12 dicembre, 2009

PROMEMORIA 12 dicembre 1969 - Strage di Piazza Fontana..40 anni nessun colpevole!!!


Strage di Piazza Fontana nella sede della Banca Nazionale dell'Agricoltura di Milano: 16 morti e 88 feriti.
La strage di Piazza Fontana fu conseguenza di un grave attentato terroristico avvenuto il 12 dicembre 1969 nel centro di Milano, quando, alle 16:37[1], una bomba esplose nella sede della Banca Nazionale dell'Agricoltura in piazza Fontana, provocando la morte di diciassette persone ed il ferimento di altre ottantotto. Per la sua gravità e rilevanza politica, tale strage ha assunto un rilievo storico primario venendo convenzionalmente indicata quale primo atto della Strategia della Tensione.
Una seconda bomba fu rinvenuta inesplosa nella sede milanese della Banca Commerciale Italiana, in piazza della Scala, furono fatti i rilievi previsti, e successivamente fu fatta brillare[2] distruggendo in tal modo elementi probatori di possibile importanza per risalire all'origine dell'esplosivo e a chi avesse preparato gli ordigni. Una terza bomba esplose a Roma alle 16:55 dello stesso giorno nel passaggio sotterraneo che collegava l'entrata di via Veneto con quella di via di San Basilio della Banca Nazionale del Lavoro, facendo tredici feriti. Altre due bombe esplosero a Roma tra le 17:20 e le 17:30, una davanti all'Altare della Patria e l'altra all'ingresso del museo del Risorgimento, in piazza Venezia, facendo quattro feriti.
Si contarono dunque cinque attentati terroristici nel pomeriggio dello stesso giorno, concentrati, tra il primo e l'ultimo, in un lasso di tempo di soli 53 minuti, a colpire contemporaneamente le due maggiori città d'Italia, Roma e Milano.

Periodo storico
L'edificio della Banca Nazionale dell'Agricoltura in piazza Fontana a Milano il 12 dicembre 2007, trentottesimo anniversario della strage. Sono visibili le corone di fiori lasciate in omaggio da istituzioni e cittadini in ricordo delle vittime.
Il periodo storico è quello della contestazione studentesca e segna l'inizio della strategia della tensione: tra il 1968 e il 1974 verranno compiuti 140 attentati, quello di Piazza Fontana è uno dei più gravi; verrà ricordato insieme alla strage di Bologna come uno dei peggiori eventi della storia italiana del dopoguerra.
Nella situazione politica precedente e culminante con questa strage sono state ravvisate molte similitudini con la fase preparatoria in Grecia del colpo di stato del 1967.

Le indagini
Le indagini iniziali
Le indagini vennero orientate inizialmente nei confronti di tutti i gruppi in cui potevano esserci possibili estremisti, furono fermate per accertamenti circa 80 persone[3], in particolare degli anarchici del Circolo anarchico 22 marzo.
Il 12 dicembre l'anarchico Giuseppe Pinelli (già fermato ed interrogato con altri anarchici nella primavera 1969 per alcuni attentati[4], successivamente anche questi rivelatisi in realtà di matrice neofascista), viene fermato e interrogato a lungo in Questura ed il 15 dicembre, dopo tre giorni di interrogatori, Pinelli precipita dal quarto piano della questura milanese e muore. L'inchiesta giudiziaria, coordinata dal sostituto Procuratore Gerardo D'Ambrosio, individuò la causa della morte in un "malore attivo", in seguito al quale l'uomo sarebbe caduto da solo, sporgendosi troppo dalla ringhiera del balcone della stanza: fu accertato che il commissario Calabresi non era nella stanza al momento della caduta.
Il 16 dicembre viene arrestato anche un altro anarchico, Pietro Valpreda, indicato dal tassista Rolandi come l'uomo che era sceso quel pomeriggio dal suo taxi in piazza Fontana recando con sé una grossa valigia: il giorno dopo il Corriere della sera titolò che "il mostro" era stato catturato, e il presidente della Repubblica Giuseppe Saragat indirizzò un assai discusso messaggio di congratulazioni al questore di Milano Guida avvalorando implicitamente la pista da lui seguita.
Lo stesso PCI pare fosse convinto che l'attentato fosse stato opera degli anarchici; lo ricorderà Bettino Craxi nel 1993, sostenendo che il principale teste d'accusa contro Valpreda, il tassista Rolandi, era iscritto al partito e questo avvalorò la sua deposizione tra molti esponenti del PCI. Sul punto, in realtà, c'è scarsa chiarezza. In data 19 dicembre 1969, Sergio Camillo Segre ad una riunione del Pci, presente Berlinguer riferisce che Guido Calvi - allora avvocato d'ufficio di Valpreda ed iscritto allo Psiup, oggi senatore DS - aveva svolto una sua indagine tra gli anarchici; Segre riporta quanto dettogli da Calvi[5]: L'impressione è che Valpreda può averlo fatto benissimo. Gli amici hanno detto: dal nostro gruppo sono stati fatti attentati precedenti. Ci sono contatti internazionali. Valpreda ha fatto viaggi in Francia, Inghilterra, Germania occidentale. Altri hanno fatto viaggi in Grecia. Alle spalle cosa c'è? L'esplosivo costa 800 mila lire e c'è uno che fornisce i quattrini. I nomi vengono fatti circolare. Eppure agli atti processuali risulta che Guido Calvi - chiamato a svolgere funzioni di avvocato d'ufficio di Valpreda a Roma nel confronto tra Valpreda ed il tassista Rolandi richiese se Rolandi avesse mai visto prima un'immagine dell'imputato, ed ebbe la risposta che una sua fotografia gli era stata mostrata alla Questura di Milano nel corso della sua deposizione del giorno prima. La prassi prevede che nei casi di pluralità di persone possibili, attori del fatto indagato, eventuali testimoni, sfoglino le foto segnaletiche a disposizione delle forze dell'ordine; il codice di procedura penale attuale, (anno 2007), però, prevede che quando il sospetto assuma la veste di indagato - e Valpreda già lo era - egli abbia il diritto di presenziare alla maturazione delle prove a suo carico, mediante il contraddittorio (cioè un confronto con l'accusatore), mentre procedere ad influenzare il testimone con una disamina "mirata" vìola il principio del contraddittorio. Nel caso specifico l'eccezione difensiva era tuttavia infondata, poiché foto di Valpreda erano comparse sin dai primissimi giorni su tutti i quotidiani, e dunque appariva ininfluente che Rolandi le avesse viste anche nel corso dell'interrogatorio. La circostanza dell'accoglimento della tesi dell'avvocato Calvi fu dunque interpretata come manifestazione di un atteggiamento innocentista verso Valpreda, che andava peraltro diffondendosi nella pubblica opinione grazie al battage della stampa nazionale.

Successive indagini e processi
Le indagini e i processi (sette) si susseguiranno nel corso degli anni, con imputazioni a carico di vari esponenti anarchici e di destra; tuttavia alla fine tutti gli accusati saranno sempre assolti in sede giudiziaria (peraltro alcuni vedranno condanne per altre stragi, e altri si gioveranno della prescrizione).
Alcuni esponenti dei servizi segreti verranno condannati per depistaggi.
In 38 anni, non è mai stata emessa una condanna definitiva per la strage. Il 3 maggio 2005 sono stati assolti definitivamente gli ultimi indagati. Attualmente non vi è alcun procedimento giudiziario aperto.
Dopo 38 anni, la morte di Pinelli è ancora oggetto di discussione, sebbene la Magistratura si sia pronunciata in modo univoco, nel senso della morte accidentale dell'anarchico.

Il caso Pinelli Per chiarire le circostanze nelle quali si svolse la morte di Giuseppe Pinelli venne avviata un'inchiesta. La Questura di Milano affermò in un primo tempo che Pinelli si suicidò perché era stato dimostrato il coinvolgimento nella strage, ma questa versione fu smentita nei giorni successivi. Il fermo di Pinelli era illegale perché egli era stato trattenuto troppo a lungo in questura: il 15 dicembre 1969 (la data della sua morte) egli avrebbe dovuto essere libero, oppure in prigione, ma non in questura, infatti il fermo di polizia poteva durare al massimo due giorni. In un primo momento lo stesso questore Marcello Guida dichiarò alla stampa che il "suicidio" di Pinelli era la dimostrazione della sua colpevolezza, ma questa versione fu poi ritrattata quando l'alibi di Pinelli si rivelò credibile[6][7]. La versione ufficiale della caduta venne fortemente criticata dagli ambienti anarchici e da parte della stampa, per via di alcune incongruenze nella descrizione dei fatti e per il fatto che gli stessi agenti presenti diedero via via versioni contrastanti dell'accaduto.
Il provvedimento di archiviazione dell'inchiesta sulla morte di Giuseppe Pinelli fu depositato il 25 ottobre 1975. Il PM Gerardo D'Ambrosio scrisse : "L'istruttoria lascia tranquillamente ritenere che il commissario Calabresi non era nel suo ufficio al momento della morte di Pinelli".

Il caso Calabresi
A seguito della tragica morte di Pinelli, il commissario Luigi Calabresi, incaricato delle indagini, pur non essendo presente nella stanza dove era interrogato Pinelli al momento della sua caduta dalla finestra, in circostanze non ancora chiarite, sarà oggetto di una dura campagna di stampa, petizioni e minacce da parte di gruppi di estrema sinistra e di fiancheggiatori, che ebbero il risultato di isolarlo e renderlo vulnerabile. Oltre settecento tra intellettuali, scrittori, uomini di cinema e artisti (alcuni dissociatisi negli anni seguenti) firmarono una celebre petizione pubblicata dall'Espresso il 27 giugno 1971, che iniziava così: "Il processo che doveva far luce sulla morte di Giuseppe Pinelli si è arrestato davanti alla bara del ferroviere ucciso senza colpa. Chi porta la responsabilità della sua fine, Luigi Calabresi, ha trovato nella legge la possibilità di ricusare il suo giudice." La "petizione" contribuì ad isolare e colpevolizzare il commissario, già bersagliato da una ancor più feroce campagna di stampa, con minacce esplicite di morte, da parte del giornale "Lotta Continua". Eppure il commissario Calabresi riteneva che la strage fosse frutto di "menti di destra, manovali di sinistra" con il coinvolgimento dunque in sede di ideazione della strage di movimenti ed apparati di destra[8]. Il 17 maggio 1972 Luigi Calabresi fu assassinato da militanti di estrema sinistra membri di Lotta Continua.
Gli autori della campagna di stampa non saranno mai condannati (Camilla Cederna arrivò a scrivere su "Lotta Continua" che un'eventuale inquisizione e condanna di Luigi Calabresi non sarebbe bastata: "noi per questi nemici del popolo esigiamo la morte"). Per l'omicidio Calabresi sono stati condannati in via definitiva Ovidio Bompressi e il pentito Leonardo Marino quali autori materiali, Giorgio Pietrostefani e Adriano Sofri quali mandanti. L'assassinio del commissario creò una certa indecisione sulle direzione da dare alle indagini.[9]

L'inchiesta delle Brigate Rosse
Sulla strage anche le Brigate Rosse svolgeranno una loro inchiesta, che venne rinvenuta, insieme ad altri materiali riguardanti gli avvenimenti politici e terroristici relativi agli anni '60 e '70, il 15 ottobre 1974 in un loro covo a Robbiano di Mediglia. La parte del materiale sequestrato che riguardava Piazza Fontana fu solo minimamente messo a disposizione dei magistrati che si occupavano dei fatti interessati, indebolendo così le indagini sulla Strage, e scomparve, e di questo parte fu forse distrutto nel 1992. Per quello che riguardava la strage di piazza Fontana l'indagine delle BR (che originariamente comprendeva, tra le altre cose, un'intervista a Liliano Paolucci, colui che aveva raccolto la testimonianza di Cornelio Rolandi e l'aveva convinto a parlare ai carabinieri e delle interviste di alcuni dirigenti del circolo anarchico Ponte della Ghisolfa), ricostruita in base alle relazioni sul materiale stilate al tempo dai carabinieri, da parte del materiale recuperato e le testimonianze di un brigatista pentito, arrivò a conclusioni in parte differenti dalle ricostruzioni che si faranno nella lunga storia dei processi: secondo questa indagine l'attentato era stato organizzato materialmente dagli anarchici (che avevano in mente un atto dimostrativo, solo per un errore nella valutazione dell'orario di chiusura della banca divenuto una strage), impiegando esplosivo, timer e inneschi fornitogli da un gruppo di estrema destra. Pinelli, sempre secondo questa ricostruzione, si sarebbe realmente suicidato perché sarebbe rimasto coinvolto involontariamente nel traffico di esplosivo poi utilizzato per la strage. Le Brigate Rosse mantennero segreti i risultati della loro inchiesta, per motivi di opportunità politica.
L'inchiesta delle BR ebbe una rinnovata notorietà durante i lavori della Commissione Stragi. La maggior parte dei documenti dell'inchiesta condotta dalle Brigate Rosse su Piazza Fontana erano intanto irreperibili, apparentemente persi nel 1980 nei trasferimenti tra le varie procure e tribunali e forse distrutti successivamente erroneamente nel 1992, in quanto ritenuto non significativo.[10][11]

Affermazioni riferite ad Aldo Moro durante la prigionia da parte delle Brigate Rosse

Nel Memoriale Moro compilato dalle Brigate Rosse deducendolo dall'interrogatorio cui lo sottoposero durante la prigionia, Aldo Moro avrebbe indicato come probabili responsabili della strage, così come in generale della strategia della tensione, rami deviati del SID (il servizio segreto), in cui si erano insediati negli anni diversi esponenti legati alla destra, con possibili influenze dall'estero, mentre gli esecutori materiali erano da ricercarsi nella pista nera.[12]

Le vittime
I nomi degli assassinati dalla bomba di piazza Fontana sono: Giovanni Arnoldi, Giulio China, Eugenio Corsini, Pietro Dendena, Carlo Gaiani, Calogero Galatioto, Carlo Garavaglia, Paolo Gerli, Vittorio Mocchi, Luigi Meloni, Mario Pasi, Carlo Perego, Oreste Sangalli, Angelo Scaglia, Carlo Silvia, Attilio Valè, Gerolamo Papetti.

Le manifestazioni

Negli anni numerose manifestazioni si sono svolte e si svolgeranno in ricordo della strage di piazza Fontana e di Giuseppe Pinelli, l'anarchico morto dopo un volo dal quarto piano avvenuto in circostanze mai chiarite, durante un interrogatorio di polizia nella stanza del commissario Calabresi, tre giorni dopo la strage. Diverse di tali iniziative sono degenerate in scontri tra polizia e manifestanti. Ancora oggi è attiva la contestazione, motivo ricorrente negli ambienti di sinistra milanesi e non solo, ma anche la riflessione, della quale si è fatto interprete anche il Capo dello Stato incontrando i familiari delle vittime il 7 dicembre 2009: in questa circostanza Giorgio Napolitano ha elogiato "la passione civile, l'impegno che mostrate per alimentare la memoria collettiva e la riflessione, due cose alle quali l'Italia e la coscienza nazionale non possono abdicare (...) quello che avete vissuto voi mi auguro diventi parte della coscienza nazionale (...) comprendo il peso che la verità negata rappresenta per ciascuno di voi, un peso che lo Stato italiano porta su di sé (...) La riflessione è necessaria perché ciò che è avvenuto nella nostra società non è del tutto chiaro e limpido e non è del tutto stato maturato. Continuate a operare per recuperare ogni elemento di verità".
Le manifestazioni che si svolgono ogni 12 dicembre per ricordare la strage e il 15 dicembre per commemorare Pinelli, sono diventate un appuntamento ricorrente per la città di Milano.

Cronologia delle indagini e degli avvenimenti legati alla strage

Segue una cronologia dei principali avvenimenti relativi alle indagini sulla strage o correlate a questi.[13][14][15][16][17]
La Banca Nazionale dell'Agricoltura aveva iniziato poco tempo prima ad emettere 500 lire cartacee con la dicitura "Biglietto di Stato a corso legale". L'emissione fu sospesa pochi giorni dopo l'attentato.

12 dicembre 1969 - Nel pomeriggio, alle 16.37, dopo il normale orario di apertura al pubblico, nella sede della Banca Nazionale dell'Agricoltura di Piazza Fontana, a Milano, esplode una bomba composta da circa sette chili di tritolo che provocherà la morte di 17 persone e il ferimento di altre 88. Si segue da subito la pista anarchica.
14 dicembre 1969 - Vittorio Ambrosini, anziano avvocato e giornalista di Milano, capitano degli Arditi durante la prima guerra mondiale, un passato con posizioni politiche e amicizie che spaziano tra il comunismo, il fascismo e poi il neofascismo, frequentatore durante gli anni '60 di Junio Valerio Borghese, Giovanni De Lorenzo e Pino Rauti, amico dell'allora ministro dell'Interno Franco Restivo, scrive a questi una lettera in cui si diceva a conoscenza dei retroscena della strage, incolpando il gruppo di Ordine Nuovo[18]. Nel luglio 1970, sentito dai magistrati, ritratterà queste sue dichiarazioni, ma nel 1971, incontrandosi con l'amico deputato comunista Achille Stuani, gli confermerà nuovamente le sue accuse contro Ordine Nuovo.
15 dicembre 1969 - Il ferroviere anarchico Giuseppe Pinelli, arrestato subito dopo la strage, e da tre giorni interrogato in questura, muore poco dopo mezzanotte precipitando dalla finestra dell'ufficio del commissario Calabresi, al quarto piano dell'edificio. La polizia sostenne che si era trattato di un suicidio, dichiarando in un primo tempo ai media che questo suicidio era un atto volontario conseguente al crollo del suo alibi per il giorno dell'attentato e quindi, indirettamente, indizio di colpevolezza; questa versione verrà smentita nei giorni successivi, mentre l'alibi verrà confermato.[19][20] [21] Le cinque persone presenti nella stanza vengono indagate per omicidio colposo, ma sono assolte e la caduta viene ritenuta conseguenza di un malore che aveva colto Pinelli mentre questi era vicino alla finestra.
16 dicembre 1969 - Viene arrestato l'anarchico Pietro Valpreda, accusato (in base alla testimonianza del tassista Cornelio Rolandi, che affermò di averlo riconosciuto come passeggero trasportato alla banca quel giorno), di essere l'autore materiale della strage. Con lui vengono arrestati anche Mario Merlino (che si rivelerà poi nelle indagini svolte durante gli anni essere un neofascita infiltrato nel gruppo[22][13][23][24]) ed altri componenti del Circolo anarchico 22 marzo. La provenienza delle borse usate per contenere l'esplosivo (acquistate a Padova) e del timer apre però una nuova pista che porterà dopo più di un anno all'arresto di due esponenti del gruppo neofascista Ordine Nuovo: Franco Freda e Giovanni Ventura aprendo la pista nera. Mentre le indagini della polizia sono concentrate sulla pista anarchica e sugli ambienti della sinistra, Guido Lorenzon, segretario di una sezione della Democrazia Cristiana di Treviso, fornisce infatti ad un magistrato un resoconto di alcune conversazioni avute con un suo amico Giovanni Ventura (già sospettato dai magistrati di essere responsabile di un attentato contro il rettore ebreo dell'università di Padova) che potrebbero indicare l'implicazione di quest'ultimo nella strage di piazza Fontana e in alcuni attentati ai treni compiuti nel Nord Italia nella notte tra l'8 e il 9 agosto 1969.

13 aprile 1971 - vengono arrestati Franco Freda e Giovanni Ventura
16 luglio 1971 - a Milano muore di infarto Cornelio Rolandi, unico testimone contro Pietro Valpreda.
21 ottobre 1971 - Il settantottenne Vittorio Ambrosini muore suicida, lanciandosi da una finestra del settimo piano della clinica in cui è ricoverato per un sospetto infarto.
novembre 1971 - un muratore, nell'eseguire delle riparazioni sul tetto di una casa di Castelfranco Veneto (TV), sfonda il tramezzo divisorio di un'abitazione di proprietà di un consigliere comunale socialista, Giancarlo Marchesin, scoprendo un arsenale di armi ed esplosivi (alcuni riconducibili alla NATO). Marchesin dopo essere stato arrestato dichiara che quelle armi sono state nascoste lì da Giovanni Ventura qualche giorno dopo il 12 dicembre 1969, e che prima si trovavano presso un certo Ruggero Pan; questi, interrogato a sua volta, afferma che durante l'estate del 1969 Ventura gli aveva chiesto di comprare delle casse metalliche di marca Jewell (simili se non identiche a quelle impiegate il 12 dicembre) da impiegare in attentati, ma che lui si era rifiutato di farlo.

21 febbraio 1972 - Marco Pozzan, amico di Franco Freda e custode di un istituto dell'università di Padova dove erano soliti riunirsi Ventura, Freda ed altri esponenti di Ordine Nuovo, durante un interrogatorio (ne seguirà un altro il 1º marzo), sostiene che il via alla pianificazione dagli attentati era avvenuto durante una riunione svoltasi il 18 aprile 1969 a cui avrebbe partecipato anche Pino Rauti (allora a capo di Ordine Nuovo) e un giornalista membro dei servizi segreti (successivamente ritratterà la sua confessione e negherà la presenza di Rauti alla riunione). A Pozzan verrà concessa la libertà provvisoria, ma dopo essere scarcerato di lui si perdono le tracce (si scoprì successivamente che venne fatto fuggire in Spagna dal SID e che in loco venne usato come informatore dal capitano Antonio Labruna)
23 febbraio 1972 - Si apre a Roma il primo processo per la strage, con imputati Valpreda e Merlino. Dopo soli 4 giorni il processo verrà trasferito prima a Milano (incompetenza territoriale) e poi il 13 ottobre a Catanzaro (motivi di ordine pubblico).
3 marzo 1972 - Freda e Ventura vengono arrestati assieme a Pino Rauti (il fondatore di Ordine Nuovo). Le indagini, affidate ai giudici Gerardo D'Ambrosio ed Emilio Alessandrini (ucciso poi nel gennaio 1979 da esponenti del gruppo Prima Linea), inizieranno ad evidenziare i legami tra estremismo di destra e servizi segreti.
6 marzo 1972 - Il processo viene trasferito a Milano.
24 marzo 1972 - Viene scarcerato Pino Rauti, senza però che vengano fatti cadere i capi d'accusa.
7 maggio 1972 - Elezioni anticipate: Pino Rauti viene eletto deputato nelle liste del Movimento Sociale Italiano. Il Manifesto candida Valpreda che non viene eletto.
17 maggio 1972 - A Milano, in via Cherubini, attorno alle 9.15, il commissario di polizia Luigi Calabresi, funzionario dell'ufficio politico della questura, rimase vittima di un attentato politico, ucciso con due colpi di pistola sparati uno alla nuca e l'altro alla schiena, da un commando di due uomini, Leonardo Marino e Ovidio Bompressi, su mandato di Adriano Sofri e Giorgio Pietrostefani, militanti di Lotta continua, una organizzazione della sinistra extraparlamentare.
13 ottobre 1972 - La Corte di cassazione - applicando la disciplina allora vigente sulla rimessione dei processi in altra sede per motivi di ordine pubblico - assegna la competenza sul processo a Catanzaro.
20 ottobre 1972 - Vengono emessi tre avvisi a procedere, per omissione di atti d’ufficio nelle indagini, nei confronti di Elvio Catenacci, dirigente degli affari riservati del Ministero degli interni, del questore di Roma Bonaventura Provenza e del capo dell’ufficio politico della questura di Milano Antonino Allegra.
29 dicembre 1972 - Dopo tre anni di carcere vengono rimessi in libertà Valpreda e altri anarchici grazie ad una legge che prevede la possibilità di concedere la libertà provvisoria per i reati in cui è obbligatorio il mandato di cattura.

15 maggio 1973 - Vengono incriminati Guido Giannettini, che fugge a Parigi e, anche a seguito di alcune dichiarazioni di Ventura sul legame di un "giornalista di destra" con la strage, il giornalista de La Nazione Guido Paglia, appartenente ad Avanguardia nazionale (successivamente prosciolto in istruttoria dal giudice D'Ambrosio)[25]. Si scoprirà successivamente che la fuga di Giannettini era stata coperta dal SID, di cui era collaboratore, e che in Francia continuerà ad essere stipendiato per diverso tempo dai servizi.[26]
21 novembre 1973 - Il Tribunale di Roma condanna per violazione dell'articolo 12 delle disposizioni transitorie e finali della Costituzione (riorganizzazione del partito fascista) Ordine Nuovo, che viene sciolto due giorni dopo tramite un decreto governativo firmato dall'allora Ministro dell'Interno Paolo Emilio Taviani.

18 marzo 1974 - A Catanzaro riprende il processo, ma viene nuovamente interrotto dopo un mese a causa della comparsa di due nuovi imputati: Freda e Ventura.
20 giugno 1974 - Giulio Andreotti, all'epoca Ministro della Difesa, indicherà in un'intervista a "Il Mondo" Guido Giannettini come collaboratore del SID, sostenendo che era stato uno sbaglio non rivelare durante le indagini dei mesi precedenti l'appartenenza di Giannettini ai servizi.
8 agosto 1974 - Guido Giannettini si consegna all'ambasciata italiana di Buenos Aires.

27 gennaio 1975 - Riprende il processo (il terzo): tra gli imputati ci sono sia anarchici che neofascisti, secondo una tesi accusatoria che salva le due opposte inchieste fino ad allora condotte; essa si impernia sulla misteriosa figura dell'anarchico Mario Merlino, che sarebbe punto di contatto (o più probabilmente infiltrato) dell'estrema destra con l'anarchia. Anche questa volta il processo vene interrotto successivamente per la comparsa di un nuovo imputato: Guido Giannettini.
27 ottobre 1975 - Il giudice D'Ambrosio chiude l'inchiesta sulla morte di Pinelli. La sentenza afferma che l'anarchico è morto per un malore attivo, ovvero per un malore che lo ha fatto cadere dalla finestra. Tutti gli indiziati vengono prosciolti.

28 febbraio 1976 - Vengono arrestati il generale Gian Adelio Maletti, capo del reparto D (controspionaggio) del SID, e il capitano Antonio La Bruna, con l'accusa di aver cercato di far evadere Giovanni Ventura, e l'accusa di falso ideologico in atto pubblico e favoreggiamento personale nei confronti di Guido Giannettini e Marco Pozzan.

18 gennaio 1977 - Si riapre il processo a Catanzaro (il quarto) con come imputati anche membri del SID. Il Presidente del consiglio Giulio Andreotti, chiamato a testimoniare sulle circostanze in cui tre anni prima era stato opposto il segreto politico-militare ai magistrati che indagavano su Giannettini, pronuncia trentatré volte le parole "non ricordo" durante un interrogatorio sotto giuramento dinanzi alla Corte d'assise.

16 marzo 1978 - Viene rapito dalle BR Aldo Moro che uccideranno il successivo 9 maggio. Durante la sua prigionia subirà un interrogatorio da parte dei rapitori, che ne trarranno un memoriale. Le Brigate Rosse, effettive estensori del memoriale, ricorreranno all'artificio retorico di far parlare Aldo Moro in prima persona. Non è possibile accertare se, e in quale misura, il contenuto del Memoriale corrisponda all'effettivo pensiero di Aldo Moro. Nel memoriale accuserà della strategia della tensione mandanti "che si collocano fuori dell'Italia", e parlerà di "connivenze di organi dello Stato e della Democrazia Cristiana in alcuni suoi settori", sostenendo che
« la c.d. strategia della tensione ebbe la finalità, anche se fortunatamente non conseguì il suo obiettivo, di rimettere l'Italia nei binari della "normalità" dopo le vicende del '68 ed il cosiddetto autunno caldo.[...] Fautori ne sarebbero stati in generale coloro che nella nostra storia si trovano periodicamente, e cioè ad ogni buona occasione che si presenti, dalla parte di [chi] respinge le novità scomode e vorrebbe tornare all'antico.Tra essi erano anche elettori e simpatizzanti della D.C[...]E così ora, non soli, ma certo con altri, lamentavano l'insostenibilità economica dell'autunno caldo, la necessità di arretrare nella via delle riforme e magari di dare un giro di vite anche sul terreno politico. »
(La cosiddetta strategia della tensione e la strage di Piazza Fontana, dal memoriale di Aldo Moro[27])
Specificatamente sulla strage di piazza Fontana affermerà che:
« Fui colto proprio a Parigi, al Consiglio d'Europa, dall'orribile notizia di Piazza Fontana. Le notizie che ancora a Parigi, e dopo, mi furono date dal Segr. Gen. Pres. Rep. Picella, di fonte Vicari, erano per la pista Rossa, cosa cui non ho creduto nemmeno per un minuto. La pista era vistosamente nera, come si è poi rapidamente riconosciuto. Fino a questo momento non è stato compiutamente definito a Catanzaro il ruolo (preminente) del Sid e quello (pure esistente) delle forze di Polizia. Ma che questa implicazione ci sia non c'è dubbio. Bisogna dire che, anche se con chiaroscuri non ben definiti, mancò alla D.C. di allora ed ai suoi uomini più responsabili sia sul piano politico sia sul piano amministrativo un atteggiamento talmente lontano da connivenze e tolleranze da mettere il Partito al di sopra di ogni sospetto.[...] Dislocato, come può essere asserito e dimostrato, prevalentemente all'estero, non ebbi occasione né di partecipare a riunioni né di fare distesi colloqui. Ricordo una viva raccomandazione fatta al Ministro dell'Interno On. Rumor (egli stesso fatto oggetto di attentato) di lavorare per la pista nera. »
(La cosiddetta strategia della tensione e la strage di Piazza Fontana, dal memoriale di Aldo Moro[27])
4 ottobre 1978 - La polizia accerta la scomparsa di Franco Freda, avvenuta secondo le indagini nella settimana precedente.

16 gennaio 1979 - Giovanni Ventura a Catanzaro elude la sorveglianza della polizia e fugge all'estero
23 febbraio 1979 - Si conclude il processo a Catanzaro: Freda, Ventura e Giannettini vengono condannati all'ergastolo, vengono condannati a quattro anni e mezzo Valpreda e Merlino per associazione sovversiva e a due anni di reclusione il capitano Antonio Labruna del SID per favoreggiamento. I condannati verranno poi assolti in appello, ma la Cassazione annullerà la sentenza e ordinerà l'apertura di un nuovo processo.
12 agosto 1979 - Giovanni Ventura viene arrestato a Buenos Aires per possesso e uso di documenti falsi
23 agosto 1979 - Franco Freda viene individuato in Costa Rica, arrestato e poi estradato in Italia

20 marzo 1981 - a Catanzaro si conclude il processo di d'appello, vengono assolti per insufficienza di prove Franco Freda e Giovanni Ventura, ma vengono condannati li comunque a 15 anni per gli attentati a Padova (13 aprile 1969) e Milano (25 aprile 1969). Vengono anche confermate le condanne di Valpreda e Merlino per associazione sovversiva, viene assolto Giannettini per insufficienza di prove e ne viene ordinata la scarcerazione. Il generale Maletti viene condannato a due anni di carcere e il capitano Labruna ad un anno e due mesi, mentre viene assolto dall'accusa di falsa testimonianza per insufficienza di prove il maresciallo Gaetano Tanzilli (ex SID). Viene dichiarata inammissibile l'accusa di associazione sovversiva per Massimiliano Fachini.
21 maggio 1981 - Viene diffuso dall'ufficio stampa della presidenza del consiglio dei ministri il contenuto della lista degli iscritti alla P2 (sequestrato alcuni mesi prima), tra i nomi compaiono anche quello generale Gian Adelio Maletti, che però negherà sempre un suo coinvolgimento con la loggia, e del capitano Antonio La Bruna.
14 ottobre 1981 - la Procura generale di Catanzaro decide di riaprire l'inchiesta sulla strage ed emette due comunicazioni giudiziarie nei confronti dell'ex capo di Avanguardia Nazionale Stefano Delle Chiaie per reato di strage e contro Mario Merlino per associazione sovversiva.

10 giugno 1982 - la Corte di Cassazione annulla la sentenza d'appello di Catanzaro e rinvia il processo a Bari, confermando solo la parte di sentenza che prevedeva l'assoluzione di Guido Giannettini.
23 dicembre 1982 - a Catanzaro il giudice istruttore Emilio Ledonne emette mandato di cattura contro Stefano Delle Chiaie.

13 dicembre 1984 - A Catanzaro inizia il quinto processo. Tutti gli imputati (Valpreda, Merlino, Freda e Ventura), vengono assolti.
1985 [modifica]
1 agosto 1985 - a Bari la Corte d'Assise d'appello assolve per insufficienza di prove Franco Freda, Giovanni Ventura, Mario Merlino e Pietro Valpreda, ma condanna gli ex ufficiali del SID Gian Adelio Maletti e Antonio Labruna ad un anno e a dieci mesi di reclusione rispettivamente per falsità ideologica in atto pubblico e il maresciallo Gaetano Tanzilli è assolto per non aver commesso il fatto. La Corte di Cassazione confermerà la sentenza.
31 agosto 1985 - dopo che il governo italiano ha ritirato la richiesta di estradizione in seguito all'assoluzione le autorità argentine scarcerano Giovanni Ventura.

1 marzo 1986 - a Lecce la Corte d'appello concede la semilibertà a Franco Freda che sta scontando la condanna a 15 anni nel carcere di Brindisi.

27 gennaio 1987 - la Corte di Cassazione dichiara inammissibili e rigetta tutti i ricorsi presentati dagli imputati e dal procuratore generale della Corte d'assise d'appello di Bari contro la sentenza di secondo grado pronunciata da quella Corte l'1 agosto 1985, rendendola definitiva.
27 marzo 1987 - Viene arrestato a Caracas in Venezuela Stefano Delle Chiaie dagli agenti della Disip (Direccion de servicios de inteligencia y prevencion).
31 marzo 1987 - Stefano Delle Chiaie viene trasferito in Italia e incarcerato a Roma nel carcere di Rebibbia.
26 ottobre 1987 - Sesto processo, sempre a Catanzaro, gli imputati sono i neofascisti Massimiliano Fachini e Stefano Delle Chiaie. Verranno assolti il 20 febbraio 1989 per non aver commesso il fatto.

20 febbraio 1989 - Massimiliano Fachini e Stefano Delle Chiaie vengono assolti per non aver commesso il fatto e Delle Chiaie viene scarcerato.

1990 - Le indagini subiscono una svolta: Delfo Zorzi viene sospettato di essere l'esecutore materiale della strage. Zorzi era stato condannato in primo grado e poi assolto in appello e cassazione per il reato di ricostituzione del Partito fascista nell'ambito del processo per la strage di Peteano[28] ed era ritenuto legato all'Ufficio affari riservati del Ministero degli Interni di Federico Umberto D' Amato[29]. Zorzi emigrò in Giappone subito dopo la strage e vi risiede ancora oggi. Nonostante le richieste del governo Italiano, la controparte giapponese si rifiutò di estradarlo in quanto Zorzi era ormai divenuto cittadino giapponese.

5 luglio 1991 - la Corte di Assise di appello di Catanzaro conferma la sentenza del 20 febbraio 1989 e assolve Massimiliano Fachini e Stefano Delle Chiaie dalle imputazioni di concorso nella strage di piazza Fontana e di associazione eversiva.

ottobre 1992 - viene arrestato ed estradato in Italia da Santo Domingo Carlo Digilio, ex membro di Ordine Nuovo, esperto di armi e esplosivi (negli anni '80 era stato anche segretario del Poligono di tiro del Lido a Venezia), in contatto con i servizi segreti statunitensi (era anche figlio di un agente dell'OSS e poi della CIA), su cui pendeva una condanna definitiva a 10 anni di carcere: dal giugno del 1993 sarà tra i pochi pentiti dell'inchiesta e parlerà del coinvolgimento della CIA nelle attività di Ordine Nuovo. Affermerà di aver ispezionato personalmente i congegni esplosivi usati nelle stragi di Piazza Fontana e di Brescia. Il suo nome in codice sarebbe stato "Zio Otto". Digilio sosterrà nelle sue confessioni rilasciate durante gli anni che Zorzi gli aveva comunicato prima una sua partecipazione all'attentato di Milano, cambiando poi versione e ammettendo la partecipazione a quello di Roma. Digilio sosterrà anche che Maggi gli aveva parlato degli attentati come parte di una strategia atta a provocare una svolta alla politica del paese, con il beneplacito degli Stati Uniti e che la destra non sarebbe stata danneggiata in quanto chi li aveva organizzati aveva fatto in modo che le indagini si orientassero altrove. Digilio sostenne che il suo referente nei servizi USA, il capitano David Carret, gli confermò quanto detto da Maggi e che questo progetto era fallito per i tentennamenti di una parte della Democrazia Cristiana e del Presidente del Consiglio Rumor che non aveva dichiarato lo "stato di emergenza".

ottobre 1994 - dopo aver ricevuto alcuni avvisi di garanzia per indagini relative a diversi attenti e stragi, grazie all'intermediazione del SISMI, si pente Martino Siciliano, ex appartenente al gruppo di Ordine Nuovo di Mestre, che da quasi venti anni viveva all'estero. Martino, che sosterrà di non aver partecipato alla preparazione dell'attentato di piazza Fontana, ma alla preparazione di quelli falliti durante l'autunno '69 a Trieste e Gorizia[30] (per cui era al tempo stato indagato e prosciolto insieme a Delfo Zorzi) che sarebbero stati da effettuare in chiave anti-slava per protestare contro la prevista (e poi non avvenuta) visita del presidente Saragat in Jugoslavia. A Martino comunque, secondo le sue dichiarazioni, Zorzi, qualche settimana dopo la strage di piazza Fontana, avrebbe confidato che gli attentati di dicembre erano stati progettati dagli alti esponenti di Ordine Nuovo in chiave anti-comunista, che gli anarchici arrestati dopo la strage erano solo dei capri espiatori e che i problemi con gli inneschi (che avevano fatto fallire molti dei precedenti attentati, dall'ordinanza del Giudice Istruttore Guido Salvini: "attentato al Palazzo di Giustizia di Torino, i due attentati al Palazzo di Giustizia di Roma, quello all'Ufficio Istruzione di Milano, due dei dieci attentati ai treni e gli attentati di Trieste e Gorizia") erano stati risolti grazie al lavoro di "Zio Otto". Martino sosterrà anche che Carlo Maria Maggi era responsabile dell'invio di diverse lettere di minaccia contro il giudice istruttore Giancarlo Stiz di Treviso, il primo ad orientare le indagini verso la "pista nera" indagando la cellula di Ordine Nuovo di cui facevano parte Franco Freda e Giovanni Ventura [31].

11 aprile 1995 - un'inchiesta parallela a quella sulla strage di piazza Fontana, condotta dal giudice Guido Salvini, incentrata sull'attività dei gruppi eversivi dell'estrema destra, dopo quattro anni di lavoro in cui sono state indagate 26 persone e ascoltati oltre 400 testimoni, porta a Milano al rinvio a giudizio per Giancarlo Rognoni (leader del gruppo "La Fenice"), Nico Azzi (autore di un attentato sul treno Roma-Milano nel quale egli stesso rimase ferito), Paolo Signorelli, Sergio Calore, Carlo Digilio e Ettore Malcangi e vengono trasmessi a Roma gli atti riguardanti Licio Gelli per il reato di cospirazione politica (reato per il quale non si potrà procedere in quanto non previsto negli accordi per l'estradizione di Gelli alla Svizzera). Per il generale Sid Gianadelio Maletti, Giancarlo D'Ovidio, Stefano Delle Chiaie, Angelo Izzo e Guido Giannettini, fatti oggetto di indagine per motivazioni diverse in questo procedimento non si procede oltre per l'avvenuta prescrizione degli eventuali reati compiuti.
maggio 1995 - Carlo Digilio viene colpito da un ictus, che compromette le sue capacità mnemoniche, da questo momento alcune delle sue testimonianze si faranno confuse e contraddittorie.
luglio 1995 - Delfo Zorzi e l'ex responsabile nel triveneto di Ordine Nuovo Carlo Maria Maggi sono iscritti nel registro degli indagati con l'accusa di strage.
ottobre 1995 - il PM di Venezia Felice Casson iscrive il giudice Guido Salvini nel registro degli indagati: secondo Carlo Maria Maggi un ufficiale dei Ros, su richiesta di Salvini, aveva cercato di convincerlo a collaborare in cambio di denaro e la stessa richiesta sarebbe stata fatta ed accettata da Martino Siciliano. Nel febbraio 1999 il Gip di Venezia archivierà le accuse.
10 novembre 1995 - dopo alcune rivelazioni del quotidiano "La nuova Venezia", il telegiornale dell'emittente Videomusic annuncia che il giudice Guido Salvini sarebbe dell'opinione che la strage sia opera di Delfo Zorzi. Il giudice protesterà per la fuga di notizie.

23 luglio 1996 - su richiesta del PM di Milano Grazia Pradella sono arrestati Roberto Raho, Pietro Andreatta, Piercarlo Montagner e Stefano Tringali, con l'accusa di favoreggiamento personale aggravato da finalità di terrorismo ed eversione. Verranno successivamente scarcerati.

14 giugno 1997 - il gip Clementina Forleo emette due ordini di custodia cautelare nei confronti di Carlo Maria Maggi e Delfo Zorzi.

2 marzo 1998 - per problemi di salute Carlo Maria Maggi ottiene la scarcerazione, ma gli viene imposto l' obbligo di dimora nella sua abitazione a Venezia.
21 maggio 1998 - la Procura di Milano chiude l'inchiesta sulla strage e deposita la richiesta di rinvio a giudizio per Carlo Maggi (medico veneziano che era a capo di Ordine Nuovo nel Triveneto nel 1969), Delfo Zorzi, Giancarlo Rognoni (capo del gruppo estremista di destra la Fenice), Carlo Digilio e per i due ex appartenenti ad Ordine Nuovo Andreatta e Motagner, accusati di favoreggiamento. I magistrati della procura milanese aprirono due stralci di inchiesta riguardanti Dario Zagolin, per dei suoi presunti contatti con Licio Gelli e uno riguardante la squadra 54, un nucleo speciale di quattro poliziotti dell'Ufficio Affari riservati del Viminale, che sarebbero stati presenti a Milano nei giorni dell'attentato di Piazza Fontana e avrebbero collaborato successivamente con le indagini di Calabresi e Allegra favorendo i primi depistaggi.
giugno 1998 - Carlo Digilio viene dichiarato incapace di sottoporsi ad ulteriori esami testimoniali per "decadimento delle facoltà mnemoniche" dai periti nominati dal Gip Forleo, a causa della perdita di memoria dovuta ad un nuovo ictus.

13 aprile 1999 - comincia l'udienza preliminare, con come imputati per concorso in strage Carlo Maria Maggi, Delfo Zorzi, Giancarlo Rognoni e Carlo Digilio. Franco Freda e Giovanni Ventura non sono imputabili perché assolti nei precedenti processi di Catanzaro e Bari. Piero Andreatta e Piercarlo Montagner sono accusati di favoreggiamento nei confronti di Zorzi e Maggi e Stefano Tringali è accusato di favoreggiamento nei confronti di Zorzi, e Roberto Raho di favoreggiamento nei confronti di Maggi.
8 giugno 1999 - vengono rinviati a giudizio per strage Delfo Zorzi, Carlo Maria Maggi e Giancarlo Rognoni, per favoreggiamento nei confronti di Zorzi viene rinviato a giudizio Stefano Tringali. In seguito verrà rinviato a giudizio anche Carlo Digilio.

9 febbraio 2000 - durante un'intervista al Tg2 Delfo Zorzi afferma che i servizi segreti italiani avrebbero dato 100 milioni di lire al pentito Martino Siciliano per spingerlo a indicare in lui l'autore materiale della strage.
24 febbraio 2000 - Inizia a Milano il settimo processo. Il Gip Clementina Forleo dispone per Piero Andreatta, Piercarlo Montagner e Roberto Raho il "non luogo a procedere" perché indagati in procedimenti connessi (non essendo processabili per 'autofavoreggiamento').
8 luglio 2000 - In un'intervista rilasciata a Gigi Marcucci e Paola Minoliti nel carcere di Opera, Vincenzo Vinciguerra, ex membro di Ordine Nuovo e dal 1974 membro di Avanguardia Nazionale, responsabile della strage di Peteano, costituitosi nel 1979 e che in un verbale di interrogatorio del 1985 sostenne che nel 1971/72 gli venne chiesto più volte di uccidere Mariano Rumor, dichiara che questo omicidio gli venne richiesto in quanto da Rumor Ordine Nuovo si sarebbe aspettato la dichiarazione dello "stato di emergenza" dopo la strage di piazza Fontana. Nella stessa intervista Vinciguerra sostiene anche che Avanguardia Nazionale, gruppo indagato per diverse stragi avvenute alla fine degli anni '60, non esisteva ufficialmente in quegli anni (essendosi sciolta nel 1965 e ricostituita solo nel 1970) e i suoi membri in quel periodo si erano infiltrati in altri gruppi, compresi quelli legati all'estrema sinistra. Vinciguerra nell'intervista sostiene anche che "Avanguardia Nazionale nel 1969 era la struttura clandestina del Fronte Nazionale", gruppo quest'ultimo facente riferimento al principe Junio Valerio Borghese[32].
4 agosto 2000 - Gian Adelio Maletti, l'ex capo dell'ufficio D del SID (dal 1971 al 1975), ora cittadino sudafricano e con diverse condanne pendenti in Italia (oltre a quella per i depistaggi relativi alla strage di piazza Fontana) rilascia un'intervista al quotidiano La Repubblica [33] in cui parla del coinvolgimento della CIA nelle stragi compiute dai gruppi di destra: secondo Maletti non sarebbe stata determinante nella scelta dei tempi e degli obbiettivi, ma avrebbe fornito ad Ordine Nuovo attrezzature ed esplosivo (proveniente dalla Germania), tra cui, in base alle indagini effettuate a suo tempo dal SID, anche quello impiegato nella strage di piazza Fontana. Secondo Maletti lo scopo di questo comportamento era quello di creare un clima favorevole ad un colpo di stato simile a quello avvenuto nel 1967 in Grecia. Maletti nell'intervista ha anche riferito il fatto che al SID, nonostante questo avesse informato il governo di quanto scoperto, non fu mai chiesto di intervenire e che la CIA, tramite infiltrati e collaboratori, fungeva da "collegamento tra diversi gruppi di estrema destra italiani e tedeschi".
7 settembre 2000 - il senatore a vita Paolo Emilio Taviani, interrogato nell'abito delle nuove indagini sulla strage di piazza Fontana, disse che "La sera del 12 dicembre 1969 il dottor Fusco, defunto negli anni '80, stava per partire da Fiumicino per Milano, era un agente di tutto rispetto del SID … Doveva partire per Milano recando l’ordine di impedire attentati terroristici. A Fiumicino seppe dalla radio che una bomba era tragicamente scoppiata e rientrò a Roma. Da Padova a Milano si mosse, per depistare le colpe verso la sinistra, un ufficiale del SID, il Ten. Col. Del Gaudio.", ricostruzione che successivamente, il 13 marzo 2001, venne confermata dalla figlia del dottor Fusco (la quale sostenne anche che il non aver impedito la strage fu per il padre il "cruccio della sua vita" e che questi, "rautiano di ferro", molto probabilmente aveva appreso dell'episodio del 12 dicembre non dai servizi per cui lavorava, ma dalle sue conoscenze negli ambienti della destra). Taviani sostenne di essere venuto a conoscenza di questo fatto in un primo tempo da un religioso e che poi gli fu confermato da Vito Miceli.[34][35]
20 settembre 2000 - il pentito Martino Siciliano non si presenta a testimoniare al processo. In una lettera al suo avvocato sosterrà che il suo comportamento era un atto di protesta contro lo Stato perché, per la sua collaborazione, lo pagava "una miseria". [36]

30 giugno 2001 - vengono condannati all'ergastolo Delfo Zorzi, Carlo Maria Maggi e Giancarlo Rognoni, mentre i reati per Carlo Digilio, che avrà concesse le attenuanti generiche per la sua collaborazione, risultano prescritti. Stefano Tringali verrà condannato a tre anni per favoreggiamento (il pm ne aveva chiesto due).

19 gennaio 2002 - vengono depositate le motivazioni della sentenza, in queste le dichiarazioni dei pentiti Carlo Digilio (precedenti all'ictus) e Martino Siciliano sono dichiarate credibili.
10 aprile 2002 - nell'ambito del processo per la strage di Brescia i difensori di fiducia di Delfo Zorzi presentano un memoriale firmato da Martino Siciliano, in cui questo il pentito ritratta tutte le accuse rivolte a Zorzi relative alle due stragi. Martino fa perdere le sue tracce e i magistrati ritengono che sia fuggito in Colombia.
10 giugno 2002 - Martino Siciliano, rientrato in Italia, viene arrestato a Milano. La sua presenza in Italia era stata scoperta grazie ad un altro ex di Ordine Nuovo, Giuseppe Fisanotti. I magistrati prima dell'arresto effettuano alcune intercettazioni ambientali e in queste (oltre che nelle confidenze che il pentito aveva fatto a Fisanotti), Siciliano dichiara di aver scritto il memoriale per via di un'offerta di denaro (500.000 dollari, di cui una prima parte gli era già stata consegnata ed era servita per pagare il viaggio dalla Colombia in Italia) fattagli dai legali di Zorzi, tra cui l'on Gaetano Pecorella, al tempo presidente della commissione Giustizia della Camera dei deputati[37][38]
6 luglio 2002 - a 69 anni muore Pietro Valpreda, l'anarchico che fu accusato per primo della strage.
22 novembre 2002 - viene scoperta una nuova fuga all'estero di Martino Siciliano, che aveva l'obbligo di dimora in un paese sugli Appennini.[39] Pochi giorni dopo, intervistato telefonicamente dal giornalista del Corriere della Sera Paolo Biondani, affermerà di aver ricevuto in realtà solo 115 mila dollari in tutto, tra il 1998 e il 2002, e non i 500 mila ipotizzati, il primo versamento dei quali sarebbe avvenuto il giorno stesso della sua prima fuga nel 1998, nel giorno in cui avrebbe dovuto deporre contro Zorzi al processo di Brescia.[40])
11 dicembre 2002 - il Corriere della Sera pubblica un'intervista a Siciliano, latitante in Francia, dove il pentito sostiene nuovamente di aver cambiato versione sul coinvolgimento di Zorzi nella strage a seguito del ricevimento di alcune somme di denaro, che gli intermediari di questi versamenti erano stati il suo ex difensore Fausto Maniaci e il difensore di Zorzi Gaetano Pecorella (entrambi i legali respingeranno le accuse) e che questa proposta era avvenuta dopo che le modifiche legislative del 1997 avevano reso nulli i verbali d’accusa non confermati in aula. Nella stessa intervista ha invitato gli ex membri di Ordine Nuovo a "trovare il coraggio di aggiungere al mio anche il loro pezzo di verità", sostenendo che al tempo "Ordine Nuovo era la mano armata del Msi" e che furono tutti strumentalizzati ed ha confermato la partecipazione di Carlo Digilio alla preparazione degli ordigni.[30]

12 marzo 2003 - rientra in Italia e si costituisce l'ex pentito Martino Siciliano
16 ottobre 2003 - a Milano comincia il processo d'appello.

22 gennaio 2004 - il sostituto procuratore generale al termine della requisitoria chiede la conferma delle condanne emesse nella sentenza di primo grado e invita la Corte a trasmettere gli atti alla Procura della Repubblica per verificare eventuali false testimonianze da parte di alcuni testimoni della difesa
12 marzo 2004 - la Corte d'assise d'appello di Milano assolve Delfo Zorzi e Carlo Maria Maggi (che è sotto processo anche per la strage di Brescia e quella alla questura di Milano) e Giancarlo Rognoni per non aver commesso il fatto e riduce da tre anni ad uno la pena per Stefano Tringali con la sospensione condizionale e la non menzione della condanna. Vengono revocate l'ordinanza di arresto (mai eseguita) nei confronti di Zorzi e la misura cautelare dell'obbligo di dimora per Maggi.

21 aprile 2005 - inizia la verifica della corte di Cassazione, che deve valutare il ricorso presentato dalla Procura generale milanese contro l'assoluzione disposta dalla corte d'assise d'appello.
3 maggio 2005 - l'ennesimo processo, il settimo, sulla strage si chiude in Cassazione con la conferma delle assoluzioni degli imputati e l'obbligo, da parte dei parenti delle vittime, del pagamento delle spese processuali. Quest'ultima decisione, pur se dettata dalla legge, viene duramente criticata anche da figure istituzionali, che parlano di "beffa" per i parenti delle vittime.
La Corte di Cassazione ha confermato la responsabilità di Freda e Ventura in ordine alla strage. Secondo la Corte, l'eccidio del 12 dicembre 1969 fu organizzato da "un gruppo eversivo costituito a Padova nell'alveo di Ordine Nuovo" e "capitanato da Franco Freda e Giovanni Ventura". Il giudizio ha valore di sola condanna morale e storica, in quanto i due imputati sono già stati assolti irrevocabilmente dalla corte d'assise d'appello di Bari, che li ha condannati solo per le bombe sui treni. Secondo la Cassazione, così come per le corti d'appello, anche "la cellula veneziana di Maggi e Zorzi" nel 1969 organizzava attentati, ma "non è dimostrata la loro partecipazione alla strage del 12 dicembre". La corte giudica così "inattendibile" il pentito Carlo Digilio, mentre certifica "veridicità e genuinità" di quanto dichiarato da Martino Siciliano, ossia che "Siciliano ha partecipato alla riunione con Zorzi e Maggi dell'aprile '69 nella libreria Ezzelino di Padova" in cui "Freda annunciò il programma degli attentati ai treni". Tuttavia, poichè tali bombe non provocarono vittime, non è dimostrato il coinvolgimento di Maggi e Zorzi nella "strategia stragista di Freda e Ventura". In definitiva, secondo la Cassazione, "i tragici fatti del 12 dicembre 1969 non rappresentano una 'scheggia impazzita' mai il frutto di un coordinato 'acme' operativo iscritto in un programma eversivo ben sedimentato, ancorché di oscura genesi, contorni e dimensioni". Infine, la Corte definisce "deprecabile e sorprendente" la decisione di far brillare la seconda valigia-bomba inesplosa, impedendo "accertamenti di ineludibile importanza"[41]
12 dicembre 2005 - muore il pentito Carlo Digilio.

La strage nella musica
Molti artisti hanno dimostrato sensibilità rispetto all'attentato e l'hanno ricordato nelle proprie canzoni:
Francesco De Gregori si riferisce alla strage ("Viva l'Italia del 12 dicembre") nella canzone "Viva l'Italia" dall'omonimo album del 1979.
Giorgio Gaber fa riferimento alla strage di piazza Fontana nella canzone "Qualcuno era comunista" ("Qualcuno era comunista perché Piazza Fontana, Brescia, la stazione di Bologna, l’Italicus, Ustica eccetera, eccetera, eccetera...")
Il gruppo milanese Yu kung ha composto in memoria di questo evento la canzone Piazza Fontana. nel 1995 la ska band italiana Banda Bassotti ha reinciso la canzone intitolandola "Luna Rossa" nel loro album "Avanzo De Cantiere".
I Litfiba in una versione modificata della canzone "Il Vento", contenuta nella raccolta "Lacio drom", citano l'evento: "Con il cuore in quella piazza/tiene a mente Piazza Fontana"
I 99 Posse nella canzone "odio/rappresaglia" dell'album "NA 99 10" si riferisce all'evento con le parole: "penso al 12 dicembre '69, allo stato delle stragi, allo stato delle trame" e in "Rafaniello" con le parole "...cumpagne aret' e sbarre dint' e galere imperialiste, pe mezz' e gli interessi do Partito Comunista, e se sparteno e denar' cà Democrazia Cristiana, o partit' ca mettett' 'e bombe a Piazza Fontana" (...compagni dietro le sbarre dentro le galere imperialiste, a causa degli interessi del Partito Comunista, e si divisero i denari con la Democrazia Cristiana, il partito che mise le bombe a Piazza Fontana)
I Modena City Ramblers citano la strage e la morte di Pinelli nella canzone "Quarant'anni", contenuta nell'album "Riportando tutto a casa" (1994): "Ho visto bombe di Stato scoppiare nelle piazze / e anarchici distratti cadere giù dalle finestre".
Valerio Sanzotta ha partecipato al Festival di Sanremo 2008 con una canzone intitolata "Novecento" che cita la strage dicendo: "E non fu solo un sogno e non ci credemmo poco / mettere il mondo a ferro e fuoco, / mentre un’altra stagione già suonava la campana / il primo rintocco fu a Piazza Fontana".
Il cantautore Fausto Amodei nella canzone "Se non li conoscete", una satira sul Movimento Sociale Italiano e più in generale sui fascisti, cita così la strage: "Se non li conoscete pensate alla lontana, / ai fatti di Milano e di Piazza Fontana..."

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