28 dicembre, 2009
PROMEMORIA 28 dicembre 1908 Calabria e Sicilia: un terremoto del 10° grado.E quì vogliono costruire il ponte?
Calabria e Sicilia: un terremoto del 10° grado ed un seguente maremoto radono al suolo le città di Reggio Calabria e Messina causando 100.000 morti. Verrà definito come uno dei due eventi sismici più catastrofici che la storia italiana ricordi.
E qui si ha la pretesa di costruire il ponte sullo stretto? Se si ha la pretesa di essere ricordati nei libri di storia l'odierno Presidente del Consiglio potrebbe impegnarsi su progetti meno faraonici ma essenziali per i cittadini!!!
Ma torniamo alla Storia,
Il terremoto di Messina, spesso citato anche come terremoto di Messina e Reggio del 1908 o terremoto calabro-siculo del 1908, è considerato uno degli eventi più catastrofici del XX secolo. Si verificò alle ore 5:21 del 28 dicembre 1908 e in 37 "lunghissimi" secondi danneggiò gravemente le città di Messina e Reggio Calabria.
Gli avvenimenti
Lunedì 28 dicembre 1908 un terremoto di 7,1 gradi Richter[2] (XI-XII Mercalli) si abbatté violentemente sullo Stretto, colpendo Messina e Reggio in tarda nottata (5,21). Uno dei più potenti sismi della storia italiana aveva còlto la regione nel sonno, interrotto tutte le vie di comunicazione (strada, ferrovia, telegrafo, telefono), danneggiato i cavi elettrici e del gas, e sospeso così l'illuminazione stradale fino a Villa San Giovanni e a Palmi. Con lo strascico di un maremoto, l'evento devastò particolarmente Messina, causandovi il crollo del 90% degli edifici.
Le testimonianze dell'epoca
La relazione al Senato del Regno – datata 1909 – sul terremoto di Messina è agghiacciante: «Un attimo della potenza degli elementi ha flagellato due nobilissime province – nobilissime e care – abbattendo molti secoli di opere e di civiltà. Non è soltanto una sventura della gente italiana; è una sventura della umanità, sicché il grido pietoso scoppiava al di qua e al di là delle Alpi e dei mari, fondendo e confondendo, in una gara di sacrificio e di fratellanza, ogni persona, ogni classe, ogni nazionalità. È la pietà dei vivi che tenta la rivincita dell’umanità sulle violenze della terra. Forse non è ancor completo, nei nostri intelletti, il terribile quadro, né preciso il concetto della grande sventura, né ancor siamo in grado di misurare le proporzioni dell’abisso, dal cui fondo spaventoso vogliamo risorgere. Sappiamo che il danno è immenso, e che grandi e immediate provvidenze sono necessarie».
Giovanni Pascoli, che fu docente universitario a Messina e frequentava spesso Reggio essendo amico di Diego Vitrioli scrisse:
« Qui dove tutto è distrutto, rimane la poesia. »
I siciliani ed i calabresi vennero immediatamente soccorsi da navi russe ed inglesi di passaggio, mentre gli aiuti italiani arrivarono, con stupore della stampa, solo dopo una settimana. Tra le prime squadre di soccorso che giunsero a Reggio vi fu quella proveniente da Cosenza, guidata dall’esponente socialista Pietro Mancini che dichiarò:
« Le descrizioni dei giornali di Reggio e dintorni sono al di sotto del vero. Nessuna parola, la più esagerata, può darvene l’idea. Bisogna avere visto. Immaginate tutto ciò che vi può essere di più triste, di più desolante. Immaginate una città abbattuta totalmente, degli inebetiti per le vie, dei cadaveri in putrefazione ad ogni angolo di via, e voi avrete un’idea approssimativa di che cos’è Reggio, la bella città che fu. »
E ancora i giornali scrissero:
« Oramai non v’è dubbio che, se a Reggio fossero giunti pronti i soccorsi, a quest’ora non si sarebbero dovute deplorare tante vittime. »
« Si è assodato che Reggio rimase per due giorni in quasi completo abbandono. I primi ad accorrere il giorno 28 in suo soccorso vennero a piedi da Lazzaro – insieme al generale Mazzitelli ed a poche centinaia di soldati: furono i dottori Annetta e Bellizzi in unione ai componenti la squadra agricola operaia di Cirò, forte di 150 uomini accompagnati dall’avv. Berardelli di Cosenza. Questa squadra ebbe contegno mirabile e diede aiuto alle migliaia di feriti giacenti presso la stazione. Gli stessi operai provvidero allo sgombero della linea ferroviaria favorendo la riattivazione delle comunicazioni ferroviarie. Appena giunti furono circondati da una turba di affamati ed il pane da essi portato veniva loro strappato letteralmente dalle mani. Sicché essi dovettero patire la fame fino al giorno 30 quando cominciò l’arrivo delle navi. »
Luoghi pubblici
A Reggio Calabria andarono distrutti diversi edifici pubblici. Caserme ed ospedali subirono gravi danni, 600 le vittime del 22° fanteria dislocate nella caserma Mezzacapo, all'Ospedale civile, su 230 malati ricoverati se ne salvarono solo 29.
A Bagnara di Calabria crollarono numerose case. A Palmi andò distrutta la chiesa di San Rocco. A Trifase nei pressi di Catanzaro si ebbero molti danni ma fortunatamente pochi gli scomparsi data la modesta dimensione delle abitazioni. In Sicilia si ebbero crolli a Maletto, Belpasso, Mineo, S. Giovanni di Giarre, Riposto e Noto. A Caltagirone crollò per metà il quartiere militare.
A Messina, maggiormente sinistrata, rimasero sotto le macerie ricchi e poveri, autorità civili e militari. Nella nuvola di polvere che oscurò il cielo, sotto una pioggia torrenziale ed al buio, i sopravvissuti inebetiti dalla sventura e semivestiti non riuscirono a realizzare immediatamente l’accaduto. Alcuni si diressero verso il mare, altri rimasero nei pressi delle loro abitazioni nel generoso tentativo di portare soccorso a familiari ed amici. Qui furono colti dalle esplosioni e dagli incendi causati dal gas che si sprigionò dalle tubature interrotte. Tra voragini e montagne di macerie gli incendi si estesero, andarono in fiamme case, edifici e palazzi ubicati nella zona di via Cavour, via Cardines, via della Riviera, corso dei Mille, via Monastero Sant'Agostino.
Ai danni provocati dalle scosse sismiche ed a quello degli incendi si aggiunsero quelli cagionati dal maremoto, di impressionante violenza, che si riversò sulle zone costiere di tutto lo Stretto di Messina con ondate devastanti stimate, a seconda delle località della costa orientale della Sicilia, da 6 m a 12 m di altezza (13 metri a Pellaro, frazione di Reggio Calabria). Lo tsunami in questo caso provocò molte vittime, fra i sopravvissuti che si erano ammassati sulla riva del mare, alla ricerca di un'ingannevole protezione. [3]. Improvvisamente le acque si ritirarono e dopo pochi minuti almeno tre grandi ondate aggiunsero al già tragico bilancio altra distruzione e morte. Onde gigantesche raggiunsero il litorale spazzando e schiantando quanto esistente. Nel suo ritirarsi la marea risucchiò barche, cadaveri e feriti. Molte persone, uscite incolumi da crolli ed incendi, trascinate al largo affogarono miseramente. Alcune navi alla fonda furono danneggiate, altre riuscirono a mantenere gli ormeggi entrando in collisione l’una con l’altra ma subendo danni limitati. Il villaggio del Faro a pochi chilometri da Messina andò quasi integralmente distrutto. La furia delle onde spazzò via le case situate nelle vicinanze della spiaggia anche in altre zone. Le località più duramente colpite furono Pellaro, Lazzaro e Gallico sulle coste calabresi; Briga e Paradiso, Sant'Alessio e fino a Riposto su quelle siciliane. Gravissimo fu il bilancio delle vittime: Messina, che all’epoca contava circa 140.000 abitanti, ne perse circa 80.000 e Reggio Calabria registrò circa 15.000 morti su una popolazione di 45.000 abitanti. Secondo altre stime si raggiunse la cifra impressionante di 120.000 vittime, 80.000 in Sicilia e 40.000 in Calabria. Altissimo fu il numero dei feriti e catastrofici furono i danni materiali. Numerosissime scosse di assestamento si ripeterono nelle giornate successive e fin quasi alla fine del mese di marzo 1909.
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