatore Lupo, ha il coraggio di denunciare il ritrovamento del punto esatto della nave 174 dove era affondata. il comandante Lupo racconta tutto prima alle autorità, ma la cosa non viene presa sul serio, allora si mette in contatto col giornalista Giovanni Maria Bellu del quotidiano la Repubblica, il quale si impegna con una indagine internazionale alla ricerca della verità. nel 2001 mostra al mondo le immagini del relitto della F-174, dentro il quale erano ancora imprigionati gli scheletri delle vittime.
Dopo le prime denunce la Procura di Siracusa aveva aperto un'inchiesta e i membri dell’equipaggio erano stati rinviati a giudizio per omicidio colposo. Quando si individuò il relitto ci si rese conto che questo si trovava in acque internazionali e il processo venne bloccato per mancanza della competenza territoriale.
La Procura di Siracusa decise allora di applicare la norma del codice penale che prevede, in casi di eccezionale gravità, di indagare su fatti non accaduti in Italia. Bisognò però contestare un reato più grave, l’omicidio volontario plurimo aggravato. Il reato era contestabile però solo a due persone: il capitano della nave e un trafficante pakistano colpevoli tra l'altro di aver gettato in mare un giovane clandestino ferito. Il processo rimase aperto solo per l’armatore pakistano Tourab Ahmed Sheik, residente a Malta, perché la Francia si oppose alla richiesta di estradizione del capitano che si era rifugiato oltralpe. L'armatore è stato condannato in appello a 30 anni di carcere insieme al capitano della nave, dopo che il processo di primo grado li aveva visti assolti.
24 dicembre, 2009
Buone feste a tutti
PROMEMORIA 24 dicembre 1914 - Prima guerra mondiale: Inizia la "Tregua di Natale".
Prima guerra mondiale: Inizia la "Tregua di Natale".
La cosiddetta tregua di Natale ebbe inizio la vigilia di Natale del 1914, durante la prima guerra mondiale, quando i soldati tedeschi iniziarono a decorare la zona attorno alle loro trincee, nella regione di Ypres (Belgio), per il Natale. Cominciarono mettendo delle candele sugli alberi, quindi continuarono le celebrazioni cantando canzoni natalizie. I soldati britannici nelle trincee sull'altro lato del fronte risposero intonando canzoni natalizie in inglese.
I due schieramenti continuarono scambiandosi a voce degli auguri natalizi. Subito dopo ci furono inviti a incontrarsi nella "terra di nessuno", dove avvenne lo scambio di piccoli doni: whisky, sigari, cioccolata e simili. L'artiglieria nella regione restò muta quella notte. La tregua permise inoltre il recupero delle salme dei soldati caduti. Si svolsero delle vere e proprie cerimonie di sepoltura, nelle quali soldati di entrambe le parti piansero assieme i compagni morti. In un funerale nella "terra di nessuno", soldati tedeschi e britannici si riunirono assieme per leggere un passo del Salmo 23:
« Il Signore è il mio pastore, non mi fa mancare nulla. Su prati verdi mi fa riposare, ad acque tranquille mi conduce. Il Signore mi dona nuova forza, mi consola, mi rinfranca. Su sentieri diritti mi guida, per amore del suo nome. Anche se andassi per una valle oscura non temerei alcun male perché tu sei con me. »
La tregua si estese ad altre zone del fronte, ed esiste anche la storia di un incontro di calcio tra soldati scozzesi e sassoni, che terminò quando la palla andò ad urtare un tratto di filo spinato sgonfiandosi.
In molti settori la tregua durò per tutto il giorno di Natale, ma in alcune zone continuò fino a Capodanno. Alla tregua presero parte sia i soldati che i loro sottufficiali e ufficiali.
Va notato che allo scoppio del conflitto la propaganda si adoperò molto per dipingere il nemico come privo di scrupoli o di morale, ed assicurava inoltre che la guerra sarebbe finita prima di Natale.[senza fonte] Durante la tregua i soldati scoprirono che nelle trincee nemiche si trovavano uomini esattamente come loro, e che anzi avevano molto più in comune con questi soldati, rintanati in trincee umide e pericolanti come le loro, che non con i loro più alti superiori.
I comandanti britannici John French e Horace Smith-Dorrien diedero ordine che una tale tregua non si ripetesse mai più. In tutti gli anni di guerra che seguirono, vennero ordinati bombardamenti di artiglieria alla vigilia di Natale per assicurarsi che non si verificassero più interruzioni nei combattimenti. Inoltre le truppe vennero fatte ruotare in diversi settori del fronte per impedire che familiarizzassero apertamente con il nemico. Nonostante queste misure ci furono ancora pochi incontri amichevoli tra i soldati dei due schieramenti, ma su una scala molto minore rispetto a quanto avvenne nel 1914.
Croce, posta vicino Ypres nel 1999 da parte dei "Khaki Chum", a ricordare il luogo in cui avvenne la tregua di Natale
Durante la Pasqua del 1916 una tregua simile si verificò sul fronte orientale.
Nel 1999, i cosiddetti "Khaki Chums" (ufficialmente: l'Associazione per il Ricordo Militare) visitarono una parte delle Fiandre e ricrearono la tregua di Natale, vivendo come vissero i soldati britannici della prima guerra mondiale, privi delle comodità moderne.
Diversi libri sono stati scritti sulla tregua di Natale, tra cui Silent Night: The Story of the World War I Christmas Truce, di Stanley Weintraub, che riporta la cronaca degli eventi da testimonianze di prima mano, e La piccola pace nella Grande Guerra di Michael Jürgs che si propone di riportare alla luce l'evento con testimonianze e aggiungendovi considerazioni di carattere storico, sociale e politico al fine di trovare l'origine e il significato dell'episodio.
23 dicembre, 2009
Terremoto, Protezione civile porta albero di Natale e pacchi ai cittadini di Fossa (AQ)
Terremoto, Protezione civile porta albero di Natale e pacchi ai cittadini di Fossa (AQ)
La direzione e i volontari della protezione civile del Lazio hanno incontrato la popolazione del comune di Fossa, vicino L'Aquila, per un momento di auguri e di festa. Circa un centinaio di volontari, appartenenti alle circa 20 associazioni che hanno operato a Fossa nel corso del 2009, insieme ai dirigenti della protezione civile regionale, al sindaco di Fossa Luigi Calvisi e ai funzionari che dopo li terremoto del 6 aprile si sono alternati nel coordinamento del campo, si sono ritrovati presso il villaggio di nuove case costruito a circa due chilometri dal centro storico di Fossa.
Durante l'incontro è stato inaugurato l'albero di Natale collocato dalla Protezione civile regionale al centro della piazza del nuovo villaggio e sono stati distribuiti pacchi dono natalizi. L'appuntamento, oltre allo scambio di auguri tra cittadini e volontari (che in questi mesi hanno stretto nel campo un forte legame umano) sarà l'occasione per fare il punto della situazione su ricostruzione e lavori in corso.
Il campo di Fossa è stato infatti completamente montato, organizzato e gestito dalla Protezione civile del Lazio. Dirigenti e volontari delle associazioni hanno montato le tende, le strutture comuni e la cucina da campo; la protezione civile regionale ha organizzato i turni dei volontari e la presenza di cuochi, inservienti e altre figure professionali necessarie alla ordinata attività del campo.
Fossa è stato uno dei paesi più colpiti dal terremoto del 6 aprile in Abruzzo. Da quel giorno oltre 600 persone hanno vissuto per più di sei mesi nella tendopoli interamente allestita e gestita dalla protezione civile della Regione Lazio. Quando alla fine di novembre il campo è stato chiuso , gli abitanti di Fossa sono andati a vivere nelle casette di nuova costruzione (circa 400 persone) e in alberghi, caserme e altri edifici pubblici della zona.
L'incontro di Fossa segue di pochi giorni la chiusura del COM2, il Centro Operativo Misto coordinato dalla Regione Lazio (con sede a San Demetrio né Vestini) che ha gestito la vita nel dopo-terremoto di 21 comuni della provincia dell'Aquila e ha chiuso i battenti lo scorso 14 dicembre.
Al via l'Abecol, l'agenzia regionale per il riutilizzo dei beni confiscati alla malavita. Nominato il direttore.
Al via l'Abecol, l'agenzia regionale per il riutilizzo dei beni confiscati alla malavita. Nominato il direttore.
Nominato il direttore dell'Abecol, l'Agenzia regionale per i beni confiscati alle organizzazioni criminali nel Lazio; si tratta di Vincenzo Boncoraglio, attuale direttore regionale della direzione Affari Istituzionali, Enti Locali e della Sicurezza della Regione Lazio, prefetto, già questore di Viterbo, Firenze e Milano. La nomina, proposta dall'assessore alle Politiche Sociali e delle Sicurezze Luigina Di Liegro, è stata approvata ieri dalla Giunta Regionale.
"Sono entusiasta di questa nomina - ha dichiarato l'assessore Di Liegro - per le qualità professionali e personali del direttore Boncoraglio con il quale fin dai primi giorni del mio mandato, ho lavorato in sintonia per l'istituzione dell'Abecol. Il lavoro del Direttore sarà fondamentale per mettere in immediata operatività l'Agenzia, che sarà uno strumento fondamentale per trasformare la ricchezza delle mafie in un'opportunità di inclusione e sviluppo sociale per i cittadini. Anche la proposta del Ministro degli Interni Maroni di istituire un'Agenzia nazionale, non può prescindere, per essere efficace e rispondere ai reali bisogni che emergono dai territori, di interfacciarsi con la Regione Lazio e gli enti locali che sono titolari della programmazione e della attuazione degli interventi in materia socio-sanitaria, assistenziale e di sviluppo del territorio."
Questa nomina, ha detto il consigliere Fabrizio Cirilli, che ha fortemente sostenuto la costituzione dell'Abecol, "è la dimostrazione che la Regione sta portando avanti fattivamente la lotta contro le mafie. La nomina del prefetto Boncoraglio, che stimo come illustre esperto del settore, non prevedendo alcuna retribuzione è in linea, inoltre, con l'intento della Regione di evitare ulteriori nomine che gravino sulla nostra amministrazione".
Un plauso alla nomina di Boncoraglio è venuto anche dal consigliere Enrico Fontana: "Un passo avanti importante - ha detto - per rendere operativo un percorso iniziato con una legge approvata all'unanimità. I beni criminali potranno divenire un'opportunità di lavoro e veri e propri presidi di legalità. Quello che avrebbe voluto Pio La Torre."
Il Consiglio provinciale ha approvato il Bilancio di Previsione 2010 e il Piano delle Opere Pubbliche
Il Consiglio provinciale ha approvato il Bilancio di Previsione 2010 e il Piano delle Opere Pubbliche
Il Consiglio provinciale di Roma con 27 si, 12 no e 1 astenuto ha approvato il Bilancio di previsione 2010 e il piano delle Opere Pubbliche.
La manovra finanziaria della Giunta Zingaretti prevede 121,4 milioni di euro per investimenti e 430,9 milioni di euro per la spesa corrente (che diminuisce di 79,9 milioni di euro rispetto al 2009).
Come per il 2009, anche per il 2010 è prevista la riduzione delle entrate tributarie di 22 milioni di euro dovute agli effetti della crisi economica
Nonostante la forte riduzione delle entrate, l'Amministrazione Zingaretti ha confermato la copertura di tutti gli impegni di spesa pluriennali assunti nel 2009 e di tutte le spese obbligatorie comprese le manutenzioni di strade, scuole e patrimonio.
Confermate le politiche per welfare e investimenti quali chiavi per la crescita e la tenuta sociale della provincia. Risultati ottenuti grazie anche alla rimodulazione del Piano degli investimenti che ha consentito di abbattere l'indebitamento dell'ente di 46 milioni di euro nel 2009 e di ridurre gli oneri per interesse con il recupero di 4 milioni di euro di spesa corrente nel 2010.
La capacità di investimento della Provincia di Roma nel 2010 ammonta a 121,4 milioni di euro: tuttavia, a causa dei vincoli del patto di Stabilità e delle conseguenze derivanti dall'art. 9 del Decreto legge n. 78 cosiddetto anticrisi, Il limite dei pagamenti che si potrà effettuare nel 2010 sarà di soli 80 milioni di euro, a fronte di una giacenza in cassa di oltre 400 milioni di euro.
Da parte sua il presidente della Provincia di Roma Nicola Zingaretti ha affermato: "Siamo molto soddisfatti dell'approvazione del Bilancio. In un momento di difficoltà come quello che stiamo vivendo questa è un'operazione importante e che dimostra come questa amministrazione sappia decidere e realizzare".
"In aula – ha aggiunto Zingaretti – c'è stato uno scontro duro tra maggioranza e opposizione ma sempre nel merito".
"Il risultato del rating di Standard & Poor's - ha detto Zingaretti riferendosi alla conferma del rating A+ - avvalora la solidità dell'ente. Siamo orgogliosi di essere un'istituzione
seria, che decide le cose e le realizza".
PROMEMORIA 23 dicembre 1984 Italia, San Benedetto Val di Sambro: il rapido 904 Napoli viene devastato dall'esplosione di una bomba.
Italia, San Benedetto Val di Sambro: il rapido 904 Napoli - Milano, un treno carico di passeggeri, in gran parte in viaggio per le vacanze natalizie, viene devastato dall'esplosione di una bomba. Al termine dei soccorsi si conteranno 15 morti e più di 100 feriti. L'attentato segna l'ingresso della mafia nel teatro dello stragismo di stato.
La Strage del Rapido 904, o Strage di Natale, è il nome attribuito ad un attentato dinamitardo avvenuto il 23 dicembre 1984 presso la galleria di San Benedetto Val di Sambro, ai danni del treno rapido n.904 proveniente da Napoli e diretto a Milano.
L'attentato è avvenuto nei pressi del punto in cui poco più di dieci anni prima era avvenuta la Strage dell'Italicus: come quest'ultima e la strage della stazione di Bologna, l'attentato al treno 904 è da inserirsi nel panorama della strategia della tensione.
Questo attentato è di fatto l'ultima azione sanguinaria del periodo dell'eversione nera, ma per le modalità organizzative ed esecutive, e per i personaggi coinvolti, è stato indicato dalla Commissione Parlamentare sul Terrorismo come il punto di collegamento tra gli anni di piombo e l'epoca della guerra di Mafia dei primi anni novanta del XX secolo.
L'attentato
L'attentato venne compiuto domenica 23 dicembre 1984, nel fine settimana precedente le feste natalizie. Il treno era pieno di viaggiatori che ritornavano a casa o andavano in visita a parenti per le festività.
Il treno intorno alle 19.08 fu colpito da un'esplosione violentissima mentre percorreva la direttissima in direzione nord, a circa 8 chilometri all'interno del tunnel della Grande Galleria dell'Appennino (18 km), in località Vernio, dove la ferrovia procede diritta e la velocità supera i 150 km/h. La detonazione fu causata da una carica di esplosivo radiocomandata, posta su una griglia portabagagli del corridoio della 9ª carrozza di II classe, a centro convoglio: l'ordigno era stato collocato sul treno durante la sosta alla Stazione di Firenze Santa Maria Novella.
Al contrario del caso dell'Italicus, questa volta gli attentatori attesero che il veicolo penetrasse nel tunnel, per massimizzare l'effetto della detonazione: lo scoppio, avvenuto a quasi metà della galleria, provocò un violento spostamento d'aria che frantumò tutti i finestrini e le porte. L'esplosione causò 15 morti e 267 feriti. In seguito, i morti sarebbero saliti a 17 per le conseguenze dei traumi.
Venne attivato il freno di emergenza, e il treno si fermò a circa 8 chilometri dall'ingresso sud e 10 da quello nord. I passeggeri erano spaventati, e a questo si affiancava il freddo dell'inverno appenninico. Il controllore Gian Claudio Bianconcini, al suo ultimo viaggio in servizio, chiamò i soccorsi da un telefono di servizio presente in galleria e sopravvisse all'esplosione.
I soccorsi
Bianconcini, sebbene anch'egli ferito da alcune schegge nella nuca, organizzò anche i primi soccorsi con l'aiuto di altri passeggeri, nonostante il freddo e il buio, dato che i neon di emergenza della galleria, isolata elettricamente, avevano poca autonomia.
I soccorsi ebbero difficoltà ad arrivare, dato che l'esplosione aveva danneggiato la linea elettrica e parte della tratta era isolata, inoltre il fumo dell'esplosione bloccava l'accesso dall'ingresso sud dove si erano concentrati inizialmente i soccorsi, per cui ci impiegarono oltre un'ora e mezza. I primi veicoli di servizio arrivarono tra le venti e trenta e le ventuno: non sapevano cosa fosse successo, non avevano un contatto radio con il veicolo fermo e non disponevano di un ponte radio con le centrali operative periferiche o quella di Bologna. I soccorsi una volta sul posto parlarono di un "fortissimo odore di polvere da sparo".
Venne impiegata una locomotiva diesel-elettrica, guidata a vista nel tunnel, che fu per prima cosa usata per agganciare le carrozze di testa rimaste intatte, su cui furono caricati i feriti. Un solo dottore era stato assegnato alla spedizione.
Con l'aiuto della macchina di soccorso i feriti vennero portati alla stazione di San Benedetto Val di Sambro, seguiti subito dopo dagli altri passeggeri. L'uso della motrice diesel però rese l'aria del tunnel irrespirabile, per cui servirono bombole di ossigeno per i passeggeri in attesa di soccorsi.
Uno dei feriti, una donna, venne trovata in stato di choc in una nicchia della galleria, e fu portata a braccia fino alla stazione di Ca' di Landino.
Arrivati alla stazione di San Benedetto, ai feriti vennero offerte le prime cure, e quelli più gravi furono portati a Bologna da una quindicina di ambulanze predisposte per il compito, che viaggiavano scortate da polizia e carabinieri. Le cure ai feriti leggeri durarono fino alle cinque di mattina.
Venne allestito rapidamente un ponte radio, e la Società Autostrade fece in modo di mettere a disposizione un casello riservato al servizio di emergenza. I feriti vennero portati all'Ospedale Maggiore di Bologna, facendosi largo nel traffico cittadino grazie ad una razionalizzazione delle vie di accesso studiata proprio per i casi di emergenza. Per ultimi furono trasportati i morti: fortunatamente la neve cominciò a cadere solo durante questa ultima fase.
Il piano di emergenza era frutto delle misure predisposte dopo la Strage del 2 agosto 1980, e questa operazione fu la prima sperimentazione del sistema centralizzato di gestione emergenze costituito a Bologna.
Nonostante le condizioni ambientali estremamente avverse, l'opera di soccorso e l'operato dei soccorritori furono ammirevoli per l'efficienza dimostrata, tanto che poco dopo il servizio centralizzato di Bologna Soccorso sarebbe diventato il primo nucleo attivo del servizio di emergenza 118.
Alla grande abilità ed organizzazione delle forze dell'ordine e dei soccorritori si aggiunse anche una certa fortuna: cominciò a nevicare solo dopo la conclusione delle operazioni di trasporto, e il vento soffiò i fumi dell'esplosione verso sud, rendendo possibile l'accesso dal lato bolognese da cui arrivavano i soccorsi. Le attrezzature dei vigili del fuoco prevedevano solo bombole con mezz'ora di autonomia, che altrimenti sarebbero state insufficienti.
Elenco delle vittime (età in anni)
Giovanbattista Altobelli (51)
Anna Maria Brandi (26)
Angela Calvanese in De Simone (33)
Anna De Simone (9)
Giovanni De Simone (4)
Nicola De Simone (40)
Susanna Cavalli (22)
Lucia Cerrato (66)
Pier Francesco Leoni (23)
Luisella Matarazzo (25)
Carmine Moccia (30)
Valeria Moratello (22)
Maria Luigia Morini (45)
Federica Taglialatela (12)
Abramo Vastarella (29)
Gioacchino Taglialatela (50 successivamente)
Giovanni Calabrò (67 successivamente)
Le indagini
Venne predisposta una perizia chimico-balistica da parte della Procura della Repubblica di Bologna, per capire le dinamiche dell'esplosione e il materiale utilizzato.
Emerse che un testimone aveva visto una persona sistemare due borsoni in quel punto presso la stazione di Firenze, per cui l'inchiesta fu trasmessa alla Procura della Repubblica di Firenze.
Nel marzo 1985 a Roma vennero arrestati per altri reati (traffico di stupefacenti e altro) Guido Cercola e il pregiudicato Giuseppe Calò, detto "Pippo", noto per aver avuto rapporti con la mafia.
L'11 maggio seguente venne identificato il covo dei due arrestati. in un edificio rustico presso Poggio San Lorenzo di Rieti: nella perquisizione venne rinvenuta una valigia, nascosta in cantina, che conteneva due valigette più piccole. Queste contenevano a loro volta un apparato ricetrasmittente, delle batterie, alcuni apparecchi radio, antenne, cavi, armi ed esplosivi.
Le perizie condotte prima a Roma e poi a Firenze dimostrarono come quel tipo di materiale fosse compatibile con quello usato nell'attentato al treno: anche l'esplosivo era del medesimo tipo, con la stessa composizione chimica.
Il 9 gennaio 1986 il Pubblico Ministero Pierluigi Vigna imputa formalmente la strage a Calò e a Cercola: sarebbe stata compiuta
« ...con lo scopo pratico di distogliere l'attenzione degli apparati istituzionali dalla lotta alle centrali emergenti della criminalità organizzata che in quel tempo subiva la decisiva offensiva di polizia e magistratura per rilanciare l'immagine del terrorismo come l'unico, reale nemico contro il quale occorreva accentrare ogni impegno di lotta dello Stato »
Emersero dei rapporti tra Cercola e un tedesco, Friedrich Schaudinn, che sarebbe stato incaricato di produrre alcuni dispositivi elettronici da usarsi per attentati. Questi vennero trovati in casa di Pippo Calò.
Vennero a galla diverse linee di collegamento tra Calò, mafia, camorra napoletana, gli ambienti del terrorismo eversivo neofascista, la Loggia P2 e persino con la Banda della Magliana: questi rapporti vennero esplicitati da diversi personaggi vicini a questi ambienti, tra cui Cristiano e Valerio Fioravanti, Massimo Carminati e Walter Sordi. Le deposizioni che spiegavano i legami tra questi tre ambienti della criminalità emersero al maxiprocesso dell'8 novembre 1985, di fronte al giudice istruttore Giovanni Falcone.
La Corte di Assise di Firenze il 25 febbraio 1989, comminò la pena dell'ergastolo per Pippo Calò, per Cercola e per altri personaggi legati ai due (Alfonso Galeota, Giulio Pirozzi e Giuseppe Misso, boss della Camorra detto Il Boss del Rione Sanità), con l'accusa di strage. Inoltre, decretò 28 anni di detenzione per Franco Di Agostino e 25 per Schaudinn, più una serie di altre pene a altri personaggi emersi dall'inchiesta, per il reato di banda armata.
Il secondo grado venne celebrato dalla Corte di Assise di Appello di Firenze, con sentenza emessa il 15 marzo 1990 da una commissione presieduta dal giudice Giulio Catelani. Le condanne all'ergastolo per Calò e Cercola vennero confermate, e anche Di Agostino si vide la pena commutata in ergastolo. Misso, Pirozzi e Galeota vennero invece assolti per il reato di strage, ma condannati per detenzione illecita di esplosivo. Il tedesco Schaudinn venne invece assolto dal reato di banda armata, ma rimase incolpato della strage e condannato a 22 anni.
Il 5 marzo 1991 la 1a sezione della Corte di Cassazione presieduta dal discusso giudice Corrado Carnevale annullò la sentenza di appello. Il sostituto Procuratore generale Antonino Scopelliti era contrario e mise in guardia i giudici dal far prevalere l' impunità del crimine.
Carnevale rinviò comunque di nuovo a giudizio gli imputati presso un'altra sezione della Corte d'Assise di Firenze. Quest'ultima il 14 marzo 1992 confermò gli ergastoli per Calò e Cercola, condannò Di Agostino a 24 anni e Schaudinn a 22. In compenso, Misso si vide la condanna commutata a tre soli anni per detenzione di esplosivo, mentre le condanne di Galeota e Pirozzi vennero ridotte a un anno e sei mesi: tutti e tre vennero assolti dai reati di strage.
Quello stesso giorno, Galeota e Pirozzi, insieme alla moglie Rita Casolaro ed alla moglie di Giuseppe Misso, Assunta Sarno, stavano ritornando a Napoli quando, durante il viaggio, incorsero in un agguato: la loro auto fu speronata e mandata fuori strada da alcuni killer della camorra che li seguivano sull'autostrada A1, all'altezza del casello di Afragola/Acerra, alle porte di Napoli. Le armi da fuoco dei killer lasciarono sul terreno Galeota e la Sarno, quest'ultima addirittura con un colpo di pistola in bocca. Soltanto Giulio Pirozzi e sua moglie riuscirono miracolosamente a uscire vivi da quella che fu una vera e propria esecuzione di camorra, anche grazie al sopraggiungere di un’auto della polizia stradale dal senso inverso di marcia, che così impedì ai killer di completare il lavoro, e gli assassini si dileguarono. Pirozzi, benché ferito gravemente, si salvò anche perché si era finto morto nel corso della sparatoria.
La 5a sezione penale della Cassazione il 24 novembre 1992 confermò la sentenza, riconoscendo la "matrice terroristica mafiosa".
Il 18 febbraio 1994 la Corte di Assise di Appello di Firenze concluse il giudizio anche per il parlamentare dell'MSI Massimo Abbatangelo, la cui posizione era stata stralciata dal processo principale. Abbatangelo fu assolto dal reato di strage, ma venne condannato a sei anni di reclusione per aver consegnato dell'esplosivo a Giuseppe Misso, nella primavera del 1984.
Le famiglie delle vittime fecero ricorso in Cassazione contro quest'ultima sentenza, ma persero e dovettero rifondere le spese processuali.
Guido Cercola si è suicidato in carcere a Sulmona il 3 gennaio 2005, soffocandosi con dei lacci di scarpe. Rinvenuto agonizzante in cella, morì durante il trasporto in ospedale.
22 dicembre, 2009
PROMEMORIA 22 dicembre 1980 - Vengono emesse le condanne per i responsabili dello scandalo delle partite truccate
Vengono emesse le condanne per i responsabili dello scandalo delle partite truccate. Milan e Lazio vengono retrocesse, altre pesantemente penalizzate e molti giocatori tra cui Paolo Rossi vengono squalificati o radiati
Lo scandalo del calcio-scommesse 1980 è uno scandalo che colpì il calcio italiano nella stagione agonistica 1979-1980 e vide coinvolti giocatori, dirigenti e società di Serie A e di Serie B, i quali truccavano le partite di campionato attraverso scommesse che, se dal punto di vista penale non erano considerate reato, per la FIGC rappresentavano casi di illecito sportivo. Le società coinvolte nell'inchiesta erano Milan, Lazio, Bologna, Avellino e Perugia in Serie A, Palermo e Taranto in Serie B.
Si trattò del primo grande scandalo di illeciti sportivi e partite truccate nella storia del calcio italiano, tanto che il Presidente federale Artemio Franchi (all'epoca anche Presidente dell'UEFA) decise, in seguito, di rassegnare le dimissioni dalla carica che ricopriva e il tutto avveniva a soli tre mesi dall'inizio del Campionato europeo di calcio 1980, che si sarebbe disputato proprio in Italia, il che faceva perdere molta credibilità al calcio nazionale, sia in patria che all'estero.
Gli arresti [modifica]
Il 23 marzo 1980 (24° turno di Campionato di Serie A e 27° turno di Campionato di Serie B) apparvero negli stadi camionette della Polizia e della Guardia di Finanza: scattavano negli spogliatoi le manette per gli ordini di cattura. Alcuni giocatori, da Milano, vennero portati a Roma, detenuti a Regina Coeli. Si trattava di nomi illustri: Cacciatori, Giordano, Manfredonia e Wilson della Lazio, Albertosi e Giorgio Morini del Milan e altri, mentre ordini di comparizione erano stati consegnati a Paolo Rossi, Savoldi, Dossena e Damiani. Di Morini si accertò la consegna a Roma di 20 milioni avvolti in carta da giornale per far tacere Fabio Trinca e Massimo Cruciani. Quella somma gli era stata fornita dal presidente rossonero Felice Colombo.
Le immagini degli arresti e delle camionette di Polizia e Guardia di Finanza presenti negli stadi sono famose ancora oggi per essere state riprese in diretta nel corso della trasmissione sportiva 90° minuto.
Il 23 dicembre 1980 tutti gli indagati vennero rilasciati poiché il fatto, a livello penale, non costituiva reato. Vennero invece presi provvedimenti in ambito calcistico, in quanto venne provata l'accusa di illecito sportivo.
Sentenze di primo grado
Le sentenze di primo grado furono rese pubbliche dalla Commissione Disciplinare della Lega Calcio il 18 maggio 1980 a campionati conclusi, il cui effetto cominciava dal 30 aprile.
Sentenza d'appello
Nel processo d'appello, verso la fine di giugno, la CAF confermò la maggior parte delle decisioni di primo grado con sconti di pena in alcune situazioni.
Amnistia
Dopo la vittoria dell'Italia nel Campionato mondiale di calcio 1982, la FIGC fece una sorta di amnistia annullando le squalifiche ai calciatori che in quel momento erano squalificati (Pellegrini, Cacciatori, Della Martira, Albertosi, Giordano, Wilson, Manfredonia, Petrini, Savoldi e Zecchini in Serie A, Magherini e Massimelli in Serie B). Ci furono cambiamenti anche a livello di squalifica dei tesserati: il massimo periodo di squalifica era limitato a 5 anni con proposta di radiazione e la radiazione dei tesserati poteva deciderla il Presidente Federale anziché i giudici sportivi.
21 dicembre, 2009
Montino inaugura nuova centrale operativa Ares 118
Montino inaugura nuova centrale operativa Ares 118
Inaugurata stamattina dal vicepresidente della Regione Lazio, Esterino Montino, una nuova sala operativa dell'Ares 118 di Roma.
Da oggi, infatti, i 20 operatori che dirigono le ambulanze attive nella capitale e in provincia avranno a disposizione un open-space con sistemi tecnologici più avanzati rispetto al passato.
Ora sarà possibile visualizzare in tempo reale su una mappa digitale unica dove sono localizzate le ambulanze, grazie al sistema satellitare che ne segue gli spostamenti.
La nuova sala operativa è dedicata a Nicola Bianchi, figlio di un dipendente dell'Ares 118. Il ragazzo, universitario di 23 anni, è deceduto durante il sisma del L'Aquila a seguito del crollo di una palazzina adiacente alla casa dello studente.
Per l'inaugurazione dei nuovi locali erano presenti insieme al vicepresidente Esterino Montino anche il direttore generale dell'Ares 118 Marinella D'Innocenzo.
"Per i volumi di attività gestiti questa centrale è la più grande d'Europa - ha detto D'Innocenzo - stiamo lavorando per far si che diventi la prima centrale in Europa anche per tecnologie ed infrastrutture".
L'Ares infatti ha avviato un percorso di ristrutturazione che coinvolgerà le sue strutture in tutte le province della Regione. Cresce il numero delle chiamate dirette alla centrale operativa del 118 di Roma, quasi 25mila in più, passando dalle 848.978 nel periodo gennaio-novembre 2008 alle 873.085 dello stesso periodo del 2009. E' aumentato soprattutto il numero di interventi delle ambulanze per patologie in parte riconducibili ad uno stile di vita stressante, come quelle cardiocircolatorie o neurologiche, calano invece i casi legati alle dipendenze da sostanze stupefacenti. Il numero degli interventi legati a dei traumi effettuati dalle ambulanze del 118 nella capitale riguarda invece per il 60% incidenti stradali e per il 25% incidenti domestici.
"Provincia Wi-Fi": al via l'installazione degli hot spot nelle aree individuate a Roma
"Provincia Wi-Fi": al via l'installazione degli hot spot nelle aree individuate a Roma
Parte l’installazione degli hot-spot della rete ‘Provincia Wi-Fi’ nelle aree individuate a Roma dall’Amministrazione provinciale, attraverso un importante processo di ascolto e partecipazione di tutti i Municipi.
I primi due punti individuati per la creazione delle aree dove connettersi gratis a internet senza fili e inaugurati dal presidente della Provincia di Roma, Nicola Zingaretti sono il parco di via Magnaghi a Garbatella e il caffè Rosati in piazza del Popolo nel Municipio Roma I, a cui si aggiungeranno altre piazze e luoghi pubblici della Capitale, per arrivare all’installazione di 250 hot-spot entro la fine del 2010.
Sono state individuate, finora, circa 130 postazioni in 18 Municipi di Roma (il Municipio XIX non ha risposto). Altre 120 postazioni saranno individuate grazie alle indicazioni che i Municipi forniranno successivamente e alle richieste degli esercizi pubblici che vogliono entrare a far parte della rete ‘Provincia Wi-Fi’, per consentire ai loro clienti, soci e utenti di usufruire del servizio, sostenendo un costo di 40/50 euro.
Nel mese di gennaio 2010, inoltre, la rete ‘Provincia Wi-Fi’ sarà estesa alle aree pedonali di piazza Anco Marzio (Ostia) e del Pigneto, a Ponte Milvio e nei giardini di Castel Sant'Angelo.
Sono oltre 11 mila gli utenti iscritti finora al servizio ‘Provincia Wi-F’ e 200 gli hot spot già installati a Roma e nel territorio provinciale. Si tratta del più imponente progetto in Italia per la diffusione del Wi-Fi per numero di abitanti coinvolti (circa 4 milioni di persone), superficie del territorio (5 mila Kmq) e Comuni interessati (121).
PROMEMORIA 21 dicembre 1988 - Una bomba esplode a bordo del Volo Pan Am 103
Una bomba esplode a bordo del Volo Pan Am 103 sopra i cieli di Lockerbie in Scozia, 270 vittime, comprese 11 a terra.
Il volo Pan Am 103 era un collegamento aereo operato dalla Pan American World Airways che collegava l'aeroporto di Londra-Heathrow all' Aeroporto internazionale John F. Kennedy di New York. Il 21 dicembre 1988 un velivolo che stava effettuando questo volo, un Boeing 747-121, registrato con il codice N739PA e chiamato Clipper Maid of the Seas esplose in volo in conseguenza della detonazione di un esplosivo al plastico sopra la cittadina di Lockerbie, nella regione di Dumfries e Galloway, in Scozia. Nel disastro aereo morirono 270 persone, 259 a bordo dell'aereo e 11 persone a terra colpite dai rottami del velivolo. La maggioranza delle vittime (189) erano di nazionalità statunitense.
Cronologia del disastro
Il volo "Pan Am 103" con la sigla PA103A effettuò, durante la giornata precedente al disastro, un volo di routine dall'aeroporto di Francoforte all'aeroporto internazionale di Heathrow, Londra. 47 passeggeri degli 89 totali si trasferirono su un altro apparecchio, un Boeing 747, siglato dall'ATC come volo PA103, dirigendosi verso New York, poi Detroit, San Francisco e infine ritornò a Londra, dove atterrò verso mezzogiorno. Venne parcheggiato nello stand K-14 del Terminal 3 dove doveva essere tenuto in osservazione dagli agenti della sicurezza della compagnia aerea Pan Am. Cosa che non avvenne.
Finito il check-in all'interno dell'aereo c'erano 246 passeggeri e 16 membri dell'equipaggio, sotto la guida del comandante James MacQuarrie, del copilota Raymond Wagner e dell'ingegnere di volo Jerry Avritt. Tra i passeggeri vi erano 35 studenti della Syracuse University, New York, e due dell'Università statale di New York, che tornavano a casa dopo un programma di scambio culturale a Londra. Dieci delle vittime erano residenti a Long Island.
Il 5 dicembre (16 giorni prima della strage) la FAA ( Federal Aviation Administration) aveva pubblicato un bollettino dove vi era scritto che un uomo con forte accento arabico aveva chiamato l'ambasciata americana ad Helsinki, in Finlandia, avvertendoli che un volo della Pan Am da Francoforte a New York sarebbe esploso in volo entro le due settimane successive alla chiamata. Disse anche che sarebbe stata una donna finlandese a portare l'ordigno a bordo quale corriere inconsapevole. Tuttavia lo stato d'allarme derivato dalla telefonata durò solo 2 giorni. La telefonata fu presa al contrario molto seriamente dal governo americano che si mobilitò per avvisare la compagnia aerea.
La partenza del volo 103 era prevista per le 18:00, e infatti si sganciò dal gate del terminal alle 18:04, ma dato l'affollamento del traffico aereo di quel periodo natalizio, decollò dalla pista 27L solo alle 18:25, facendo rotta verso nord-est. Alle 18:56, l'apparecchio raggiunse la quota di 9.400 m e il Comandante Macquarrie rallentò i motori fino a raggiungere la velocità di crociera.
Alle 19:01 il Comandante contattò il centro di controllo aereo di Prestwick, in Scozia, richiedendo il permesso per dirigersi verso l'oceano e proseguire la classica rotta verso l'aeroporto JFK di New York. Questa fu l'ultima comunicazione radio inviata dal volo 103.
L'esplosione in volo
Parte del bollettino della CIA con il quale venne diramato l'allarme per un possibile attentato aereo.Alle 19:02, secondo la ricostruzione dei tracciati radar, il Boeing 747 viaggiava a circa 804 km/h e aveva il muso orientato sui 321°. In quell'istante sparì dai tracciati, e il controllore a terra cercò di mettersi inutilmente in contatto con il capitano MacQuarrie, e chiese ad un vicino volo della KLM un contatto visivo. Un minuto dopo la sezione centrale dell'aeroplano, che conteneva circa 91.000 kg di carburante, si schiantò al suolo a Sherwood Crescent, Lockerbie, provocando una scossa sismica registrata dagli apparecchi locali come 1,6 della scala Richter. Molte case e 60 metri di ala si disintegrarono all'impatto. Un pilota della British Airways, il capitano Robin Chamberlain, riportò di aver visto una grande palla di fuoco a terra.
L'esplosione dell'ordigno a bordo dell'aereo, in una valigia all'interno del vano bagagli, provocò un buco di mezzo metro proprio sotto la P della scritta Pan Am, sul lato sinistro della fusoliera. La disintegrazione dell'apparecchio fu rapida. La parte con la cabina di pilotaggio e il terzo motore si separarono dal resto del mezzo in circa 3 secondi. Nessuna procedura d'emergenza fu intrapresa a bordo. L'esplosione distrusse tutti i sistemi di navigazione e comunicazione installati 2 piani sotto la cabina del capitano. Inoltre si staccò anche parte del tetto posizionato diversi metri sopra il punto dove era collocata la bomba. Il resto dell'aereo continuò ad andare su e giù fino a raggiungere i 6.000 m. Qui iniziò a precipitare in posizione quasi verticale. Durante la drammatica discesa diversi rottami della fusoliera si staccarono in piccole parti. I detriti derivanti dalla disintegrazione del mezzo coprirono un'area di diversi chilometri.
Vittime
Monumento nel cimitero di Lockerbie per commemorare le vittime del volo Pan Am 103Tutti i 243 passeggeri e i 16 membri dell'equipaggio morirono nel disastro. La "Fatal Accident Inquiry" concluse che quando la cabina di pilotaggio si staccò, la decompressione strappò la maggior parte dei vestiti dei passeggeri e trasformò oggetti come il carrello delle vivande in armi letali. I gas all'interno dei corpi dei passeggeri aumentarono il loro volume di 4 volte. Le persone non sedute o adeguatamente assicurate ai proprie sedili vennero sbalzate fuori dall'abitacolo ad una temperatura di -46 °C, e la loro caduta di 9 km durò circa 2 minuti. Molti passeggeri rimasero all'interno dell'aereo grazie alle cinture di sicurezza, fino allo schianto a Lockerbie. Ad aggiungere ulteriore drammaticità all'evento furono le considerazioni del Dottor Eckert, incaricato delle autopsie. Lui ritiene che i membri dell'equipaggio e 147 passeggeri sopravvissero alla esplosione a bordo, nonostante l'enorme decompressione, e arrivarono al suolo vivi. L'inchiesta rivelò anche particolari agghiaccianti come una madre che tentava di proteggere il suo bambino con il proprio corpo, due amici che si tenevano per mano e un gruppo fu trovato con in mano dei crocifissi. Una passeggera fu trovata viva dai soccorritori, aveva ancora battito cardiaco, solo per 10 minuti, poi è deceduta senza mai riprendere conoscenza e poter raccontare quei terribili minuti
A terra 11 residenti della piccola comunità di Lockerbie morirono quando le ali, ancora attaccate alla parte centrale della fusoliera colpirono le loro case alla velocità di 800 km/h, creando un cratere lungo 47 metri, vaporizzandole istantaneamente e danneggiando altre 21 case nelle vicinanze che furono demolite in seguito.
Le indagini
Nelle indagini successive al disastro fu determinato che l'esplosione venne causata da una carica di esplosivo al plastico posizionata nel vano bagagli dell'aereo. L'ordigno provocò uno squarcio nella fusoliera che in pochi istanti portò all'incendio e successiva perdita di quota dell'aereo. Dopo tre anni di investigazioni congiunte, il 13 novembre 1991, l'FBI e la polizia di Dumfries e Galloway accusarono dell'attentato Abdel Basset Ali al-Megrahi, ufficiale dell'intelligence libica e capo della sicurezza per Libyan Airways e Lamin Khalifah Fhimah, responsabile della Libyan Airways presso l'aeroporto internazionale di Malta. Dopo che le Nazioni Unite emisero sanzioni nei confronti della Libia e protratte negoziazioni con il leader libico Muammar Gheddafi, gli accusati furono infine consegnati alla polizia scozzese il 5 aprile 1999 a Camp Zeist, nei Paesi Bassi.
Il 31 gennaio 2001, Megrahi fu condannato all'ergastolo[1] mentre Fhimah fu prosciolto. In data 20 agosto 2009 il libico responsabile della strage di Lockerbie fu rilasciato dalle autorità scozzesi perchè malato di cancro.
Questo attentato, avvenuto due anni dopo il dirottamento del volo Pan Am 173 in Pakistan, peggiorò ulteriormente la già difficile situazione finanziaria in cui versava la Pan American World Airways che nel giro di tre anni dal disastro di Lockerbie, il 4 dicembre 1991, cessò le proprie attività.
20 dicembre, 2009
San Basilio, avviso di esproprio per pubblica utilità.
San Basilio, avviso di esproprio per pubblica utilità.
E' stato emanato l'avviso di esproprio per pubblica utilità a San Basilio, nell'ambito del programma di recupero urbano del quartiere.
Gli espropri si rendono necessari per realizzare un nuovo asse stradale, parallelo a via Casale di San Basilio.
Entro il 27 dicembre (15 giorni dalla data di pubblicazione dell'avviso) si possono presentare osservazioni, per posta (in questo caso fa fede il timbro postale) o recandosi in viale Civiltà del Lavoro 10 all'Eur, al Comune – Dipartimento Programmazione e Attuazione Urbanistica, Ufficio Unico per le Espropriazioni.
Negli stessi giorni, e presso lo stesso ufficio, sono depositati tutti i documenti utili da consultare: variante di Piano Regolatore, relazione sull'opera, piano "particellare" di esproprio, planimetrie catastali. Per prenderne visione si può andare il lunedì e il giovedì, dalle 8,30 alle 12,30.
Disegnami un diritto!
Disegnami un diritto!
La Commissione Europea lancia la IV edizione del Concorso Eurogiovane
per celebrare il ventesimo anniversario della Convenzione sui diritti del fanciullo.
"Il ventesimo anniversario della Convenzione sui diritti del fanciullo" è il tema di un concorso europeo lanciato il 20 Novembre 2009, dal vicepresidente della Commissione Europea Jacques Barrot.
I giovani europei di età compresa tra i 10 e i 18 anni sono invitati a disegnare un poster che illustri uno dei diritti sanciti dalla Convenzione.
L'obiettivo del concorso è di rendere i giovani cittadini dell'Europa più consapevoli dei propri diritti cosi che possano meglio difenderli.
I finalisti nazionali gareggeranno una seconda volta con i finalisti europei.
Le tre squadre migliori in ciascuna categoria di età saranno invitate a visitare Bruxelles dall'8 al 10 Maggio 2010 per un fine settimana memorabile, con una visita alle istituzioni europee e una sontuosa cerimonia di premiazione.
Le opere migliori saranno pubblicate sui siti Internet delle rappresentanze della Commissione negli Stati membri e sul portale Europa, e potranno essere anche utilizzate per future campagne europee.
Per maggiori informazioni potete consultare il sito www.eurogiovane.eu
Il coordinamento del concorso sul piano nazionale è affidato all’Ufficio di Rappresentanza della Commissione Europea mentre l’organizzazione logistica è assicurata dall’Associazione Culturale Affabulazione.
Per informazioni
Associazione Culturale Affabulazione
P.zza M.V. Agrippa, 7h 00121 Ostia (Roma)
tel 0645432479
tel/fax 0645433955
web. www.eurogiovane.eu
e-mail italia@eurogiovane.eu
cell. 348.0968749 (Edoardo La Rosa)
339.4984669 (Filippo Lange)
3392914305 (Nancy Nannini)
PROMEMORIA 20 dicembre 2006 - Muore Piergiorgio Welby in Italia, il primo vero caso pubblico di eutanasia nel paese
Muore Piergiorgio Welby in Italia, il primo vero caso pubblico di eutanasia nel paese.
« Vita è la donna che ti ama, il vento tra i capelli, il sole sul viso, la passeggiata notturna con un amico. Vita è anche la donna che ti lascia, una giornata di pioggia, l’amico che ti delude. [...] Purtroppo ciò che mi è rimasto non è più vita, è solo un testardo e insensato accanimento nel mantenere attive delle funzioni biologiche. »
(Piergiorgio Welby)
Piergiorgio Welby (Roma, 26 dicembre 1945 – Roma, 20 dicembre 2006) è stato un politico e attivista italiano, impegnato per il riconoscimento legale del diritto al rifiuto dell'accanimento terapeutico in Italia e per il diritto all'eutanasia, nonché co-presidente dell'Associazione Luca Coscioni. Welby balzò alle cronache negli ultimi anni di vita quando, gravemente ammalato, nei suoi scritti chiese ripetutamente che venissero interrotte le cure che lo tenevano in vita:
La morte
Lo stesso giorno, verso le ore 23.00, Piergiorgio Welby si è congedato dai parenti ed amici riuniti al suo capezzale, ha chiesto di ascoltare musica di Bob Dylan[14] e, secondo la sua volontà, è stato sedato e gli è stato staccato il respiratore. Verso le ore 23.45 è quindi spirato. Il dottor Mario Riccio, anestesista, ha confermato durante una conferenza stampa tenutasi il giorno successivo, di averlo aiutato a morire alla presenza della moglie Mina, della sorella Carla e dei compagni radicali dell'Associazione Luca Coscioni: Marco Pannella, Marco Cappato e Rita Bernardini.
Il 1 febbraio 2007 l'Ordine dei medici di Cremona ha riconosciuto che il dottor Mario Riccio ha agito nella piena legittimità del comportamento etico e professionale, chiudendo la procedura aperta nei suoi confronti. L'8 giugno 2007 il giudice per le indagini preliminari ha comunque imposto al pm l'imputazione del medico per omicidio del consenziente, respingendo la richiesta di archiviazione del caso[15], ma il 23 luglio 2007 il GUP di Roma, Zaira Secchi, lo ha definitivamente prosciolto ordinando il non luogo a procedere perché il fatto non costituisce reato.[16].
Il funerale [modifica]
Il Vicariato di Roma non ha concesso[17] a Welby la funzione secondo il rito religioso come nei desideri della moglie cattolica:
« In merito alla richiesta di esequie ecclesiastiche per il defunto Dott. Piergiorgio Welby, il Vicariato di Roma precisa di non aver potuto concedere tali esequie perché, a differenza dai casi di suicidio nei quali si presume la mancanza delle condizioni di piena avvertenza e deliberato consenso, era nota, in quanto ripetutamente e pubblicamente affermata, la volontà del Dott. Welby di porre fine alla propria vita, ciò che contrasta con la dottrina cattolica (vedi il Catechismo della Chiesa Cattolica, nn. 2276-2283; 2324-2325) »
Il vicario generale per la diocesi di Roma, cardinal Camillo Ruini, ha dichiarato di aver preso personalmente la decisione di negare il funerale religioso a Welby [18]: (per la Chiesa) «il suicidio è intrinsecamente negativo», si tende a concedere il funerale religioso presupponendo che sia mancata «la piena avvertenza e il deliberato consenso. [...] Nel caso di Welby era molto difficile, del tutto arbitrario e anche irrispettoso verso di lui dire questo». Ruini ha anche dichiarato «Io spero che Dio abbia accolto Welby per sempre, ma concedere il funerale sarebbe stato come dire "il suicidio è ammesso"».
Anche il cardinale Ersilio Tonini, a Controcorrente (l'approfondimento di SKY TG24 condotto da Corrado Formigli), si è espresso sulla vicenda affermando che «il suo suicidio è stato concepito e realizzato con l'obiettivo di promuovere una legge sull'eutanasia».
A riguardo, il cardinal Ruini ha parlato di :
« sofferta decisione [...] nella consapevolezza, di arrecare purtroppo dolore e turbamento ai familiari e a tante altre persone, anche credenti, mosse da sentimenti di umana pietà e solidarietà verso chi soffre, sebbene forse meno consapevoli del valore di ogni vita umana, di cui nemmeno la persona del malato può disporre »
Dal punto di vista del diritto penale la questione se egli chiedesse per se stesso l’eutanasia (come ritenuto dal vicariato) o non chiedesse semplicemente, invece, di porre fine all'accanimento terapeutico è stata affrontata dalla magistratura. Questa, il 24 luglio 2007, si è pronunciata per il proscoglimento con formula piena di Mario Riccio, il medico che staccò il respiratore. Nel dispositivo della sentenza il giudice ha fatto riferimento all'articolo 51 del Codice Penale, che prevede la non punibilità per il medico che adempie al dovere di dare seguito alle richieste del malato, compresa quella di rifiutare le terapie. L'assistenza alla nutrizione, idratazione e respirazione sarebbero dunque considerate, in base a tale sentenza, vere e proprie cure che il malato può rifiutare, e non ordinarie azioni di sostentamento che invece il malato non ha il diritto di rifiutare nell'ordinamento vigente.
D'altra parte, la pratica di "interrompere procedure mediche sproporzionate rispetto ai risultati attesi" è considerata legittima dal Catechismo della Chiesa Cattolica:
« 2278 - L'interruzione di procedure mediche onerose, pericolose, straordinarie o sproporzionate rispetto ai risultati attesi può essere legittima. In tal caso si ha la rinuncia all'« accanimento terapeutico ». Non si vuole così procurare la morte: si accetta di non poterla impedire. Le decisioni devono essere prese dal paziente, se ne ha la competenza e la capacità, o, altrimenti, da coloro che ne hanno legalmente il diritto, rispettando sempre la ragionevole volontà e gli interessi legittimi del paziente. »
(Catechismo Chiesa Cattolica)
Il funerale laico di Piergiorgio Welby è stato celebrato il 24 dicembre 2006, in piazza Don Bosco nel quartiere Tuscolano a Roma, di fronte alla chiesa che i familiari avevano scelto per la cerimonia religiosa. Al funerale hanno partecipato circa un migliaio di persone, tra cui alcuni esponenti politici di centro sinistra, i quali però hanno dovuto rinunciare al loro discorso in quanto contestati dai presenti[19].
19 dicembre, 2009
Regione Lazio: i fatti separati dalle opinioni nei 5 anni di governo
Regione Lazio: i fatti separati dalle opinioni nei 5 anni di governo
Cinque anni di risultati, quelli illustrati oggi dal vicepresidente della Regione Lazio, Esterino Montino, e dagli Assessori regionali, nell'incontro 'Regione Lazio: i fatti separati dalle opinioni'. E gli amministratori regionali hanno parlato di fatti che sono stati realizzati dalla Giunta attraverso stanziamenti finanziari e politiche strategiche che hanno permesso alla regione di non sopperire alla crisi. "E' una regione - ha spiegato il vicepresidente Montino - delle opportunità per tutti. E' un percorso che abbiamo iniziato e che lasciamo in dote alla prossima amministrazione regionale". Oggi il debito pregresso di circa 10 miliardi è stato interamente coperto. La Giunta ha infatti pagato debiti per oltre 8 miliardi. Il disavanzo annuale è passato da 2 miliardi a 1,3 miliardi nel 2009. E' stato istituito un apposito fondo per il sostegno al microcredito che viene finanziato con 21 milioni di euro e coinvolto i cittadini che, con il bilancio partecipato, possono esprimere le loro preferenze su cinque voci di bilancio per cui ritengono prioritario uno stanziamento aggiuntivo. La Giunta regionale ha poi ridotto nel numero e nei costi le società regionali: da 25 a 12, con annessi Consigli di amministrazione e indennità. Sono state dimezzate le Ipab, sono state messe on line le retribuzioni, assenze dei dirigenti, obiettivi strategici assegnati e grado di raggiungimento. E' stato concluso il percorso di stabilizzazione di oltre 1.000 precari di Lazioservice e dato il via a un grande piano di riorganizzazione delle strutture dirigenziali e del personale.
Sono quindi positive le risposte della Regione Lazio alla crisi economica che ha colpito il Paese. Sono quasi 460mila le imprese attive e 320 i milioni di euro investiti per famiglie e imprese. Con un Fondo da 60 milioni di euro in 3 anni a sostegno alla liquidità delle imprese in credito verso la P.a. in modo da garantire ai fornitori dei Comuni un pagamento entro 180 giorni ed è stato varato un bando da 240 milioni di euro attraverso un accordo con numerose banche. Il Lazio è inoltre l'unica Regione in Italia che ha istituito il 'Reddito minimo garantito' con un investimento in tre anni di 135 milioni di euro per assicurare, a disoccupati e precari tra i 30 e i 44 anni, un sostegno di 580 euro mensili.
L'amministrazione ha aumentato i fondi per il diritto allo studio universitario con 60 milioni di euro e, per quello scolastico, 86 milioni di euro solo nel 2009. Per il terzo anno consecutivo, la Regione Lazio ha assegnato le borse di studio a tutti gli aventi diritto e, grazie a un investimento di oltre 200 milioni di euro, è stato garantito agli studenti 650 nuovi posti letto sui complessivi 2.500. Contro l'abbandono scolastico è stato finanziato percorsi triennali di istruzione e formazione professionale con 56 milioni di euro e ora 30mila giovani possono contare su una legge regionale per la formazione in apprendistato. Per la cultura, sono stati stanziati 42 milioni di euro per i nuovi teatri nel Lazio, 43 milioni per biblioteche, musei e archivi, 115 milioni per i 5 grandi attrattori culturali e 3 nuovi festival internazionali (Villa Adriana, Vulci e Fossanova), 20 milioni di euro per riportare alla luce il tratto laziale della via Franchigena. E' poi stata sostenuta la produzione di 37 opere cinematografiche e stanziati 4,5 milioni di euro per sostenere l'accesso al credito delle imprese del prodotto culturale.
Il Lazio è anche una regione sociale. La Giunta ha previsto un Fondo di solidarietà di 30 milioni di euro per il pagamento del mutuo sulla casa. Negli ultimi due anni, sono stati stanziati oltre 300 milioni di euro per 5.700 nuove case di edilizia residenziale pubblica agevolata nel Comune di Roma e per 6.000 alloggi nel resto del Lazio. E' stato approvato un Fondo per le vittime della criminalità e una legge sull'uso dei beni confiscati alla mafia e un Fondo antiusura da 10 milioni di euro. La Giunta ha messo, inoltre, a disposizione oltre 125 milioni di euro per sostenere i 18 mila posti negli asili nido già esistenti e per creare oltre 8.500 nuovi posti. Oltre 26 milioni di euro è l'investimento effettuato per garantire ai circa 21mila alunni disabili delle scuole di ogni ordine e grado, il trasporto scolastico e la presenza in aula dell'assistente educativo culturale. Ma molte altre sono state le iniziative portate avanti per il 'bene comune', come fattore indispensabile di sviluppo, crescita e libertà.
Per la viabilità statale, regionale, provinciale e comunale il Lazio ha messo in campo un miliardo e 147 milioni di euro. Ma il Lazio è anche una regione verde. La Giunta ha infatti deciso di dare vita a una delle più grandi centrali fotovoltaiche d'Europa a Montalto di Castro, un impianto che parte da 24 megawatt e che, a regime, arriverà alla produzione di oltre 100 megawatt. In generale, dal 2005 le risorse impegnate dall'amministrazione superano 1 miliardo e 200 milioni di euro.
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