25 dicembre, 2009

PROMEMORIA 25 dicembre 1996 - Portopalo: nella notte fra il 25 e il 26 dicembre affonda un battello di immigrati


Portopalo: nella notte fra il 25 e il 26 dicembre affonda un battello di immigrati che cercava di raggiungere le coste siciliane. Le vittime sono 283: si tratta della più grande tragedia navale avvenuta nel Mediterraneo dalla fine della seconda guerra mondiale. Viene ricordata come la Strage di Natale.
Il naufragio della F174 rappresenta la più grande tragedia navale del Mediterraneo dalla fine della Seconda Guerra Mondiale avvenuta nella notte tra il 25 e il 26 dicembre 1996 e per questo conosciuta anche con il nome di Strage di Natale. Il naufragio è conosciuto inoltre con il nome di Tragedia di Portopalo, perché avvenuto a poche miglia dalla località siciliana di Portopalo di Capo Passero, in provincia di Siracusa. Nel naufragio persero la vita 289 persone.

Il viaggio dei clandestini
La nave trasportava clandestini provenienti principalmente da India, Pakistan e Sri Lanka. I clandestini provenienti da varie località asiatiche erano stati convogliati verso il porto del Cairo. Qui, dopo aver versato circa un migliaio di dollari a testa ai trafficanti di esseri umani, vennero imbarcati sulla "Friendship"; la nave però non venne fatta partire perche si attendeva l'arrivo di altri clandestini per poter partire a pieno carico. Dopo 12 giorni di vana attesa i clandestini vengono trasbordati su un cargo battente bandiera honduregna, la "Yohan", che parte con 470 persone a bordo. Le condizioni di vita a bordo della nave sono pessime: i passeggeri sono rinchiusi nella stiva, con pochissimo cibo e acqua a disposizione.

La nave, un battello maltese dal nome F174, arriva nella notte tra il 25 e il 26 dicembre. Si tratta di un'imbarcazione in pessimo stato, in legno e con i sistemi di sicurezza fuori uso. I passeggeri dello "Yohan" salgono in massa sul battello maltese, lungo 18 metri, fino a che la nave non comincia a dare segni di instabilità. I trafficanti decidono allora di effettuare due viaggi per trasportare tutti i passeggeri e la F174 riparte con circa 400 persone a bordo, non accorgendosi però di uno squarcio sulla prua apertosi dopo un urto con la "Yohan" nelle operazioni di trasbordo.
Il battello imbarca acqua, e resosi conto di non poter raggiungere la costa siciliana chiede aiuto alla "Yohan". Il cargo giunge in pochi minuti ma a causa del mare in burrasca si scontra con la F174 che si spacca in tre ed affonda. Solo una trentina di persone, tra cui il comandante greco, si salvano sui mezzi di soccorso lanciati dalla "Yohan". Muoiono quasi 300 persone.
I trafficanti ripartono con la Yohan per la Grecia dove scaricano i passeggeri superstiti, tenendoli però segregati affinché non possano parlare. Un gruppo di clandestini riesce a fuggire e racconta alla polizia greca l'accaduto; la polizia greca non crede però alla loro versione e arresta i clandestini.
La "Yohan" viene sequestrata il 28 febbraio dopo aver sbarcato altri clandestini in Calabria. Le autorità italiane si dimostrano però perplesse sull'accaduto e non approfondiscono le indagini. Poiché il naufragio non ha quasi lasciato tracce concrete la vicenda è stata appurata solo grazie alle indagini di un giornalista Giovanni Maria Bellu che hanno creduto alle testimonianze di alcuni clandestini e seguito alcune voci che circolavano.

L'inchiesta
Nei giorni successivi alla tragedia i pescatori di Portopalo ritrovano numerosi cadaveri, ma non denunciano nulla alle autorità per evitare interrogatori e lunghi sequestri delle imbarcazioni. I cadaveri vengono rigettati in mare. Solo un pescatore, Salvatore Lupo, ha il coraggio di denunciare il ritrovamento del punto esatto della nave 174 dove era affondata. il comandante Lupo racconta tutto prima alle autorità, ma la cosa non viene presa sul serio, allora si mette in contatto col giornalista Giovanni Maria Bellu del quotidiano la Repubblica, il quale si impegna con una indagine internazionale alla ricerca della verità. nel 2001 mostra al mondo le immagini del relitto della F-174, dentro il quale erano ancora imprigionati gli scheletri delle vittime.
Dopo le prime denunce la Procura di Siracusa aveva aperto un'inchiesta e i membri dell’equipaggio erano stati rinviati a giudizio per omicidio colposo. Quando si individuò il relitto ci si rese conto che questo si trovava in acque internazionali e il processo venne bloccato per mancanza della competenza territoriale.
La Procura di Siracusa decise allora di applicare la norma del codice penale che prevede, in casi di eccezionale gravità, di indagare su fatti non accaduti in Italia. Bisognò però contestare un reato più grave, l’omicidio volontario plurimo aggravato. Il reato era contestabile però solo a due persone: il capitano della nave e un trafficante pakistano colpevoli tra l'altro di aver gettato in mare un giovane clandestino ferito. Il processo rimase aperto solo per l’armatore pakistano Tourab Ahmed Sheik, residente a Malta, perché la Francia si oppose alla richiesta di estradizione del capitano che si era rifugiato oltralpe. L'armatore è stato condannato in appello a 30 anni di carcere insieme al capitano della nave, dopo che il processo di primo grado li aveva visti assolti.

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