Crac Parmalat: otto arresti, confermato il fermo di Calisto Tanzi.
Il crac Parmalat è stato il più grande scandalo di bancarotta fraudolenta e aggiotaggio perpetrato da una società privata in Europa. Fu scoperto solo verso la fine del 2003, nonostante successivamente sia stato dimostrato che le difficoltà finanziarie dell'azienda fossero rilevabili già agli inizi degli anni novanta.
Il buco lasciato dalla società di Collecchio si aggirava sui quattordici miliardi di euro; al momento della scoperta se ne stimavano la metà. Con l'accusa di bancarotta fraudolenta, è stato rinviato a giudizio e in seguito condannato a diciotto anni di reclusione il patron della Parmalat, Calisto Tanzi, nonché numerosi suoi collaboratori tra dirigenti, revisori dei conti e sindaci. Il fallimento della Parmalat è costato l'azzeramento del patrimonio azionario ai piccoli azionisti, mentre i risparmiatori che avevano investito in bond hanno ricevuto solo un parziale risarcimento.
Grazie al cosiddetto decreto "salva-imprese", Parmalat fu salvata dal fallimento e la sua direzione fu affidata all'amministrazione straordinaria di Enrico Bondi, che ha risanato parzialmente i conti (pur dovendo ancora rispondere completamente alle richieste di risarcimento dei vecchi risparmiatori).
Origini del buco finanziario
Negli anni ottanta, grazie all'iniziativa di Gregorio Maggiali, esponente della Democrazia Cristiana del tempo e amico di Tanzi, Calisto entrò in contatto per la prima volta con Ciriaco De Mita, in seguito Presidente del Consiglio dei ministri, con cui strinse una forte amicizia. Per esprimere la sua gratitudine a Maggiali, stando agli atti, Tanzi gli avrebbe concesso il libero uso dei mezzi di trasporto della Parmalat. Non solo, in seguito agli accertamenti sui movimenti finanziari della Parmalat nel 1993, la procura individuò diversi assegni circolari destinati alla Rayton Fissore, azienda automobilistica di Maggiali che versava in cattive acque, per un totale di 1,5 miliardi di lire. Questi finanziamenti illeciti furono rendicontati in bilancio a beneficio di una società fantasma. A seguito di questi rilevamenti, il procuratore ipotizzò che Tanzi dirottasse grosse somme di denaro alla DC tramite la “Rayton Fissore”: De Mita fu indagato per concussione, ma l'indagine fu in seguito archiviata. Diverse circostanze sembrano sottolineare l'influenza dell'amicizia tra De Mita e Tanzi nelle scelte della Parmalat. Nel 1984 la società apre un secondo stabilimento nel sud Italia, a Nusco, paese natale di De Mita: la scelta non fu felice, sia per ragioni logistiche (la fabbrica distava oltre quaranta chilometri dall'autostrada) che per ragioni di salute pubblica: un giorno furono trovati rifiuti tossici provenienti da La Spezia. Inoltre gli impianti furono commissionati e costruiti a Michele De Mita, segretario locale della DC e fratello di Ciriaco. Altra coincidenza evidenziata dagli inquirenti è rappresentata dai finanziamenti previsti dalla legge 216 per la ricostruzione post terremoto dell'Irpinia: Tanzi chiese aiuti per otto miliardi di lire con dieci giorni di ritardo dalla scadenza, e gliene furono erogati undici. Infine per commercializzare il latte a lunga conservazione, che la Parmalat aveva iniziato a produrre, servivano delle normative a livello nazionale, attraverso una legge che arrivò nel 1989, sotto il governo De Mita: in una ricostruzione della trasmissione televisiva Report, pare che, per restituire il favore, Tanzi abbia acquisito sotto l'egida della Parmalat un'ottantina di agenzie viaggio riconducibili a De Mita, che rischiavano l'insolvenza. Successivamente, la Parmalat acquistò la Margherita Yoghurt, fortemente indebitata, su indicazione di Cossiga[7] che, secondo quanto dichiarato dall'ex-direttore finanziario della Parmalat Fausto Tonna, aveva nell'azienda alcuni parenti soci; e la Cipro Sicilia, oberata da debiti per 150 miliardi di lire, acquisizione riconducibile all'influenza di Calogero Antonio Mannino. Sempre Tonna ha fatto il nome di Donatella Zingone, moglie del politico Lamberto Dini, e di Franco Bonferroni. La prima aveva posseduto una linea di supermercati in Costarica: uno stabilimento di questi sarebbe stato comprato da un consulente di Tanzi, Ottone, «a un prezzo a dir poco osceno» con i soldi di Parmalat Nicaragua. Il secondo avrebbe consigliato l'acquisto di certi stabilimenti in Vietnam e Cambogia, operazioni per cui avrebbe percepito delle commissioni.
Durante il processo che lo vede imputato per il crac, Tanzi ha dichiarato alla Magistratura di aver finanziato fin dagli anni sessanta diverse banche, per ottenere crediti e condizionarne le nomine. Dai verbali di queste dichiarazioni inoltre risultano tra i finanziati molti nomi di politici, sia di centrodestra che di centrosinistra, ma comunque gran parte di essi sono riconducibili alla Democrazia Cristiana di allora: Forlani, Colombo, Pomicino, Fabbri, Signorile, Mannino, Fracanzani, Speroni, Stefani, D'Alema, Dini, Fini, De Mita, Tabacci, Sansa, Scalfaro, Pier Luigi Bersani, Lusetti, Gargani, i quali hanno peraltro tutti negato. Hanno invece ammesso di aver ricevuto somme inferiori ai cinquemila euro, e quindi esenti da dichiarazione, Casini, Prodi, Buttiglione, Castagnetti e Segni. Mentre la procura di Parma ha accertato e rintracciato questi flussi di denaro, molti si sono difesi in virtù del fatto che pensavano che i soldi provenissero direttamente da Tanzi, e non dalle casse della sua società.
Con il passaggio alla "Seconda Repubblica", dai verbali è emerso che Tanzi aveva dapprima versato ingenti somme a favore della campagna elettorale di Prodi per le elezioni politiche del 1996, e poi, in occasione delle elezioni del 2001, aveva sostenuto la campagna di Berlusconi. La procura di Milano sta tuttavia indagando, a partire da alcune dichiarazioni di Tanzi, su finanziamenti risalenti già all'anno della nascita di Forza Italia, finanziamenti che sarebbero stati erogati mediante un meccanismo di mancato sconto agli spot pubblicitari in onda sulle reti Mediaset. In questo modo il potenziale sconto di cui poteva godere una grande azienda come la Parmalat con le sue campagne pubblicitarie massive sarebbe confluito indirettamente a Forza Italia: a questo proposito Tanzi ha dichiarato di aver trasferito quote di pubblicità destinate a essere trasmesse dalla RAI a Publitalia. L'autore di questo accordo sarebbe stato Genesio Fornari, che è però deceduto[1]. Poi, nel 1996, quando era salito al potere Prodi, Tanzi aveva partecipato al potenziamento del capitale di Nomisma, società di cui Prodi è stato fondatore, diventandone socio[5]. In questi anni, tra il 1995 e il 1996, si collocherebbe inoltre la promozione di alcune joint-venture tra diverse agenzie viaggi controllate dalla Parmalat e la Cit viaggi, società turistiche delle Ferrovie dello Stato: questo progetto secondo la ricostruzione del pubblico ministero Pierfilippo Laviani a partire dagli interrogatori di Tanzi, sarebbe stato avallato da Ciriaco De Mita e Claudio Burlando, allora Ministro dei Trasporti e della Navigazione per il governo Prodi I e attuale Presidente della Giunta regionale della Liguria, e avrebbe permesso a Tanzi di scaricare i debiti della Parmalat sul partner pubblico. A questo proposito la procura di Roma ha iscritto sul registro degli indagati anche l'ex-amministratore delegato delle Ferrovie, Lorenzo Necci. Su questa faccenda Burlando ha dichiarato che non fosse di sua competenza, e che peraltro Cimoli, poi nominato amministratore delle FS, ha ritenuto di non procedere alla trattativa.
Tanzi si preoccupò anche di stipulare accordi finanziari con i mass-media cartacei: attraverso una sua società, la “Europa Service”, aveva acquistato azioni per 250 milioni di lire del quotidiano di sinistra il manifesto, regolarmente registrati. Meno chiaro è invece il presunto finanziamento a Il Foglio, di Giuliano Ferrara: Tanzi ha dichiarato di aver versato dai 500 milioni al miliardo di lire, ma interpellato dal procuratore di Bologna, Vito Zincani, Ferrara non ha ritenuto di dover deporre. La Magistratura ha rilevato che sono uscite dalle casse della Parmalat, coperti in bilancio dalla voce sponsorizzazione, circa 12 milioni di euro. Si presume però che circa un miliardo e cento milioni di euro siano passate, mezzo la finanziaria uruguaiana Wishaw Trading, a persone ignote: il tramite sarebbe stato Sergio Piccini, il quale è tuttavia deceduto. Al suo posto Tanzi aveva indicato Romano Bernardoni, già venditore d'auto.
Nel 2001 Parmalat commercializzò un nuovo tipo di latte chiamato "Fresco Blu", ampiamente pubblicizzato perché portava la data di scadenza a otto giorni dal momento che era microfiltrato e pastorizzato secondo un procedimento esclusivo. Tuttavia dal momento che le aziende concorrenti insorsero contro la scritta "fresco" che, per legge, doveva essere applicato solo a quel latte la cui data di scadenza era di quattro giorni, la Parmalat fu multata per frode. Così Tanzi decise di mandare Bernardoni da Gianni Alemanno, allora Ministro per le Politiche Agricole e Forestali sotto il governo Berlusconi II: il Ministro fu prosciolto per l'accusa di corruzione, per cui era stato indagato avendo rinunciato all'immunità parlamentare. Ciò nonostante il via libera della Commissione Interministeriale sulla vicenda, come ha evidenziato la Guardia di Finanza, è avvenuta il 28 dicembre 2002, contestualmente ai viaggi del ministro, e della sua segretaria, in un villaggio Parmatour, saldati solo a seguito del crac. Anche Bernardoni è stato prosciolto dall'accusa di corruzione, ma è stato rinviato a giudizio a Parma per finanziamento illecito a partiti. Si è ipotizzato che la fallimentare gestione dei villaggi Parmatour sia da ricondurre al loro utilizzo, ovvero incamerare i favori di politici, banchieri o aziende. Una delle operazioni più contestate è stato l'acquisto di Eurolat dal gruppo Cirio che comportò un aumento vertiginoso dell'esposizione debitoria[9] con una operazione contestata anche dall'Autorità per la Concorrenza.
Occultamento dei debiti
I debiti della Parmalat ammontavano a un centinaio di miliardi di lire già verso la fine degli anni ottanta: per evitare il peggio, Tanzi decise di quotare alla Borsa Italiana il gruppo. Diventare una società per azioni richiede all'azienda un risanamento dei conti, ma le forti perdite di Odeon Tv, controllata dal gruppo di Collecchio, obbligarono Tanzi a rivolgersi alle banche per un prestito: nonostante l'opposizione del presidente e di alcuni sindaci revisori, l'Icle, un istituto di credito, erogò 120 miliardi di lire. Per completare l'operazione Parmalat dovette liberarsi anche dell'emittente oberata da debiti per 160 miliardi e a questo proposito si affidò alla Sasea, società estera di Florio Fiorini, già dirigente ENI: questi acquistò Odeon Tv, che in seguito fallì. Così la Parmalat poté entrare in Borsa, senza subire particolari controlli dalla Consob. Evidentemente i conti della società dopo la quotazione non migliorarono e i debiti avrebbero potuto decretarne il fallimento già negli anni novanta: per occultare questi dati, Tanzi affidò per anni all'avvocato Gian Paolo Zini il compito di creare una rete di società distribuite tra i Caraibi, il Delaware e le isole Cayman. L'avvocato Zini operava direttamente da New York e aveva creato il fondo Epicurum, ideato da Tonna, con cui la Parmalat riversava un'ingente quantità di denaro, circa 400 milioni di euro, sulla Parmatour: questi soldi venivano registrati come crediti per la società e conferiti nel fondo. L'operazione era, ovviamente, falsa, ma utile per ingannare il mercato. Allo stesso modo per simulare l'ottima salute economica della società, si emettevano false fatture. Dal momento che le fatture figurano come crediti, e questi crediti vanno incassati, Tonna e Bocchi si inventarono un fittizio conto corrente presso la “Bank of America”, intestato alla società Bonlat con sede alle Cayman, in cui figuravano 3,9 miliardi di euro. Ne derivò che le banche continuarono a erogare prestiti al gruppo, «malgrado i bilanci non fossero il massimo della trasparenza e [...] pur affermando di possedere liquidità consistente», come ha dichiarato Tanzi.
Quando il buco fu scoperto nel 2003, le banche si professarono vittime della frode della Parmalat, e lo stesso Governatore della Banca d'Italia del tempo, Antonio Fazio, in un'audizione al Senato del 2004, affermò che era evidente che non solo le banche italiane, ma anche quelle straniere, non erano consapevoli della situazione in cui versava la società di Tanzi. Tuttavia già nel 1995, a seguito di un'interrogazione parlamentare sui prestiti concessi alla Parmalat dalla Cassa di Risparmio di Parma (per 650 miliardi di lire) e dal Monte dei Paschi di Siena (per 90 miliardi di lire), la procura incaricò il ragionere Mario Valla di Parma di rivederne i bilanci degli ultimi tre anni. Dallo studio emerse un indebitamento elevatissimo: la società viveva dei prestiti bancari, perché come rivelò poi Tanzi, egli stesso aveva fatto pressione su Goria e De Mita affinché Luciano Silingardi venisse messo a capo della Cassa di Risparmio di Parma; e ugualmente era intervenuto sulla nomina di Franco Gorreri al Monte dei Paschi, premendo su Craxi. Presumibilmente Tanzi intendeva crearsi delle vie privilegiate per ottenere facili prestiti dai due gruppi bancari: d'altro canto Silingardi era stato sindaco per la Parmalat e Gorreri ne era un dipendente. La perizia del rag. Valla fu depositata in procura, ma il giudice dell'udienza preliminare Adriano Padula archiviò l'inchiesta. Lo stesso Padula nel 1998 assolse Tanzi e Tonna dall'accusa di false comunicazioni sociali. Quando nel 2005 però, il Ministro di Grazia e Giustizia Roberto Castelli avviò un'ispezione sul gup di Parma, emerse che Padula aveva insistito con Tanzi per avere sconti per i viaggi nei villaggi Parmatour, che pagò peraltro solo dopo che fu scoperto il crac, oltre due anni dopo. Per questo Padula fu sanzionato dal Consiglio Superiore della Magistratura.
L'attuale amministratore delegato di Parmalat, Bondi, ha deciso di intraprendere un'azione legale contro le banche creditrici prima del crac, accusandole di aver emesso bond fino all'ultimo momento pur essendo consapevoli della situazione disastrosa in cui versavano i bilanci dell'azienda. Bondi stima che Deutsche Bank abbia, a fronte di un prestito di 140 milioni di euro, guadagnato di interessi 217 milioni (+140%), Unicredit Banca da 171 milioni di euro ne ha ricavati 212 (+124%), Capitalia ha incassato il 123% in più di quanto aveva prestato alla Parmalat. Paradigmatico a questo proposito fu il bond emesso dalla banca svizzera UBS a Parmalat di 420 milioni di euro, dei quali effettivamente solo 110 milioni furono incassati, mentre i restanti 290 milioni tornarono indietro alla banca, come assicurazione in caso di insolvenza: cosa che, a posteriori, si verificò. Le strabilianti cifre che le banche concedevano a Tanzi, servirono anche per acquisizioni, in modo da dare l'idea che la Parmalat fosse una società solida e in crescita: ad esempio, la Citigroup, banca statunitense, ha caldeggiato l'acquisto di bond ai risparmiatori fino a pochi giorni prima del crac, facendo leva sulla maschera dorata che la Parmalat si era creata. I finanziamenti, erogati per questo fine, venivano occultati dalle banche internazionali grazie a società site in paradisi fiscali: tra queste la “Buconero Spa”, dietro al cui nome emblematico si presume operasse la Citibank, che, secondo quanto riportato dallo scrittore Vittorio Malagutti, riuscì a far fluire 100 miliardi di lire attraverso un contratto di associazione di partecipazione, senza dunque che comparisse tra i debiti del gruppo Parmalat. Analogamente la Bank of America istituì una holding che, in compartecipazione alla Parmalat, si servì di un ente caritatevole delle Cayman per raccogliere quasi 300 milioni di dollari tra gli obbligazionisti e finanziare così la Parmalat Brasile, tecnicamente già fallita: l'accordo fu siglato tra Gregory Johnson, responsabile della security della banca statunitense, e Fausto Tonna.
Quando nel 2002 Tanzi necessitava di 50 milioni di euro per risollevare le perdite generate da Parmatour, si rivolse a Cesare Geronzi e alla sua Banca di Roma, per la quale era consigliere d'amministrazione. Matteo Arpe, amministratore delegato dell'istituto di Medio Credito Centrale attraverso il quale sarebbe stato concesso il prestito, si oppose all'operazione, ma Geronzi riuscì in ogni caso a far arrivare alle casse di Parmalat la cifra richiesta, che fu poi deviata al settore turismo. Contestualmente Tanzi acquisì la società sicula di acque minerali Ciappazzi, oberata di debiti sospesi per la maggior parte con la Banca di Roma. I magistrati ipotizzano che l'operazione sia frutto di una costrizione imposta da Geronzi a Tanzi. La fallimentare acquisizione ha avuto dei risvolti paradossali: in una regione spesso vittima di crisi idriche come la Sicilia, la Ciappazzi perdeva circa quindicimila litri di acqua al minuto, riversata in mare, poiché mancava della licenza di imbottigliare. Anche quando il crac venne a galla, la Ciappazzi non beneficiò dell'amministrazione straordinaria dato che Tanzi l'aveva comprata attraverso la Cosal, una società non direttamente riconducibile alla Parmalat. Geronzi, accusato di usura, dichiarò di ignorare che il gruppo di Collecchio fosse prossimo alla bancarotta e che a quanto sapeva Tanzi meditava da tempo di entrare nel mercato delle acque minerali.
Scoperta del crac
Nel 2003 la Consob avviò dei controlli ai bilanci della Parmalat. Per ovviare a una situazione che avrebbe inevitabilmente portato alla scoperta del catastrofico stato della società, Tanzi, come si evince dai verbali degli interrogatori, chiese aiuto a Silvio Berlusconi[senza fonte] per un suo intervento presso le banche e presso la Consob: «Devo aggiungere che in occasione di un incontro che ho avuto in Consob, ho potuto constatare che la Consob mi ha trattato con gentilezza e mi ha dato tempo per chiarire gli aspetti della vicenda Parmalat», ha dichiarato Tanzi. Le banche tuttavia non rimasero impassibili al mancato rientro dei prestiti e cominciarono a fare pressione su Tanzi: quando iniziarono a trapelare i primi sintomi di insolvenza, il patron della Parmalat fu messo da parte, le banche imposero alla guida del gruppo in qualità di amministratore straordinario Enrico Bondi e il titolo Parmalat fu sospeso dalle trattative in Borsa.
Il 4 dicembre si scoprì che i 600 milioni di euro del fondo Epicurum non esistevano. L'8 dicembre era il termine entro cui la Parmalat era costretta a onorare il bond da 150 milioni di euro che aveva emesso: Bondi promise di restituire i soldi entro il 15 dicembre, ma quando quattro giorni dopo riuscì a saldare il debito, si accorse anche che ne mancavano 80. Intanto dopo tre giorni di sospensione, il titolo Parmalat fu riammesso alle contrattazioni: da un valore precedente di 2,2375 euro, l'11 dicembre il titolo chiuse a 1,1900 euro, in calo del 46,8%. Il 15 dicembre il consiglio di amministrazione, tra cui figuravano Tanzi, Tonna e Gorreri, si dimise. La notizia che accese i riflettori sullo scandalo arrivò però il 19 dicembre 2003: in quella data la Bank of America dichiarò che i 3,95 miliardi di euro che rappresentavano l'attivo della Parmalat non esistevano: qualche giorno dopo fu appurato il documento che ne attestava l'esistenza era stato contraffatto. Il 22 dicembre Tanzi fu iscritto al registro degli indagati per falso in bilancio presso la procura di Milano e nel frattempo il valore di un'azione della Parmalat era sceso a 0,1100 euro, ma anche gli indici delle banche connesse al crac persero punti (Capitalia -6%, Monte dei Paschi -5%); lo stesso giorno gli obbligazionisti statunitensi, onde scongiurare il rischio di cross default, decisero di non intraprendere richieste di risarcimento fintantoché Bondi non avesse redatto un piano di salvataggio.
Il 1º gennaio Bondi stabilì che il primo asset che la Parmalat avrebbe ceduto sarebbe stata la Parma Calcio e qualche giorno più tardi la Consob depositò una richiesta di annullamento del bilancio dell'anno precedente della Parmalat. Il 20 gennaio seguirono le dimissioni di Silingardi, mentre il 23 gennaio un ex-collaboratore dei direttori finanziari Tonna e Del Soldato, Alessandro Bassi, il quale era stato già sentito come testimone dai pm, fu trovato morto, precipitato da un ponte: l'ipotesi più accreditata dagli inquirenti fu il suicidio. Non mancano però ipotesi di omicidio come quella formulata nel libro di Livio Consigli "Il tesoro di Tanzi" (www.iltesoroditanzi.it). Nel contempo sia lo Stato, attraverso un finanziamento di 150 milioni[20], sia alcune banche, si occuparono del risanamento del gruppo di Collecchio perché potesse continuare l'attività.
Evoluzioni nel periodo 2004-2011
Dopo alcuni arresti e indagini, viene stabilito dalla Cassazione, il 1º marzo 2004, la celebrazione di due indagini (e processi) paralleli. Alla procura di Milano viene attribuita la competenza delle indagini per aggiotaggio, ostacolo alla vigilanza, falso in comunicazioni (sociali e ai revisori) e ostacolo all'esercizio delle funzioni di vigilanza della Consob. A Parma l'associazione a delinquere e bancarotta.
Il 29 maggio 2004 la procura di Milano ottiene il rinvio a giudizio per 29 persone fisiche e tre persone giuridiche, tra cui Calisto Tanzi, componenti del consiglio di amministrazione Parmalat, sindaci, direttori, contabili, revisori dei conti, funzionari di “Bank of America”. Tra le persone giuridiche imputate la “Bank of America” e le società di revisione “Grant Thornton” (ora Italaudit) e “Deloitte & Touche”.
Il 18 dicembre 2008 il Tribunale di Milano ha emesso una sentenza, definita "a sorpresa", sul caso Parmalat. Dei 29 imputati, dopo patteggiamenti e applicazioni di leggi "controverse" (come la ex Cirielli), tra le persone fisiche giudicate con rito ordinario, risulta condannato il solo Calisto Tanzi, a 10 anni di reclusione. Tra le persone giuridiche, anche la Grant Thornton/Italaudit, sanzionata con 240.000 euro e ad una confisca di 455.000 euro.
Tra quelli che avevano scelto il patteggiamento: condannate, con una serie di pene che vanno dai cinque mesi e 10 giorni ai due mesi, otto persone fisiche, tra le quali Paola Visconti (nipote di Calisto Tanzi), la Deloitte & Touche e Dianthus (che avevano, nel frattempo, già risarcito migliaia di parti civili).
Tra i prosciolti figurano: Enrico Barachin, Giovanni Bonici (di Parmalat Venezuela), Paolo Sciumè (ex membro del C.d.A. di Parlamat di Collecchio) e il banchiere Luciano Silingardi. Per quanto riguarda la posizione di Bank of America, prosciolta, il P.M. Francesco Greco dichiara che «è stata riconosciuta la prescrizione per altro modificata dalla legge Cirielli».
il 18 aprile 2011 il Tribunale di Milano ha assolto le banche coinvolte per il reato di aggiotaggio informativo: Morgan Stanley, Bank of America, CitiGroup e Deutsche Bank. La decisione del Tribunale di Milano inoltre nega quindi il risarcimento per circa 30.000 piccoli risparmiatori che sottoscrissero i bond emessi dalla Parmalat prima del Crac.
31 dicembre, 2011
30 dicembre, 2011
Solidarietà e politiche sociali: l’impegno della Provincia di Roma
Solidarietà e politiche sociali: l’impegno della Provincia di Roma
È iniziato dal centro polivalente per persone senza fissa dimora ‘Binario 95′ il tour cittadino del presidente della Provincia di Roma Nicola Zingaretti tra le strutture che si occupano di sociale e disagio. Il presidente Zingaretti ha parlato con i responsabili e gli ospiti del centro, dove di giorno vengono svolti laboratori di scrittura, pittura, sartoria, e dove c’è la sede di una piccola casa editrice.
“Sono incontri importanti – ha dichiarato Zingaretti – per conoscere quanto Roma sia ricca di problemi ma al tempo stesso di straordinarie qualità umane di aiuto e di solidarietà che garantiscono livelli di coesione sociale di cui la città ha enorme bisogno. Non bisogna parlare dei senza fissa dimora o di chi ha un disagio soltanto quando esplodono sotto forma di problemi o si trasformano in casi di cronaca nera, perché c’è un tessuto che affronta spesso da solo queste problematiche e ha bisogno di sentire vicine le istituzioni”.
“Per le istituzioni – ha aggiunto Zingaretti – è fondamentale che nella scala di valori che determinano le scelte per gli investimenti, il tema della povertà, dei senza fissa dimora e di una città solidale, sia la priorità. Altrimenti poco vale stracciarsi le vesti quando ci accorgiamo dei livelli estremi di disperazione che ci sono”.
Secondo Zingaretti, purtroppo è venuta meno l’attenzione alle politiche sociali, utili a costruire un ambiente della città più sereno e sicuro. “Noi tentiamo – ha detto ancora Zingaretti – di andare in controtendenza e con gli ‘Stati generali del Welfare’ abbiamo tentato di battere un colpo in questa direzione”.
“A febbraio – ha annunciato il presidente Zingaretti – presenteremo il ‘bando della fratellanza’: più di due milioni di euro per tante microiniziative in campo sociale, per aiutarle ad essere ancora più utili e solide. Già quest’anno con il piano ‘Prevenzione mille’ – ha ricordato Zingaretti – abbiamo finanziato 101 progetti di associazioni e realtà attive nel sociale.
Pensare agli altri deve diventare uno dei valori fondanti e una priorità della politica”.
Zingaretti ha poi visitato le Fattorie Garibaldi, circuito di fattorie sociali ad opera dell’Istituto Agrario Garibaldi. Nella struttura operano dodici ragazzi autistici dell’ Associazione genitori Esperantia Onlus e gli studenti disabili dell’Istituto Agrario Garibaldi, per un totale di una sessantina di persone. I ragazzi, dopo un percorso che in alcuni casi è durato anche 2-3 anni, adesso sanno lavorare la terra e servono ai tavoli i clienti della fattoria.
“Questo – ha sottolineato il presidente dell’Amministrazione provinciale – è l’esempio di quanto la scuola italiana sia un valore aggiunto per il Paese. Il prossimo anno la Provincia sarà ancora più vicina a questa realtà. Con la crisi ed i tagli c’è il rischio che i servizi alla persona vengano spazzati via, per questo è importante non abbassare la testa e capire che il costo di ciò che accade non devono pagarlo gli ultimi nella scala della società. Sosterremo, tuteleremo e promuoveremo le Fattorie sociali Garibaldi per far sì che diventino un esempio per tutti”.
Zingaretti ha annunciato inoltre che a gennaio un fondo da 300mila euro sarà destinato a 20 fattorie sociali come questa che “grazie al lavoro di famiglie e volontari, danno speranza a tanti ragazzi che altrimenti non ce la farebbero”.
Successivamente il presidente della Provincia di Roma ha fatto tappa anche al Centro Astalli, visitando la mensa sociale del centro gesuita per i rifugiati, attivo dal 1981, che ogni giorno offre tra i 400 e i 500 pasti per i richiedenti asilo in stato di bisogno, circa ventimila all’anno.
“All’interno di un viaggio della solidarietà – ha affermato Zingaretti – non poteva mancare il Centro Astalli, uno di quei luoghi meravigliosi che rendono Roma più umana e più civile e soprattutto ci ricordano il lavoro prezioso fatto da decine di volontari tutti i giorni. Questo ci ricorda quanto sia importante non distrarsi e anche quanto è o sarebbe semplice, con politiche dell’ immigrazione degne di questo nome, risolvere e anticipare tanti problemi che si conoscono soltanto quando promuovono disagio”.
“Noi – ha proseguito il presidente Zingaretti – faremo di tutto per sensibilizzare il governo sulla condizione dei richiedenti asilo in questo momento nel nostro Paese, e soprattutto, con loro, stiamo studiando progetti su come potere fare anche noi la nostra parte per l’accoglienza ai richiedenti, esseri umani che hanno diritto alla dignità anche qui, perché fuggiti da condizioni drammatiche, molto spesso torturati e vittime di discriminazioni”.
La giornata si è conclusa con la visita alle case famiglia per disabili della Cooperativa Sociale ‘Spes contra spem’, in via Colli della Serpentara. Nel 2000 è nata Casablu – la prima delle case famiglia che ospita dodici persone con gravi handicap. Oggi le case sono diventate quattro (Casablu, CasaSalvatore, l’Approdo e Semi di Autonomia), accompagnate da vari progetti, e ci sono circa 600 famiglie e 21 volontari che sostengono l’associazione.
“Le case famiglia – ha detto il presidente Zingaretti – sono delle pillole di civiltà dentro la città, luoghi che attraverso l’accoglienza e il senso della famiglia garantiscono assistenza a tantissimi ragazzi, che altrimenti non avrebbero. Sono realtà poco conosciute – ha concluso – ma che garantiscono un livello dignitoso di vita a centinaia di ragazzi e ragazze che vivono a Roma e che non devono essere dimenticati”.
È iniziato dal centro polivalente per persone senza fissa dimora ‘Binario 95′ il tour cittadino del presidente della Provincia di Roma Nicola Zingaretti tra le strutture che si occupano di sociale e disagio. Il presidente Zingaretti ha parlato con i responsabili e gli ospiti del centro, dove di giorno vengono svolti laboratori di scrittura, pittura, sartoria, e dove c’è la sede di una piccola casa editrice.
“Sono incontri importanti – ha dichiarato Zingaretti – per conoscere quanto Roma sia ricca di problemi ma al tempo stesso di straordinarie qualità umane di aiuto e di solidarietà che garantiscono livelli di coesione sociale di cui la città ha enorme bisogno. Non bisogna parlare dei senza fissa dimora o di chi ha un disagio soltanto quando esplodono sotto forma di problemi o si trasformano in casi di cronaca nera, perché c’è un tessuto che affronta spesso da solo queste problematiche e ha bisogno di sentire vicine le istituzioni”.
“Per le istituzioni – ha aggiunto Zingaretti – è fondamentale che nella scala di valori che determinano le scelte per gli investimenti, il tema della povertà, dei senza fissa dimora e di una città solidale, sia la priorità. Altrimenti poco vale stracciarsi le vesti quando ci accorgiamo dei livelli estremi di disperazione che ci sono”.
Secondo Zingaretti, purtroppo è venuta meno l’attenzione alle politiche sociali, utili a costruire un ambiente della città più sereno e sicuro. “Noi tentiamo – ha detto ancora Zingaretti – di andare in controtendenza e con gli ‘Stati generali del Welfare’ abbiamo tentato di battere un colpo in questa direzione”.
“A febbraio – ha annunciato il presidente Zingaretti – presenteremo il ‘bando della fratellanza’: più di due milioni di euro per tante microiniziative in campo sociale, per aiutarle ad essere ancora più utili e solide. Già quest’anno con il piano ‘Prevenzione mille’ – ha ricordato Zingaretti – abbiamo finanziato 101 progetti di associazioni e realtà attive nel sociale.
Pensare agli altri deve diventare uno dei valori fondanti e una priorità della politica”.
Zingaretti ha poi visitato le Fattorie Garibaldi, circuito di fattorie sociali ad opera dell’Istituto Agrario Garibaldi. Nella struttura operano dodici ragazzi autistici dell’ Associazione genitori Esperantia Onlus e gli studenti disabili dell’Istituto Agrario Garibaldi, per un totale di una sessantina di persone. I ragazzi, dopo un percorso che in alcuni casi è durato anche 2-3 anni, adesso sanno lavorare la terra e servono ai tavoli i clienti della fattoria.
“Questo – ha sottolineato il presidente dell’Amministrazione provinciale – è l’esempio di quanto la scuola italiana sia un valore aggiunto per il Paese. Il prossimo anno la Provincia sarà ancora più vicina a questa realtà. Con la crisi ed i tagli c’è il rischio che i servizi alla persona vengano spazzati via, per questo è importante non abbassare la testa e capire che il costo di ciò che accade non devono pagarlo gli ultimi nella scala della società. Sosterremo, tuteleremo e promuoveremo le Fattorie sociali Garibaldi per far sì che diventino un esempio per tutti”.
Zingaretti ha annunciato inoltre che a gennaio un fondo da 300mila euro sarà destinato a 20 fattorie sociali come questa che “grazie al lavoro di famiglie e volontari, danno speranza a tanti ragazzi che altrimenti non ce la farebbero”.
Successivamente il presidente della Provincia di Roma ha fatto tappa anche al Centro Astalli, visitando la mensa sociale del centro gesuita per i rifugiati, attivo dal 1981, che ogni giorno offre tra i 400 e i 500 pasti per i richiedenti asilo in stato di bisogno, circa ventimila all’anno.
“All’interno di un viaggio della solidarietà – ha affermato Zingaretti – non poteva mancare il Centro Astalli, uno di quei luoghi meravigliosi che rendono Roma più umana e più civile e soprattutto ci ricordano il lavoro prezioso fatto da decine di volontari tutti i giorni. Questo ci ricorda quanto sia importante non distrarsi e anche quanto è o sarebbe semplice, con politiche dell’ immigrazione degne di questo nome, risolvere e anticipare tanti problemi che si conoscono soltanto quando promuovono disagio”.
“Noi – ha proseguito il presidente Zingaretti – faremo di tutto per sensibilizzare il governo sulla condizione dei richiedenti asilo in questo momento nel nostro Paese, e soprattutto, con loro, stiamo studiando progetti su come potere fare anche noi la nostra parte per l’accoglienza ai richiedenti, esseri umani che hanno diritto alla dignità anche qui, perché fuggiti da condizioni drammatiche, molto spesso torturati e vittime di discriminazioni”.
La giornata si è conclusa con la visita alle case famiglia per disabili della Cooperativa Sociale ‘Spes contra spem’, in via Colli della Serpentara. Nel 2000 è nata Casablu – la prima delle case famiglia che ospita dodici persone con gravi handicap. Oggi le case sono diventate quattro (Casablu, CasaSalvatore, l’Approdo e Semi di Autonomia), accompagnate da vari progetti, e ci sono circa 600 famiglie e 21 volontari che sostengono l’associazione.
“Le case famiglia – ha detto il presidente Zingaretti – sono delle pillole di civiltà dentro la città, luoghi che attraverso l’accoglienza e il senso della famiglia garantiscono assistenza a tantissimi ragazzi, che altrimenti non avrebbero. Sono realtà poco conosciute – ha concluso – ma che garantiscono un livello dignitoso di vita a centinaia di ragazzi e ragazze che vivono a Roma e che non devono essere dimenticati”.
PROMEMORIA 30 dicembre 2006 – L'ex-dittatore dell'Iraq Saddam Hussein viene giustiziato mediante impiccagione
L'ex-dittatore dell'Iraq Saddam Hussein viene giustiziato mediante impiccagione.
Sottoposto a processo da un tribunale iracheno assieme ad altri sette imputati, fra cui il fratellastro, tutti gerarchi del suo regime, per crimini contro l'umanità, in relazione alla strage di Dujayl del 1982 (148 sciiti uccisi), il 5 novembre 2006 è stato condannato a morte per impiccagione (Saddam aveva richiesto la fucilazione) e il 26 dicembre 2006 la condanna è stata confermata dalla Corte d'appello. Con lui è stato condannato a morte per impiccagione anche Awwad al-Bandar, presidente del tribunale rivoluzionario, mentre Ṭāhā Yāsīn Ramaḍān, vice presidente, è stato condannato prima all'ergastolo, poi all'impiccagione. L'esecuzione per impiccagione è avvenuta alle 6 del mattino (ora irachena) del 30 dicembre 2006, data che coincideva con la festa del sacrificio, la maggiore solennità islamica.
In Iraq la sentenza ha provocato reazioni contrastanti: curdi e sciiti si sono rallegrati (il primo ministro Nūrī al-Mālikī avrebbe dichiarato che "La condanna a morte segna la fine di un periodo nero della storia di questo paese e ne apre un altro, quello di un Iraq democratico e libero"), mentre i sunniti hanno reagito manifestando contro il verdetto. Anche in Vicino Oriente le reazioni sono state contrastanti: i tradizionali nemici di Saddam (Iran e Kuwait) hanno accolto la sentenza con favore, mentre i governi del mondo sunnita hanno tenuto un basso profilo, cercando di non dispiacere né agli Stati Uniti, né alle proprie opinioni pubbliche, eccezion fatta per la Libia.
In Occidente la notizia della condanna a morte dell'ex-raʾīs di Baghdad è stata oggetto di giudizi fortemente contrastanti. L'Amministrazione degli Stati Uniti ha espresso la sua completa soddisfazione (Una pietra miliare sulla strada della democrazia, G.W. Bush). Invece i governi dei Paesi dell'Unione Europea, incluso quello italiano (siamo contro la pena di morte sia come italiani che come europei, Massimo D'Alema), pur approvando il verdetto di colpevolezza, hanno ribadito la loro contrarietà di principio alla pena capitale. Molti di essi si sono spinti a suggerire all'Iraq di non eseguire la sentenza, una posizione non lontana da quella russa.
Numerose e autorevoli organizzazioni umanitarie (tra le quali Amnesty International e Human Rights Watch) hanno criticato non solo la condanna a morte, ma anche lo svolgimento del processo, in cui non sarebbero stati sufficientemente tutelati i diritti della difesa e il cui svolgimento sarebbe stato sottoposto a forti pressioni da parte del governo iracheno e, indirettamente, da parte dell'Amministrazione statunitense.
Secondo l'agenzia di stampa Reuters l'impiccagione di Saddam Hussein è stata eseguita alle 4:00 italiane (le 6:00 ora locale) del 30 dicembre 2006.
La trasmissione del video parziale dell'impiccagione, è stata oggetto di dure critiche da parte di molte forze politiche.
Sottoposto a processo da un tribunale iracheno assieme ad altri sette imputati, fra cui il fratellastro, tutti gerarchi del suo regime, per crimini contro l'umanità, in relazione alla strage di Dujayl del 1982 (148 sciiti uccisi), il 5 novembre 2006 è stato condannato a morte per impiccagione (Saddam aveva richiesto la fucilazione) e il 26 dicembre 2006 la condanna è stata confermata dalla Corte d'appello. Con lui è stato condannato a morte per impiccagione anche Awwad al-Bandar, presidente del tribunale rivoluzionario, mentre Ṭāhā Yāsīn Ramaḍān, vice presidente, è stato condannato prima all'ergastolo, poi all'impiccagione. L'esecuzione per impiccagione è avvenuta alle 6 del mattino (ora irachena) del 30 dicembre 2006, data che coincideva con la festa del sacrificio, la maggiore solennità islamica.
In Iraq la sentenza ha provocato reazioni contrastanti: curdi e sciiti si sono rallegrati (il primo ministro Nūrī al-Mālikī avrebbe dichiarato che "La condanna a morte segna la fine di un periodo nero della storia di questo paese e ne apre un altro, quello di un Iraq democratico e libero"), mentre i sunniti hanno reagito manifestando contro il verdetto. Anche in Vicino Oriente le reazioni sono state contrastanti: i tradizionali nemici di Saddam (Iran e Kuwait) hanno accolto la sentenza con favore, mentre i governi del mondo sunnita hanno tenuto un basso profilo, cercando di non dispiacere né agli Stati Uniti, né alle proprie opinioni pubbliche, eccezion fatta per la Libia.
In Occidente la notizia della condanna a morte dell'ex-raʾīs di Baghdad è stata oggetto di giudizi fortemente contrastanti. L'Amministrazione degli Stati Uniti ha espresso la sua completa soddisfazione (Una pietra miliare sulla strada della democrazia, G.W. Bush). Invece i governi dei Paesi dell'Unione Europea, incluso quello italiano (siamo contro la pena di morte sia come italiani che come europei, Massimo D'Alema), pur approvando il verdetto di colpevolezza, hanno ribadito la loro contrarietà di principio alla pena capitale. Molti di essi si sono spinti a suggerire all'Iraq di non eseguire la sentenza, una posizione non lontana da quella russa.
Numerose e autorevoli organizzazioni umanitarie (tra le quali Amnesty International e Human Rights Watch) hanno criticato non solo la condanna a morte, ma anche lo svolgimento del processo, in cui non sarebbero stati sufficientemente tutelati i diritti della difesa e il cui svolgimento sarebbe stato sottoposto a forti pressioni da parte del governo iracheno e, indirettamente, da parte dell'Amministrazione statunitense.
Secondo l'agenzia di stampa Reuters l'impiccagione di Saddam Hussein è stata eseguita alle 4:00 italiane (le 6:00 ora locale) del 30 dicembre 2006.
La trasmissione del video parziale dell'impiccagione, è stata oggetto di dure critiche da parte di molte forze politiche.
29 dicembre, 2011
PROMEMORIA 29 dicembre 1975 – Una bomba esplode all'Aeroporto La Guardia di New York, 11 vittime
Una bomba esplode all'Aeroporto La Guardia di New York, 11 vittime.
L'Aeroporto Fiorello LaGuardia (codici aeroportuali LGA, KLGA, LGA) (inglese: LaGuardia Airport, pronuncia inglese ləˈɡwɑrdiə) è uno dei tre maggiori aeroporti della città di New York e si trova nella contea di Queens. Esso è ubicato lungo la costa che fronteggia la Flushing Bay e la Bowery Bay. In origine venne denominato Glenn H. Curtiss Airport dedicato al pioniere dell'aviazione Glenn Curtiss[1] per essere poi denominato North Beach Airport,[2] ed infine dedicato a Fiorello La Guardia, ex sindaco di New York che fece costruire l'attuale struttura. Nel 1960, venne votato come il "più grande aeroporto del mondo" dalla comunità mondiale aeronautica.[3] "LaGuardia Airport" è il nome ufficiale dell'aeroporto secondo la Port Authority of New York and New Jersey, che gestisce lo scalo.
LaGuardia è il più piccolo dei tre principali aeroporti commerciali dell'Area metropolitana di New York, essendo gli altri due l'Aeroporto internazionale John F. Kennedy, sito nella zona sud di Queens, e l'Aeroporto di Newark-Liberty sito a Newark ed il più vicino dei tre a Manhattan. LaGuardia è noto per la sua posizione centrale molto vicina a Manhattan. Nonostante la dimensione relativamente modesta dello scalo, esso è accessibile ad aeromobili di grandi dimensioni.
La maggior parte dei voli operati sull'aeroporto sono dei voli interni degli Stati Uniti e del Canada.
28 dicembre, 2011
PROMEMORIA 28 dicembre 1870 – A Roma si verifica un'inondazione per uno straordinario straripamento del Tevere
A Roma si verifica un'inondazione per uno straordinario straripamento del Tevere.
Il Tevere è il principale fiume dell'Italia centrale e peninsulare; con 405 km di corso è il terzo fiume italiano per lunghezza (dopo il Po e l'Adige). Secondo solo al Po per ampiezza del bacino idrografico (17.375 km²), con quasi 240 m³/s di portata media annua alla foce è anche il terzo corso d'acqua nazionale (dopo il Po e il Ticino) per volume di trasporto.
« Er barcarolo va controcorente / e quanno canta l'eco s'arisente »
(Barcarolo romano, canzone popolare romanesca)
I muraglioni di contenimento dei Lungotevere (ma non accade diversamente a Parigi e a Firenze), rendono oggi difficile immaginare quanto "fluviale" potesse essere la città antica e quanto lo fosse ancora un secolo fa. Ma questa connessione con il fiume, che certo era una risorsa economica notevole, era anche - da sempre - ad alto rischio.
Già Livio attesta che le piene del Tevere, spesso disastrose, erano ritenute dal popolo romano annunciatrici di eventi importanti o punizione degli dei irati, e certo comportavano - oltre che distruzioni - epidemie causate dal ristagno delle acque. Ancora nel XIX secolo il fatto che l'arrivo dei Piemontesi a Roma fosse stato salutato da una disastrosa inondazione, il 28 dicembre 1870, confermò il popolo romano nella sua opinione antica e mai abbandonata.
Le grandi piene (mediamente almeno 3 o 4 per secolo) sono sempre arrivate a Roma dalla via Flaminia: a valle dell'ultima confluenza con l'Aniene il fiume, libero fin lì di distendersi su territori pianeggianti e praticamente golenali, incontrava costruzioni e ponti che lo ostacolavano (ripetutamente il Ponte Sublicio era stato trascinato via dalle alluvioni) e si incanalava rovinoso per vie e piazze.
Cesare immaginò di raddrizzare i meandri urbani del fiume deviandolo attorno al Gianicolo (cioè facendogli evitare Trastevere e la pianura dei Fori) e canalizzandolo attraverso le Paludi Pontine in direzione del Circeo. Augusto, di temperamento più realista e "amministrativo", dopo aver nominato una commissione di 700 esperti si limitò a disporre la pulizia dell'alveo fluviale e ad istituire una magistratura apposita, i Curatores alvei et riparum Tiberis, carica che Agrippa tenne per tutta la vita. Gli esperti di Tiberio suggerirono di deviare le acque del Chiani verso l'Arno, ma per l'opposizione dei fiorentini non se ne fece nulla (il progetto fu riesumato - e ugualmente abbandonato - nel 1870). A Traiano si deve il completamento del canale di Fiumicino (la cosiddetta Fossa Traiana) iniziato da Claudio, funzionale alla navigabilità del fiume, ma anche a migliorare il deflusso delle acque verso il mare.
L'ultimo imperatore che dispose una pulizia radicale dell'alveo e un'arginatura del fiume fu Aureliano.
Il Tevere è il principale fiume dell'Italia centrale e peninsulare; con 405 km di corso è il terzo fiume italiano per lunghezza (dopo il Po e l'Adige). Secondo solo al Po per ampiezza del bacino idrografico (17.375 km²), con quasi 240 m³/s di portata media annua alla foce è anche il terzo corso d'acqua nazionale (dopo il Po e il Ticino) per volume di trasporto.
« Er barcarolo va controcorente / e quanno canta l'eco s'arisente »
(Barcarolo romano, canzone popolare romanesca)
I muraglioni di contenimento dei Lungotevere (ma non accade diversamente a Parigi e a Firenze), rendono oggi difficile immaginare quanto "fluviale" potesse essere la città antica e quanto lo fosse ancora un secolo fa. Ma questa connessione con il fiume, che certo era una risorsa economica notevole, era anche - da sempre - ad alto rischio.
Già Livio attesta che le piene del Tevere, spesso disastrose, erano ritenute dal popolo romano annunciatrici di eventi importanti o punizione degli dei irati, e certo comportavano - oltre che distruzioni - epidemie causate dal ristagno delle acque. Ancora nel XIX secolo il fatto che l'arrivo dei Piemontesi a Roma fosse stato salutato da una disastrosa inondazione, il 28 dicembre 1870, confermò il popolo romano nella sua opinione antica e mai abbandonata.
Le grandi piene (mediamente almeno 3 o 4 per secolo) sono sempre arrivate a Roma dalla via Flaminia: a valle dell'ultima confluenza con l'Aniene il fiume, libero fin lì di distendersi su territori pianeggianti e praticamente golenali, incontrava costruzioni e ponti che lo ostacolavano (ripetutamente il Ponte Sublicio era stato trascinato via dalle alluvioni) e si incanalava rovinoso per vie e piazze.
Cesare immaginò di raddrizzare i meandri urbani del fiume deviandolo attorno al Gianicolo (cioè facendogli evitare Trastevere e la pianura dei Fori) e canalizzandolo attraverso le Paludi Pontine in direzione del Circeo. Augusto, di temperamento più realista e "amministrativo", dopo aver nominato una commissione di 700 esperti si limitò a disporre la pulizia dell'alveo fluviale e ad istituire una magistratura apposita, i Curatores alvei et riparum Tiberis, carica che Agrippa tenne per tutta la vita. Gli esperti di Tiberio suggerirono di deviare le acque del Chiani verso l'Arno, ma per l'opposizione dei fiorentini non se ne fece nulla (il progetto fu riesumato - e ugualmente abbandonato - nel 1870). A Traiano si deve il completamento del canale di Fiumicino (la cosiddetta Fossa Traiana) iniziato da Claudio, funzionale alla navigabilità del fiume, ma anche a migliorare il deflusso delle acque verso il mare.
L'ultimo imperatore che dispose una pulizia radicale dell'alveo e un'arginatura del fiume fu Aureliano.
27 dicembre, 2011
PROMEMORIA 27 dicembre 1992 – Iniziano le trasmissioni sperimentali radiofoniche dell'ente radiotelevisivo di San Marino
Iniziano le trasmissioni sperimentali radiofoniche dell'ente radiotelevisivo di San Marino.
La Radiotelevisione della Repubblica di San Marino (anche SMtv San Marino, in acronimo SMtv) è la concessionaria pubblica del servizio radiotelevisivo statale della Repubblica di San Marino. È nata nell'agosto del 1991, con un capitale sociale sottoscritto al 50% da ERAS (Ente per la Radiodiffusione Sammarinese) e RAI - Radiotelevisione Italiana.
Ha sede al numero 13 di viale J. F. Kennedy a Città di San Marino e alcune sue strutture sono ospitate al Kursaal, considerato l'edificio più esclusivo della Repubblica.
Dal giugno 2008, il direttore generale è Carmen Lasorella, la prima donna alla guida dell'azienda radiotelevisiva del Titano.
La sperimentazione radiofonica inizia il 27 dicembre 1992, e il 25 ottobre 1993 nasce Radio San Marino RTV con una programmazione radiofonica che copre l'intera giornata.
La fase sperimentale televisiva inizia invece il 24 aprile 1993. Il 28 febbraio 1994 comincia la regolare programmazione, dalle 10 del mattino alle 2 di notte, con il lancio dei primi telegiornali.
Nel luglio del 1995 San Marino RTV entra a far parte dell’EBU - European Broadcasting Union, ovvero Unione delle Radio e Televisioni Europee.
Nel 2008 e nel 2011 la tv del Titano partecipa all'Eurovision Song Contest.
L'attività radiotelevisiva è regolata anche da un accordo tra Italia e San Marino, rinnovato periodicamente.
Dal 13 giugno 2011 San Marino RTV si rinnova profondamente: cambia denominazione in SMtv San Marino ed approda sul satellite su Hot Bird, sul canale 520 di Sky Italia e sul 73 di Tivù Sat.
La Radiotelevisione della Repubblica di San Marino (anche SMtv San Marino, in acronimo SMtv) è la concessionaria pubblica del servizio radiotelevisivo statale della Repubblica di San Marino. È nata nell'agosto del 1991, con un capitale sociale sottoscritto al 50% da ERAS (Ente per la Radiodiffusione Sammarinese) e RAI - Radiotelevisione Italiana.
Ha sede al numero 13 di viale J. F. Kennedy a Città di San Marino e alcune sue strutture sono ospitate al Kursaal, considerato l'edificio più esclusivo della Repubblica.
Dal giugno 2008, il direttore generale è Carmen Lasorella, la prima donna alla guida dell'azienda radiotelevisiva del Titano.
La sperimentazione radiofonica inizia il 27 dicembre 1992, e il 25 ottobre 1993 nasce Radio San Marino RTV con una programmazione radiofonica che copre l'intera giornata.
La fase sperimentale televisiva inizia invece il 24 aprile 1993. Il 28 febbraio 1994 comincia la regolare programmazione, dalle 10 del mattino alle 2 di notte, con il lancio dei primi telegiornali.
Nel luglio del 1995 San Marino RTV entra a far parte dell’EBU - European Broadcasting Union, ovvero Unione delle Radio e Televisioni Europee.
Nel 2008 e nel 2011 la tv del Titano partecipa all'Eurovision Song Contest.
L'attività radiotelevisiva è regolata anche da un accordo tra Italia e San Marino, rinnovato periodicamente.
Dal 13 giugno 2011 San Marino RTV si rinnova profondamente: cambia denominazione in SMtv San Marino ed approda sul satellite su Hot Bird, sul canale 520 di Sky Italia e sul 73 di Tivù Sat.
26 dicembre, 2011
PROMEMORIA 26 dicembre 1991 – Il Soviet Supremo scioglie formalmente l'URSS.
Il Soviet Supremo scioglie formalmente l'URSS.
Nell'agosto 1991 (fra il 19 ed il 21), l'Unione Sovietica si dissolse dopo un fallito colpo di stato, tentato da alcuni elementi dei vertici militari e dello Stato(Janaev,Jazov ed altri), che osteggiavano la direzione verso cui Gorbačëv stava guidando la nazione ed il nuovo patto federativo delle repubbliche sovietiche che doveva essere siglato dopo poche settimane. Forze politiche liberali e democratiche guidate da Boris Eltsin usarono il colpo di stato per mettere in un angolo Gorbačëv (che era formalmente impegnato contro gli ideali dello stalinismo), bandendo il Partito Comunista e spezzando l'Unione. L'8 dicembre 1991 i presidenti di Russia, Ucraina e Bielorussia firmarono a Belavezha il trattato che sanciva la dissoluzione dello Stato sovietico.
In seguito l'Unione Sovietica venne sciolta formalmente dal Soviet Supremo, il 26 dicembre 1991. Il giorno prima Gorbačëv aveva rassegnato le proprie dimissioni da presidente dell'URSS.
Già in precedenza, prima l'11 marzo 1990 la Lituania, e poi nel corso del 1991, dapprima furono le repubbliche baltiche occupate per quasi cinquant'anni dai sovietici e finalmente ora libere di autodeterminarsi, poi le altre repubbliche, avevano dichiarato la propria indipendenza:
Nell'agosto 1991 (fra il 19 ed il 21), l'Unione Sovietica si dissolse dopo un fallito colpo di stato, tentato da alcuni elementi dei vertici militari e dello Stato(Janaev,Jazov ed altri), che osteggiavano la direzione verso cui Gorbačëv stava guidando la nazione ed il nuovo patto federativo delle repubbliche sovietiche che doveva essere siglato dopo poche settimane. Forze politiche liberali e democratiche guidate da Boris Eltsin usarono il colpo di stato per mettere in un angolo Gorbačëv (che era formalmente impegnato contro gli ideali dello stalinismo), bandendo il Partito Comunista e spezzando l'Unione. L'8 dicembre 1991 i presidenti di Russia, Ucraina e Bielorussia firmarono a Belavezha il trattato che sanciva la dissoluzione dello Stato sovietico.
In seguito l'Unione Sovietica venne sciolta formalmente dal Soviet Supremo, il 26 dicembre 1991. Il giorno prima Gorbačëv aveva rassegnato le proprie dimissioni da presidente dell'URSS.
Già in precedenza, prima l'11 marzo 1990 la Lituania, e poi nel corso del 1991, dapprima furono le repubbliche baltiche occupate per quasi cinquant'anni dai sovietici e finalmente ora libere di autodeterminarsi, poi le altre repubbliche, avevano dichiarato la propria indipendenza:
24 dicembre, 2011
PROMEMORIA 24 dicembre 1979 - L'Unione Sovietica invade l'Afghanistan per appoggiare il governo filo-sovietico della nazione.
L'Unione Sovietica invade l'Afghanistan per appoggiare il governo filo-sovietico della nazione.
Tra la fine del 1977 e l'inizio del 1978 l'Afghanistan era stato teatro di diverse manifestazioni e sollevazioni di popolo, le quali erano volte a chiedere un miglioramento delle condizioni sociali e civili della popolazione afghana. Il livello della tensione salì nell'aprile del 1978, quando M.A. Haybar, uno dei principali dirigenti del Partito Democratico Popolare dell'Afghanistan (partito progressista emanazione della classe lavoratrice afghana), fu assassinato. A seguito di questa uccisione si intensificarono le misure repressive del governo guidato da Mohammed Daoud Khan, fino alla rivolta del 27 aprile 1978, quando il P.D.P.A. chiamò il popolo e i propri militanti all'insurrezione generale. Il sommovimento coinvolse per prima la capitale Kabul, ma ben presto si estese alle altre principali città del paese; la quasi totalità delle truppe dell'esercito si schierò a favore dei dimostranti, e la stessa cosa fecero gli studenti nelle città. Nelle campagne la rivoluzione fu invece accolta con indifferenza, se non con sospetto, dalla popolazione rurale. In pochi giorni, il governo rivoluzionario, guidato da Nur Mohammad Taraki, prese la guida del paese, dando vita alla Repubblica Democratica Afghana. Durante la rivoluzione, rimase ucciso lo stesso ex capo di governo Mohammed Daoud.
Il P.D.P.A., partito socialista filo-comunista, mise in atto un programma di governo socialista che prevedeva principalmente una riforma agraria che ridistribuiva le terre a 200mila famiglie contadine, ed anche l'abrogazione dell'ushur, ovvero la decima dovuta ai latifondisti dai braccianti. Inoltre fu abrogata l'usura, i prezzi dei beni primari furono calmierati, i servizi sociali statalizzati e garantiti a tutti, venne riconosciuto il diritto di voto alle donne e i sindacati legalizzati. Si svecchiò tutta la legislazione afghana col divieto dei matrimoni forzati, la sostituzione delle leggi tradizionali e religiose con altre laiche e marxiste e la messa al bando dei tribunali tribali. Gli uomini furono obbligati a tagliarsi la barba, le donne non potevano indossare il burqa, mentre le bambine poterono andare a scuola e non furono più oggetto di scambio economico nei matrimoni combinati.
Si avviò anche una campagna di alfabetizzazione e scolarizzazione di massa e nelle aree rurali vennero costruite scuole e cliniche mediche.
La laicizzazione forzata della società afgana portò ben presto ad uno scontro fra il regime del P.D.P.A. e le autorità religiose locali, le quali cominciarono ad incitare la jihad dei mujaheddin contro il regime dei comunisti atei senza Dio. In verità Taraki rifiutò sempre l'idea di definire il suo nuovo regime come "comunista", preferendo aggettivi come rivoluzionario e nazionalista. Gli stessi rapporti con l'Unione Sovietica si limitarono ad accordi di cooperazione commerciale per sostenere la modernizzazione delle infrastrutture economiche (in particolar modo le miniere di minerali rari e i giacimenti di gas naturale). L'U.R.S.S. inviò anche degli appaltatori per costruire strade, ospedali e scuole e per scavare pozzi d'acqua; inoltre addestrò ed equipaggiò l'esercito afghano. Il Governo rispose agli oppositori con un pesante intervento militare e arrestando, mandando in esilio ed eliminando molti Mujaheddin.
Nella nuova fase politica afghana intervennero anche gli Stati Uniti d'America. L'amministrazione Carter avvertì subito l'esigenza di sostenere gli oppositori di Taraki principalmente per tre motivi:
in funzione anticomunista per «dimostrare ai Paesi del Terzo Mondo che l'esito socialista della storia sostenuto dall'U.R.S.S. non è un dato oggettivo» (Dipartimento di Stato, agosto 1979);
per creare un nuovo alleato in una zona geopolitica che aveva visto nel gennaio 1979 gli U.S.A. perdere l'Iran con la rivoluzione khomeinista;
vincere la guerra fredda o quantomeno cancellare il ricordo della disfatta vietnamita del 1975.
Il 3 luglio 1979 Carter firmò la prima direttiva per l'organizzazione di aiuti bellici ed economici segreti ai Mujaheddin afghani. In pratica la C.I.A. avrebbe creato una rete internazionale coinvolgente tutti i Paesi arabi per rifornire i Mujaheddin di soldi, armi e volontari per la guerra. Base dell'operazione sarebbe stato il Pakistan, dove venivano così costruiti anche campi di addestramento e centri di reclutamento.
Buona parte dell'operazione fu finanziata col commercio clandestino di oppio afghano. A capo della guerriglia, su consiglio del Pakistan, fu posto Gulbuddin Hekmatyar, noto per la crudeltà con cui sfigurava (usando l'acido) le donne a suo dire non in linea coi precetti islamici. I mujaheddin afgani di Hekmatyar diventarono rapidamente una potente forza militare, distinguendosi in crudeltà con pratiche che prevedevano un lento scuoiamento vivo dei nemici e l'amputazione di dita, orecchi, naso e genitali.
In questo clima di ingerenza da parte del Governo americano, all'interno del P.D.P.A. e del Consiglio Rivoluzionario Afghano si polarizzarono due tendenze politiche: quella che faceva capo a Hafizullah Amin (area Khalq che spingeva per un cambiamento radicale della società afghana, senza alcun processo intermedio) e quella che faceva riferimento a Babrak Karmal (area Parcham) che invece propugnava una trasformazione più graduale, che partisse dall'arretratezza culturale ed economica del Paese, che il governo rivoluzionario aveva ereditato dopo secoli di feudalesimo e tribalismo. Lo scontro tra le due fazioni del partito fu molto aspro, tanto che dopo la morte del capo di governo Nur Mohammad Taraki, avvenuta in circostanze poco chiare e nella quale sembra evidente la responsabilità di Amin, quest'ultimo accentrerà su di se tutti i poteri e allontanerà dal paese i principali componenti del Parcham, riservandogli incarichi minori all'estero.
Intanto tra il marzo e aprile del 1979, le forze controrivoluzionarie dei mujaeheddin, armate da U.S.A. e Pakistan (avvenuto attraverso l'operazione Cyclone), avviarono l'attacco alla città di Herat, ma l'offensiva fu respinta dall'Esercito e dalle milizie popolari afghane. In ogni caso, dopo questi avvenimenti, al Governo rivoluzionario era chiaro che la lotta contro i mujaheddin e i loro alleati americano-pakistani, non sarebbe stato per nulla semplice. Per questo i capi rivoluzionari decisero di chiedere aiuto all'Unione Sovietica, facendo appello al Trattato Sovietico-Afghano di amicizia, buon vicinato e collaborazione (firmato nel 1921 e rinnovato nel 1955). È da sottolineare il fatto che l'U.R.S.S., pur solidarizzando immediatamente con l'Afghanistan attaccato, non scelse come opzione prioritaria l'intervento militare, ma cercò di appellarsi all'O.N.U. perché con i propri mezzi diplomatici intervenisse contro i gruppi fuorilegge di Mujaheddin. Solo dopo che l'O.N.U. non prese posizione e dopo che U.S.A. e Pakistan avevano già dato il loro placito assenso e sostegno alla controrivoluzione, l'U.R.S.S. decise di scendere in campo col proprio esercito, in favore della rivoluzione democratica afghana.
Nello stesso momento, l'impopolarità di Amin aumentava e con essa le rivolte islamiche ed il rischio di destabilizzazione del paese, che lui stesso aveva peraltro contribuito a creare con l'uccisione di Taraki e con l'esilio dei membri della parte avversa del P.D.P.A.. Lo stesso Amin venne inoltre sospettato da Mosca di avere contatti con la C.I.A..[1]
Il 27 dicembre 1979, 25 componenti del Gruppo Alfa, l'élite degli Specnaz, i reparti speciali sovietici, assalirono il palazzo presidenziale uccidendo Amin.[2] La guida del governo fu quindi presa da Karmal e dalla componente Parcham.
Il 1º gennaio 1980 50.000 soldati, 2.000 carri armati T-55 e 200 aerei varcarono la frontiera ed entrarono in Afghanistan. Gran parte del mondo protestò contro l'invasione, in particolare gli Stati Uniti; dopo aver annunciato un embargo, lo misero in atto tagliando tutte le forniture di grano e di tecnologie e nel 1980 boicottarono anche le XXII Olimpiadi che si tennero a Mosca.
Tra la fine del 1977 e l'inizio del 1978 l'Afghanistan era stato teatro di diverse manifestazioni e sollevazioni di popolo, le quali erano volte a chiedere un miglioramento delle condizioni sociali e civili della popolazione afghana. Il livello della tensione salì nell'aprile del 1978, quando M.A. Haybar, uno dei principali dirigenti del Partito Democratico Popolare dell'Afghanistan (partito progressista emanazione della classe lavoratrice afghana), fu assassinato. A seguito di questa uccisione si intensificarono le misure repressive del governo guidato da Mohammed Daoud Khan, fino alla rivolta del 27 aprile 1978, quando il P.D.P.A. chiamò il popolo e i propri militanti all'insurrezione generale. Il sommovimento coinvolse per prima la capitale Kabul, ma ben presto si estese alle altre principali città del paese; la quasi totalità delle truppe dell'esercito si schierò a favore dei dimostranti, e la stessa cosa fecero gli studenti nelle città. Nelle campagne la rivoluzione fu invece accolta con indifferenza, se non con sospetto, dalla popolazione rurale. In pochi giorni, il governo rivoluzionario, guidato da Nur Mohammad Taraki, prese la guida del paese, dando vita alla Repubblica Democratica Afghana. Durante la rivoluzione, rimase ucciso lo stesso ex capo di governo Mohammed Daoud.
Il P.D.P.A., partito socialista filo-comunista, mise in atto un programma di governo socialista che prevedeva principalmente una riforma agraria che ridistribuiva le terre a 200mila famiglie contadine, ed anche l'abrogazione dell'ushur, ovvero la decima dovuta ai latifondisti dai braccianti. Inoltre fu abrogata l'usura, i prezzi dei beni primari furono calmierati, i servizi sociali statalizzati e garantiti a tutti, venne riconosciuto il diritto di voto alle donne e i sindacati legalizzati. Si svecchiò tutta la legislazione afghana col divieto dei matrimoni forzati, la sostituzione delle leggi tradizionali e religiose con altre laiche e marxiste e la messa al bando dei tribunali tribali. Gli uomini furono obbligati a tagliarsi la barba, le donne non potevano indossare il burqa, mentre le bambine poterono andare a scuola e non furono più oggetto di scambio economico nei matrimoni combinati.
Si avviò anche una campagna di alfabetizzazione e scolarizzazione di massa e nelle aree rurali vennero costruite scuole e cliniche mediche.
La laicizzazione forzata della società afgana portò ben presto ad uno scontro fra il regime del P.D.P.A. e le autorità religiose locali, le quali cominciarono ad incitare la jihad dei mujaheddin contro il regime dei comunisti atei senza Dio. In verità Taraki rifiutò sempre l'idea di definire il suo nuovo regime come "comunista", preferendo aggettivi come rivoluzionario e nazionalista. Gli stessi rapporti con l'Unione Sovietica si limitarono ad accordi di cooperazione commerciale per sostenere la modernizzazione delle infrastrutture economiche (in particolar modo le miniere di minerali rari e i giacimenti di gas naturale). L'U.R.S.S. inviò anche degli appaltatori per costruire strade, ospedali e scuole e per scavare pozzi d'acqua; inoltre addestrò ed equipaggiò l'esercito afghano. Il Governo rispose agli oppositori con un pesante intervento militare e arrestando, mandando in esilio ed eliminando molti Mujaheddin.
Nella nuova fase politica afghana intervennero anche gli Stati Uniti d'America. L'amministrazione Carter avvertì subito l'esigenza di sostenere gli oppositori di Taraki principalmente per tre motivi:
in funzione anticomunista per «dimostrare ai Paesi del Terzo Mondo che l'esito socialista della storia sostenuto dall'U.R.S.S. non è un dato oggettivo» (Dipartimento di Stato, agosto 1979);
per creare un nuovo alleato in una zona geopolitica che aveva visto nel gennaio 1979 gli U.S.A. perdere l'Iran con la rivoluzione khomeinista;
vincere la guerra fredda o quantomeno cancellare il ricordo della disfatta vietnamita del 1975.
Il 3 luglio 1979 Carter firmò la prima direttiva per l'organizzazione di aiuti bellici ed economici segreti ai Mujaheddin afghani. In pratica la C.I.A. avrebbe creato una rete internazionale coinvolgente tutti i Paesi arabi per rifornire i Mujaheddin di soldi, armi e volontari per la guerra. Base dell'operazione sarebbe stato il Pakistan, dove venivano così costruiti anche campi di addestramento e centri di reclutamento.
Buona parte dell'operazione fu finanziata col commercio clandestino di oppio afghano. A capo della guerriglia, su consiglio del Pakistan, fu posto Gulbuddin Hekmatyar, noto per la crudeltà con cui sfigurava (usando l'acido) le donne a suo dire non in linea coi precetti islamici. I mujaheddin afgani di Hekmatyar diventarono rapidamente una potente forza militare, distinguendosi in crudeltà con pratiche che prevedevano un lento scuoiamento vivo dei nemici e l'amputazione di dita, orecchi, naso e genitali.
In questo clima di ingerenza da parte del Governo americano, all'interno del P.D.P.A. e del Consiglio Rivoluzionario Afghano si polarizzarono due tendenze politiche: quella che faceva capo a Hafizullah Amin (area Khalq che spingeva per un cambiamento radicale della società afghana, senza alcun processo intermedio) e quella che faceva riferimento a Babrak Karmal (area Parcham) che invece propugnava una trasformazione più graduale, che partisse dall'arretratezza culturale ed economica del Paese, che il governo rivoluzionario aveva ereditato dopo secoli di feudalesimo e tribalismo. Lo scontro tra le due fazioni del partito fu molto aspro, tanto che dopo la morte del capo di governo Nur Mohammad Taraki, avvenuta in circostanze poco chiare e nella quale sembra evidente la responsabilità di Amin, quest'ultimo accentrerà su di se tutti i poteri e allontanerà dal paese i principali componenti del Parcham, riservandogli incarichi minori all'estero.
Intanto tra il marzo e aprile del 1979, le forze controrivoluzionarie dei mujaeheddin, armate da U.S.A. e Pakistan (avvenuto attraverso l'operazione Cyclone), avviarono l'attacco alla città di Herat, ma l'offensiva fu respinta dall'Esercito e dalle milizie popolari afghane. In ogni caso, dopo questi avvenimenti, al Governo rivoluzionario era chiaro che la lotta contro i mujaheddin e i loro alleati americano-pakistani, non sarebbe stato per nulla semplice. Per questo i capi rivoluzionari decisero di chiedere aiuto all'Unione Sovietica, facendo appello al Trattato Sovietico-Afghano di amicizia, buon vicinato e collaborazione (firmato nel 1921 e rinnovato nel 1955). È da sottolineare il fatto che l'U.R.S.S., pur solidarizzando immediatamente con l'Afghanistan attaccato, non scelse come opzione prioritaria l'intervento militare, ma cercò di appellarsi all'O.N.U. perché con i propri mezzi diplomatici intervenisse contro i gruppi fuorilegge di Mujaheddin. Solo dopo che l'O.N.U. non prese posizione e dopo che U.S.A. e Pakistan avevano già dato il loro placito assenso e sostegno alla controrivoluzione, l'U.R.S.S. decise di scendere in campo col proprio esercito, in favore della rivoluzione democratica afghana.
Nello stesso momento, l'impopolarità di Amin aumentava e con essa le rivolte islamiche ed il rischio di destabilizzazione del paese, che lui stesso aveva peraltro contribuito a creare con l'uccisione di Taraki e con l'esilio dei membri della parte avversa del P.D.P.A.. Lo stesso Amin venne inoltre sospettato da Mosca di avere contatti con la C.I.A..[1]
Il 27 dicembre 1979, 25 componenti del Gruppo Alfa, l'élite degli Specnaz, i reparti speciali sovietici, assalirono il palazzo presidenziale uccidendo Amin.[2] La guida del governo fu quindi presa da Karmal e dalla componente Parcham.
Il 1º gennaio 1980 50.000 soldati, 2.000 carri armati T-55 e 200 aerei varcarono la frontiera ed entrarono in Afghanistan. Gran parte del mondo protestò contro l'invasione, in particolare gli Stati Uniti; dopo aver annunciato un embargo, lo misero in atto tagliando tutte le forniture di grano e di tecnologie e nel 1980 boicottarono anche le XXII Olimpiadi che si tennero a Mosca.
23 dicembre, 2011
Siglato il terzo Patto per Roma Sicura
Siglato il terzo Patto per Roma Sicura
Circa quattrocento uomini di rinforzo in più tra Polizia, Carabinieri e Guardia di Finanza. Finanziamenti per un totale di 2,7 milioni. È il terzo ‘Patto per Roma Sicura’ tra Ministero dell’Interno, Regione Lazio, Provincia di Roma, Roma Capitale e le Forze dell’Ordine.
Tra i punti qualificanti del terzo patto anche la nuova mappa del rischio, la rimodulazione dell’organizzazione territoriale delle forze dell’ordine e l’implementazione del contrasto dell’uso delle sostanze stupefacenti.
Entrano nel terzo patto, poi, anche una serie di protocolli fino ad oggi separati, a partire da quelli per contrastare le infiltrazioni della criminalità organizzata nelle attività produttive e negli appalti pubblici, quello contro usura e racket e quello sui beni sequestrati. Attenzione è poi dedicata al potenziamento della tecnologia.
“La Provincia – ha annunciato il presidente della Provincia di Roma Nicola Zingaretti – metterà a disposizione delle forze dell’ordine tutto il patrimonio immobiliare delle sue case cantoniere, che sono un patrimonio straordinario collocato spesso ai bordi delle Realtà urbane. Le case cantoniere hanno un valore commerciale magari non altissimo, ma sono molto importanti per la ricucitura del territorio. Per questo già dai primi giorni di gennaio forniremo l’elenco e lo stato dell’arte degli edifici per metterli a disposizione”.
“Questi patti – ha spiegato Zingaretti – sono importanti per due motivi: ci danno obiettivi comuni, evitando il rischio di una pianificazione isolata dando un segnale culturale molto importante di istituzioni diverse che collaborano, e permettono di affiancare allo straordinario lavoro delle forze dell’ordine anche un’azione amministrativa efficace. Rappresentano una chiara assunzione di responsabilità degli enti locali rispetto al tema della prevenzione e della lotta alla criminalità organizzata, alla mafia, alla camorra e all’usura, che trovano una reazione da parte di tutte le istituzioni con una cornice di impegno anche per il futuro”.
Il presidente Zingaretti ha poi aggiunto: “Sarà importante continuare ad aiutare, sostenere e mobilitare tutti i Comuni della prima cintura extraurbana di Roma, che ha subito una forte espulsione di residenzialità dalla Capitale ma non di servizi. Sono zone quindi molto fragili e dobbiamo cominciare un lavoro sistematico e aiutare queste amministrazioni, cominciando dall’ implementazione dei servizi tecnologici di controllo del territorio”.
Da parte sua l’assessore alla Sicurezza e Protezione civile della Provincia di Roma, Ezio Paluzzi - che ha preso parte in Prefettura alla firma Patto – ha dichiarato: “Si tratta di un Patto importante che garantirà una maggiore attenzione ai livelli di controllo dell'intero territorio di Roma e della sua provincia. Assicurando al tempo stesso elevati livelli di sicurezza anche grazie al rafforzamento previsto di 400 uomini che, nella ridistribuzione dei presidi delle Forze di polizia, consentirà un'ulteriore attività di controllo su tutto il territorio provinciale”.
PROMEMORIA 23 dicembre 1973 – Ritrovamento dei 16 superstiti del Disastro aereo delle Ande.
Ritrovamento dei 16 superstiti del Disastro aereo delle Ande.
Con l'espressione "disastro aereo delle Ande" ci si riferisce all'incidente aereo avvenuto sulla Cordigliera delle Ande il 13 ottobre 1972 e ai drammatici avvenimenti successivi fino al salvataggio dei sopravvissuti alla vigilia di Natale dello stesso anno; nell'incidente e nel periodo seguente persero la vita 29 persone mentre sopravvissero in 16.
Così l'aereo deviò di 90 gradi verso nord, ma le montagne non erano ancora state superate, e anzi l'aereo si diresse proprio contro quelle più alte che si distendevano a nord del passo.
Così, dopo essersi tuffato nelle nuvole mentre stava ancora sorvolando le montagne (zona successivamente identificata tra il Cerro Sosneado e il vulcano Tinguiririca), il Fokker incontrò una immane turbolenza che lo fece scendere improvvisamente di qualche centinaia di metri. A questo punto le nuvole si erano diradate e sia il pilota che i passeggeri si accorsero di volare in mezzo alle cime vicinissime delle Ande. Per rimediare all'errore, Lagurara spinse al massimo i motori e cercò di prendere quota, ma ormai era troppo tardi: alle 15.31, a circa 4200 metri di altitudine, l'aereo colpì la cima di una montagna con l'ala destra, che nell'urto si staccò e ruotando tagliò la coda del velivolo, all'altezza della cambusa; la coda quindi precipitò, portando con sé alcuni passeggeri, mentre l'elica del motore destro perforò la fusoliera. L'aereo, senza ala né coda, scese rapidamente di quota e colpì un altro spuntone roccioso perdendo anche l'ala sinistra, mentre la fusoliera continuava a precipitare, toccando infine terra di piatto su una ripida spianata nevosa, di pendenza simile alla sua traiettoria. L'aereo scivolò lungo il pendio per circa due chilometri, perdendo gradualmente velocità fino a fermarsi improvvisamente nella neve con un violento impatto. La coda terminò invece la sua corsa più in basso lungo lo stesso pendio.
Il Fokker si era fermato alla quota, successivamente verificata, di 3657 metri; tuttavia l'altimetro, sfasato dall'incidente, segnava invece un'altitudine di 2133 metri. Ciò fu determinante nello svolgimento degli avvenimenti successivi, insieme alle informazioni date dal pilota Lagurara prima di morire a causa delle ferite riportate nello schianto: le sue ultime parole, ripetute più volte, furono infatti: «abbiamo superato Curicò». Quindi, basandosi su queste due informazioni (posizione e quota), errate ma convergenti, i sopravvissuti credettero di trovarsi oltre la cresta della Cordigliera, nella zona pedemontana già in Cile. Si trovavano invece a est dello spartiacque andino, ancora in Argentina, e per la precisione nel territorio municipale di Malargüe (Dipartimento di Malargüe, Provincia di Mendoza). Di qui la speranza dei sopravvissuti di portare a termine con successo una spedizione verso ovest alla ricerca di aiuti.
22 dicembre, 2011
PROMEMORIA 22 dicembre 1956 – Istituito il Ministero delle Partecipazioni Statali soppresso dal referendum popolare del 15 aprile 1993
Istituito il Ministero delle Partecipazioni Statali soppresso dal referendum popolare del 15 aprile 1993
Il ministro (dal latino minister [minus] che significa servo, ovvero, servitore dello Stato per quel determinato ambito) è il capo del ministero ed è membro del corpo politico. Propone al Consiglio dei ministri la nomina dei dirigenti con funzioni generali, dirige l'azione amministrativa e adotta le decisioni di maggiore importanza.
Vi sono anche ministri detti senza portafoglio, perché questi dicasteri non hanno autonomia di spesa (ad esempio, il Ministro per i rapporti con il Parlamento).
A ogni ministro è affidato un singolo Ministero che deve occuparsi dei problemi relativi ad alcuni temi specifici (es: ministero della giustizia, della difesa, ecc.).
21 dicembre, 2011
PROMEMORIA 21 dicembre 1898 – Marie e Pierre Curie scoprono il radio
Marie e Pierre Curie scoprono il radio.
Pierre Curie (Parigi, 15 maggio 1859 – Parigi, 19 aprile 1906) è stato un fisico francese.
Dopo aver studiato alla facoltà di scienze di Sorbona, si laureò in fisica nel 1878. Divenne in questo modo professore di fisica e dottore in scienza. Nel 1885 divenne professore alla École supérieure de physique et de chimie industrielles de la ville de Paris. Nel 1900 divenne professore alla facoltà di fisica e nel 1904 ne divenne titolare. I suoi studi furono per gran parte incentrati sulla radioattività, fatti in collaborazione con la moglie Marie Curie, con cui si sposò nel 1895.
Insieme alla moglie Marie e ad Antoine Henri Becquerel,ricevettero il premio Nobel per la fisica nel 1903:
« in riconoscimento dei servizi straordinari che essi hanno reso nella loro ricerca sui fenomeni radioattivi »
Con la moglie descrisse i metodi di misura della radioattività e le ragioni per cui deve essere considerata una proprietà atomica (oggi diremmo nucleare) e non molecolare.
La radioattività del torio fu osservata in seguito dalla stessa Marie, mentre quelle di attinio e radon furono scoperte nel 1899 rispettivamente dal chimico francese André Louis Debierne (scopritore dell'attinio) e dai fisici inglesi Ernest Rutherford e Frederick Soddy.
Morì tragicamente investito da una carrozza il 19 aprile 1906.
Pierre Curie (Parigi, 15 maggio 1859 – Parigi, 19 aprile 1906) è stato un fisico francese.
Dopo aver studiato alla facoltà di scienze di Sorbona, si laureò in fisica nel 1878. Divenne in questo modo professore di fisica e dottore in scienza. Nel 1885 divenne professore alla École supérieure de physique et de chimie industrielles de la ville de Paris. Nel 1900 divenne professore alla facoltà di fisica e nel 1904 ne divenne titolare. I suoi studi furono per gran parte incentrati sulla radioattività, fatti in collaborazione con la moglie Marie Curie, con cui si sposò nel 1895.
Insieme alla moglie Marie e ad Antoine Henri Becquerel,ricevettero il premio Nobel per la fisica nel 1903:
« in riconoscimento dei servizi straordinari che essi hanno reso nella loro ricerca sui fenomeni radioattivi »
Con la moglie descrisse i metodi di misura della radioattività e le ragioni per cui deve essere considerata una proprietà atomica (oggi diremmo nucleare) e non molecolare.
La radioattività del torio fu osservata in seguito dalla stessa Marie, mentre quelle di attinio e radon furono scoperte nel 1899 rispettivamente dal chimico francese André Louis Debierne (scopritore dell'attinio) e dai fisici inglesi Ernest Rutherford e Frederick Soddy.
Morì tragicamente investito da una carrozza il 19 aprile 1906.
20 dicembre, 2011
Un anno di Palazzo Incontro
href="http://www.provincia.roma.it/sites/default/files/images/20111220PalazzoIncontro_prova2[14].preview.jpg">
Un anno di Palazzo Incontro
Dodici mesi di intensa attività culturale e di partecipati momenti di aggregazione: è un anno di Palazzo Incontro, lo spazio espositivo presente nel cuore della Capitale, in via dei Prefetti 22.
Per festeggiare il primo compleanno l’appuntamento è fissato per mercoledì 21 dicembre a partire dalle ore 18,00, proprio a Palazzo Incontro.
Palazzo Incontro, infatti - dopo i lavori di adeguamento e manutenzione realizzati da Civita e Fandango, in collaborazione con la Provincia di Roma - dal 7 dicembre 2010 ad oggi ha ospitato oltre ventimila visitatori, con centoottanta presentazioni di eventi ed esposizioni di varia natura.
La ristrutturazione del prestigioso stabile ha consentito, tra l’altro, di dare vita a Fandango Incontro - il Caffè letterario con annessa la libreria al piano terra - e al rinnovamento degli spazi espositivi nei due piani superiori.
In tal modo Palazzo Incontro ha consolidato il proprio ruolo di polo culturale della Capitale, per sostenere la condivisione tra esperienze, tradizioni ed identità di differente provenienza.
Un anno di Palazzo Incontro
Dodici mesi di intensa attività culturale e di partecipati momenti di aggregazione: è un anno di Palazzo Incontro, lo spazio espositivo presente nel cuore della Capitale, in via dei Prefetti 22.
Per festeggiare il primo compleanno l’appuntamento è fissato per mercoledì 21 dicembre a partire dalle ore 18,00, proprio a Palazzo Incontro.
Palazzo Incontro, infatti - dopo i lavori di adeguamento e manutenzione realizzati da Civita e Fandango, in collaborazione con la Provincia di Roma - dal 7 dicembre 2010 ad oggi ha ospitato oltre ventimila visitatori, con centoottanta presentazioni di eventi ed esposizioni di varia natura.
La ristrutturazione del prestigioso stabile ha consentito, tra l’altro, di dare vita a Fandango Incontro - il Caffè letterario con annessa la libreria al piano terra - e al rinnovamento degli spazi espositivi nei due piani superiori.
In tal modo Palazzo Incontro ha consolidato il proprio ruolo di polo culturale della Capitale, per sostenere la condivisione tra esperienze, tradizioni ed identità di differente provenienza.
Giovani per le Nazioni Unite dal 19 al 21 dicembre a Roma
Giovani per le Nazioni Unite dal 19 al 21 dicembre a Roma
Nell'ambito delle molteplici iniziative intraprese dalla Provincia di Roma per valorizzare i percorsi di formazione alla cittadinanza degli studenti delle scuole superiori, dal 19 al 21 dicembre 2011 si svolge a Roma, presso le sedi della FAO e della Provincia di Roma, la prima sessione del Model United Nations, organizzata dall'Amministrazione provinciale di Roma in collaborazione con la società Leonardo e l’associazione United Network.
La prima sessione plenaria del 19 dicembre sarà inaugurata dall’intervento del ministro Andrea Riccardi, Ministro per la Cooperazione Internazionale e l’Integrazione del governo italiano.
La tre giorni, dal 19 al 21 dicembre 2011, sarà così articolata:
• il primo giorno (19 dicembre 2011, dalle ore 14.00 alle ore 18.15) si terrà la giornata inaugurale presso la sede della FAO, alla presenza del Ministro della cooperazione Andrea Riccardi; gli studenti parteciperanno all’Assemblea plenaria di avvio del progetto per poi dividersi in sette commissioni di lavoro;
• il secondo giorno (20 dicembre 2011, dalle ore 10.00 alle ore 18.00) i ragazzi “invaderanno” i palazzi della Provincia - Palazzo Valentini e Palazzo Incontro - per continuare i lavori, suddividendosi nelle sette commissioni.
• il terzo giorno (21 dicembre 2011, dalle ore 13.00 alle ore 13.30) si svolgerà, presso la Sala Sinopoli dell’Auditorum della Musica di Roma, la giornata conclusiva in assemblea plenaria, nel corso della quale saranno presentati i report delle sette commissioni, saranno conferiti gli attestati di partecipazione e saranno premiati gli studenti vincitori del Model.
I Model United Nations sono delle simulazioni dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite che permettono ai ragazzi di approfondire i temi dell’agenda politica mondiale, le problematiche relative al funzionamento delle principali istituzioni internazionali e gli strumenti della cooperazione internazionale.
Il progetto - il cui svolgimento è articolato tra i mesi di ottobre 2011 e maggio 2012 – prevede la partecipazione degli studenti delle scuole superiori della provincia ed è articolato in ulteriori appuntameti ed in successivi momenti di confronto e approfondimento.
“Con convinzione e partecipazione – afferma il presidente della Provincia di roma Nicola Zingaretti – il nostro Ente ha deciso di aderire e promuovere il progetto dei Model United Nations. Intendiamo lavorare per fornire ai giovani la possibilità di conoscere e comprendere il mondo in cui ritroveranno a studiare, lavorare, vivere, competere”.
PROMEMORIA 20 dicembre 2006 – Muore Piergiorgio Welby in Italia, il primo vero caso pubblico di eutanasia nel paese
Muore Piergiorgio Welby in Italia, il primo vero caso pubblico di eutanasia nel paese.
Piergiorgio Welby (Roma, 26 dicembre 1945 – Roma, 20 dicembre 2006) è stato un politico, attivista, giornalista, poeta e pittore italiano, impegnato per il riconoscimento legale del diritto al rifiuto dell'accanimento terapeutico in Italia e per il diritto all'eutanasia, nonché co-presidente dell'Associazione Luca Coscioni. Militante del Partito Radicale, Welby balzò alle cronache negli ultimi anni di vita quando, gravemente ammalato, nei suoi scritti chiese ripetutamente che venissero interrotte le cure che lo tenevano in vita.
La morte
Lo stesso giorno, verso le ore 23.00, Piergiorgio Welby si è congedato dai parenti ed amici riuniti al suo capezzale, ha chiesto di ascoltare musica di Bob Dylan[17] e, secondo la sua volontà, è stato sedato e gli è stato staccato il respiratore. Verso le ore 23.45 è quindi spirato. Il dottor Mario Riccio, anestesista, ha confermato durante una conferenza stampa tenutasi il giorno successivo, di averlo aiutato a morire alla presenza della moglie Mina, della sorella Carla e dei compagni radicali dell'Associazione Luca Coscioni: Marco Pannella, Marco Cappato e Rita Bernardini.
Il 1 febbraio 2007 l'Ordine dei medici di Cremona ha riconosciuto che il dottor Mario Riccio ha agito nella piena legittimità del comportamento etico e professionale, chiudendo la procedura aperta nei suoi confronti. L'8 giugno 2007 il giudice per le indagini preliminari ha comunque imposto al pm l'imputazione del medico per omicidio del consenziente, respingendo la richiesta di archiviazione del caso, ma il 23 luglio 2007 il GUP di Roma, Zaira Secchi, lo ha definitivamente prosciolto ordinando il non luogo a procedere perché il fatto non costituisce reato.
Piergiorgio Welby (Roma, 26 dicembre 1945 – Roma, 20 dicembre 2006) è stato un politico, attivista, giornalista, poeta e pittore italiano, impegnato per il riconoscimento legale del diritto al rifiuto dell'accanimento terapeutico in Italia e per il diritto all'eutanasia, nonché co-presidente dell'Associazione Luca Coscioni. Militante del Partito Radicale, Welby balzò alle cronache negli ultimi anni di vita quando, gravemente ammalato, nei suoi scritti chiese ripetutamente che venissero interrotte le cure che lo tenevano in vita.
La morte
Lo stesso giorno, verso le ore 23.00, Piergiorgio Welby si è congedato dai parenti ed amici riuniti al suo capezzale, ha chiesto di ascoltare musica di Bob Dylan[17] e, secondo la sua volontà, è stato sedato e gli è stato staccato il respiratore. Verso le ore 23.45 è quindi spirato. Il dottor Mario Riccio, anestesista, ha confermato durante una conferenza stampa tenutasi il giorno successivo, di averlo aiutato a morire alla presenza della moglie Mina, della sorella Carla e dei compagni radicali dell'Associazione Luca Coscioni: Marco Pannella, Marco Cappato e Rita Bernardini.
Il 1 febbraio 2007 l'Ordine dei medici di Cremona ha riconosciuto che il dottor Mario Riccio ha agito nella piena legittimità del comportamento etico e professionale, chiudendo la procedura aperta nei suoi confronti. L'8 giugno 2007 il giudice per le indagini preliminari ha comunque imposto al pm l'imputazione del medico per omicidio del consenziente, respingendo la richiesta di archiviazione del caso, ma il 23 luglio 2007 il GUP di Roma, Zaira Secchi, lo ha definitivamente prosciolto ordinando il non luogo a procedere perché il fatto non costituisce reato.
19 dicembre, 2011
PROMEMORIA 19 dicembre 2005 – Viene inaugurata la ferrovia Roma-Napoli ad alta velocità.
Viene inaugurata la ferrovia Roma-Napoli ad alta velocità.
La ferrovia ad alta velocità Roma-Napoli è una linea ferroviaria ad Alta Velocità - Alta capacità (AV-AC), i cui lavori sono iniziati nel 1994.
La linea è parte dell'"Asse ferroviario 1" della Rete ferroviaria convenzionale trans-europea TEN-T.
L'appalto per la progettazione definitiva ed esecutiva e la realizzazione della linea fu assegnato nel 1991 da TAV S.p.A. al Consorzio IRICAV Uno (Consorzio IRI per l'Alta Velocità Uno) quale figura di "contraente generale". Il Consorzio, a sua volta, affidò l'opera in sub-appalto ad altre imprese, mantenendo però a sé la direzione e la supervisione generale.
I lavori, cominciati nell'aprile 1994 con l'apertura del primo cantiere in località Sgurgola, dovevano concludersi nell'aprile 1999 con l'affido della linea a RFI S.p.A. e il conseguente avvio delle attività di collaudo e di pre-esercizio da parte di quest'ultima (operazioni che avrebbero dovuto svolgersi fino a ottobre dello stesso anno). Tuttavia, una serie di eventi di varia natura hanno invece ingenerato un ritardo di diversi anni sulla tabella di marcia. Tra questi, possono essere citati:
ostacoli di natura burocratica, specialmente nelle aree metropolitane di Roma e Napoli dove i contenziosi amministrativi avviati da molti soggetti colpiti da espropri hanno avuto ripercussioni temporali notevoli;
numerosi ritrovamenti archeologici in corso d'opera, che hanno imposto continue consultazioni tra TAV S.p.A., enti locali e centrali e anche alcune variazioni progettuali (come un ponte in località Valmontone non previsto inizialmente);
difficoltà di ordine economico parallelamente al progressivo aumento dei costi, alle quali, tra il 2000 e il 2001, ha fatto seguito la fuoriuscita dei privati dalla compagine azionaria di TAV S.p.A. e quindi il venir meno dell'originario schema contrattuale di "project financing" che ha comportato il trasferimento dell'intero costo a carico dello Stato (lo schema originario prevedeva invece un contributo pubblico del 40% con il restante 60% a carico dei privati). Alla fine la linea costerà oltre il 100% in più dell'originaria cifra stimata;
problemi di natura giudiziaria per delle sospette infiltrazioni mafiose in alcuni sub-appalti, in seguito alle quali diverse imprese affidatarie sono state estromesse o si sono ritirate.
In seguito alle vicende sopracitate, la realizzazione della linea ebbe luogo in maniera incostante nei suoi vari lotti. Si crearono situazioni diversificate in cui, al raro rispetto dei tempi previsti (come per la galleria "Colli Albani", i cui scavi terminarono, come contrattualmente previsto, nel marzo 1997), si alternò il più frequente ritardo nella consegna delle varie opere. Ad ogni modo, alla fine del 2000 i lavori sulla sede fisica del tratto tra Lunghezza e Gricignano di Aversa (ancora privo però di armamento e degli impianti) erano stati completati. Il tracciato non era ancora connesso in alcun modo alla rete esistente e i lavori nel tratto terminale verso Napoli vennero fatti partire solo nel 2001. Per evitare ulteriori e più gravi ritardi, proprio nel 2001 fu stabilita una soluzione provvisoria e di compromesso che avrebbe dovuto portare la linea a essere completata entro la fine del 2003:
dal lato Roma, si scelse di consentire l'ingresso dei treni AV nella Capitale creando un raccordo temporaneo con la ferrovia Roma-Pescara in corrispondenza della stazione di La Rustica e sfruttandone il percorso urbano in comune con i treni locali sino alla stazione di Roma Termini, senza dunque dover attendere gli ulteriori anni necessari a portare a termine l'ingresso urbano indipendente dell'Alta Velocità (che era stato anch'esso cantierato con molto ritardo);
dal lato Napoli, si decise di realizzare, all'altezza di Gricignano di Aversa (alla progressiva chilometrica 195 in direzione sud), un'interconnessione con la ferrovia proveniente da Foggia che avrebbe avuto la funzione di instradare sugli ultimi chilometri di quest'ultima i treni AV diretti verso Napoli in attesa del completamento del futuro tratto terminale della linea.
Tali opzioni si sarebbero poi mostrate determinanti nel consentire l'avvio dell'esercizio commerciale della linea non più tardi di quattro anni dopo.
Sempre nel 2001, durante i mesi estivi, ebbe inizio la posa dell'armamento con rotaie di produzione austriaca eccezionalmente lunghe (106 metri a pezzo) al fine di ridurre il numero di saldature necessarie e garantire la maggior continuità possibile.
Nel 2002 incominciò l'attrezzaggio per l'alimentazione elettrica. Nel frattempo il notevole ritardo nella consegna dei lavori aveva offerto l'occasione per riconsiderare le caratteristiche del sistema di segnalamento. In ambito europeo, le principali industrie del settore erano impegnate da tempo (sotto la supervisione delle stesse istituzioni comunitarie) alla definizione di un sistema di gestione del traffico standard valevole per tutto il territorio dell'Unione europea. Tale sistema fu denominato "ERTMS" ("European Railway Traffic Management System"). RFI S.p.A. colse questa occasione per decidere di attrezzare tutte le sue future linee AV-AC (a partire proprio dalla costruenda Roma-Napoli che ne ha costituito la prima applicazione pratica a livello europeo[1]) con questa nuovissima tecnologia di segnalamento. Il progetto originario (risalente ai primi anni novanta) di un sistema di ripetizione dei segnali in cabina a 13 codici fu così del tutto abbandonato.
Su un altro fronte, per supplire al persistente "isolamento" della linea AV-AC dal resto della rete, si stabilì di utilizzare l'interconnessione di Anagni, peraltro non ancora alimentata elettricamente, per portare sulla linea AV-AC (attraverso l'utilizzo di motrici diesel D445) i treni di misurazione e quelli per le corse di prova.
Nell'autunno 2002 iniziarono così i primissimi test a bassa velocità sulla linea, usando a tal fine una motrice E402-B politensione al traino di alcune carrozze atte alla misurazione (armamento e alimentazione elettrica a 25 kV).
Nel dicembre 2003, fece per la prima volta il suo ingresso in linea un ETR 500, e precisamente il treno politensione n. 31 che si era già distinto in territorio nazionale per il record di 322 km/h stabilito nell'agosto del 2001 sulla Direttissima Firenze-Roma. Era anche la prima volta che questo treno entrava in una linea AV-AC a tutti gli effetti, oltre che rappresentare l'esordio mondiale assoluto della circolazione di un treno AV sotto la supervisione del nuovo sistema di sicurezza integrato computerizzato per la gestione e il controllo del distanziamento dei treni "ERTMS" (che opera totalmente via radio-GSM sostituendo i classici segnali luminosi lungo linea).
I test ebbero inizio ad andature moderate per poi essere eseguiti a velocità via via crescenti durante tutta la prima metà del 2004. In occasione di una di dette corse-prova, durante la quale si raggiunsero per la prima volta su questa linea i 200 km/h, furono invitati dei rappresentanti delle istituzioni comunitarie per constatare il funzionamento dell'"ERTMS" che, in prospettiva, dovrà consentire una maggiore interoperabilità fra i vari treni europei. Il 23 aprile 2004 (quasi in coincidenza con il decimo anniversario dell'avvio dei lavori) la linea vide invece infrangere per la prima volta i 300 km/h.
Durante la seconda metà del 2004 e quasi tutto il 2005 fu condotta, sempre con l'ETR 500 politensione n. 31 e con l'aggiunta dei n. 59 e 60, un'intensa campagna di test (nel corso dei quali, nell'autunno 2005, è stata raggiunta all'altezza del Posto di Movimento di Anagni, corrispondente alla progressiva chilometrica 61 in direzione sud, la velocità di 347 km/h) finalizzati a omologare la tratta ferroviaria per una velocità commerciale di 300 km/h.
Il 19 dicembre 2005 la linea venne aperta al pubblico con il summenzionato raccordo con la ferrovia regionale FR2 e con l'altrettanta già citata interconnessione di Gricignano di Aversa.
Quasi a rivalsa delle interminabili difficoltà che hanno reso arduo il suo completamento, nei primi due anni di esercizio la Roma-Napoli AV-AC ha attirato l'attenzione di numerose amministrazioni ferroviarie europee ed extra-europee, trattandosi della prima linea entrata in servizio al mondo completamente gestita dal nuovo sistema di segnalamento "ERTMS/ETCS di Livello 2" (il più alto attualmente disponibile e che ha un elevato livello di controllo automatico dei parametri).
L'esperienza accumulata con questo sistema grazie ai numerosi mesi di suo intenso collaudo è stata poi messa a disposizione di altre amministrazioni ferroviarie, quali, ad esempio, la francese Réseau Ferré de France, impegnata nella realizzazione della nuova linea veloce Parigi-Strasburgo (anche se su di essa l'"ERTMS" non opera in via esclusiva, come accade in tutta la rete AV-AC italiana, bensì affiancato al sistema nazionale TVM), oppure la spagnola Red Nacional de los Ferrocarriles Españoles, le cui delegazioni tecniche inviate sulla Roma-Napoli AV-AC hanno attinto a piene mani dalle conoscenze imbarcate da RFI S.p.A. al fine di risolvere una serie di problemi verificatisi sulla tratta Madrid-Lleida (dove la non piena funzionalità dell'"ERTMS/ETCS di Livello 2" conseguente ad alcune difettosità aveva imposto per mesi una velocità di esercizio commerciale limitata a 200 km/h).
Nell'ottobre 2006 è entrato in funzione il tratto (lungo circa 10 chilometri e prevalentemente sotterraneo) di penetrazione della linea AV-AC nella Capitale[2] mentre nell'estate 2009, nella zona Casal Bertone di Roma, è stato completato il raccordo con i binari provenienti dalla Direttissima Firenze-Roma.
L'orario invernale 2009 ha segnato l'avvio dell'esercizio commerciale del tronco terminale tra Gricignano di Aversa e Napoli dal 13 dicembre 2009, grazie al quale la linea collegherà le città di Roma e Napoli in un'ora e 5 minuti.
La ferrovia ad alta velocità Roma-Napoli è una linea ferroviaria ad Alta Velocità - Alta capacità (AV-AC), i cui lavori sono iniziati nel 1994.
La linea è parte dell'"Asse ferroviario 1" della Rete ferroviaria convenzionale trans-europea TEN-T.
L'appalto per la progettazione definitiva ed esecutiva e la realizzazione della linea fu assegnato nel 1991 da TAV S.p.A. al Consorzio IRICAV Uno (Consorzio IRI per l'Alta Velocità Uno) quale figura di "contraente generale". Il Consorzio, a sua volta, affidò l'opera in sub-appalto ad altre imprese, mantenendo però a sé la direzione e la supervisione generale.
I lavori, cominciati nell'aprile 1994 con l'apertura del primo cantiere in località Sgurgola, dovevano concludersi nell'aprile 1999 con l'affido della linea a RFI S.p.A. e il conseguente avvio delle attività di collaudo e di pre-esercizio da parte di quest'ultima (operazioni che avrebbero dovuto svolgersi fino a ottobre dello stesso anno). Tuttavia, una serie di eventi di varia natura hanno invece ingenerato un ritardo di diversi anni sulla tabella di marcia. Tra questi, possono essere citati:
ostacoli di natura burocratica, specialmente nelle aree metropolitane di Roma e Napoli dove i contenziosi amministrativi avviati da molti soggetti colpiti da espropri hanno avuto ripercussioni temporali notevoli;
numerosi ritrovamenti archeologici in corso d'opera, che hanno imposto continue consultazioni tra TAV S.p.A., enti locali e centrali e anche alcune variazioni progettuali (come un ponte in località Valmontone non previsto inizialmente);
difficoltà di ordine economico parallelamente al progressivo aumento dei costi, alle quali, tra il 2000 e il 2001, ha fatto seguito la fuoriuscita dei privati dalla compagine azionaria di TAV S.p.A. e quindi il venir meno dell'originario schema contrattuale di "project financing" che ha comportato il trasferimento dell'intero costo a carico dello Stato (lo schema originario prevedeva invece un contributo pubblico del 40% con il restante 60% a carico dei privati). Alla fine la linea costerà oltre il 100% in più dell'originaria cifra stimata;
problemi di natura giudiziaria per delle sospette infiltrazioni mafiose in alcuni sub-appalti, in seguito alle quali diverse imprese affidatarie sono state estromesse o si sono ritirate.
In seguito alle vicende sopracitate, la realizzazione della linea ebbe luogo in maniera incostante nei suoi vari lotti. Si crearono situazioni diversificate in cui, al raro rispetto dei tempi previsti (come per la galleria "Colli Albani", i cui scavi terminarono, come contrattualmente previsto, nel marzo 1997), si alternò il più frequente ritardo nella consegna delle varie opere. Ad ogni modo, alla fine del 2000 i lavori sulla sede fisica del tratto tra Lunghezza e Gricignano di Aversa (ancora privo però di armamento e degli impianti) erano stati completati. Il tracciato non era ancora connesso in alcun modo alla rete esistente e i lavori nel tratto terminale verso Napoli vennero fatti partire solo nel 2001. Per evitare ulteriori e più gravi ritardi, proprio nel 2001 fu stabilita una soluzione provvisoria e di compromesso che avrebbe dovuto portare la linea a essere completata entro la fine del 2003:
dal lato Roma, si scelse di consentire l'ingresso dei treni AV nella Capitale creando un raccordo temporaneo con la ferrovia Roma-Pescara in corrispondenza della stazione di La Rustica e sfruttandone il percorso urbano in comune con i treni locali sino alla stazione di Roma Termini, senza dunque dover attendere gli ulteriori anni necessari a portare a termine l'ingresso urbano indipendente dell'Alta Velocità (che era stato anch'esso cantierato con molto ritardo);
dal lato Napoli, si decise di realizzare, all'altezza di Gricignano di Aversa (alla progressiva chilometrica 195 in direzione sud), un'interconnessione con la ferrovia proveniente da Foggia che avrebbe avuto la funzione di instradare sugli ultimi chilometri di quest'ultima i treni AV diretti verso Napoli in attesa del completamento del futuro tratto terminale della linea.
Tali opzioni si sarebbero poi mostrate determinanti nel consentire l'avvio dell'esercizio commerciale della linea non più tardi di quattro anni dopo.
Sempre nel 2001, durante i mesi estivi, ebbe inizio la posa dell'armamento con rotaie di produzione austriaca eccezionalmente lunghe (106 metri a pezzo) al fine di ridurre il numero di saldature necessarie e garantire la maggior continuità possibile.
Nel 2002 incominciò l'attrezzaggio per l'alimentazione elettrica. Nel frattempo il notevole ritardo nella consegna dei lavori aveva offerto l'occasione per riconsiderare le caratteristiche del sistema di segnalamento. In ambito europeo, le principali industrie del settore erano impegnate da tempo (sotto la supervisione delle stesse istituzioni comunitarie) alla definizione di un sistema di gestione del traffico standard valevole per tutto il territorio dell'Unione europea. Tale sistema fu denominato "ERTMS" ("European Railway Traffic Management System"). RFI S.p.A. colse questa occasione per decidere di attrezzare tutte le sue future linee AV-AC (a partire proprio dalla costruenda Roma-Napoli che ne ha costituito la prima applicazione pratica a livello europeo[1]) con questa nuovissima tecnologia di segnalamento. Il progetto originario (risalente ai primi anni novanta) di un sistema di ripetizione dei segnali in cabina a 13 codici fu così del tutto abbandonato.
Su un altro fronte, per supplire al persistente "isolamento" della linea AV-AC dal resto della rete, si stabilì di utilizzare l'interconnessione di Anagni, peraltro non ancora alimentata elettricamente, per portare sulla linea AV-AC (attraverso l'utilizzo di motrici diesel D445) i treni di misurazione e quelli per le corse di prova.
Nell'autunno 2002 iniziarono così i primissimi test a bassa velocità sulla linea, usando a tal fine una motrice E402-B politensione al traino di alcune carrozze atte alla misurazione (armamento e alimentazione elettrica a 25 kV).
Nel dicembre 2003, fece per la prima volta il suo ingresso in linea un ETR 500, e precisamente il treno politensione n. 31 che si era già distinto in territorio nazionale per il record di 322 km/h stabilito nell'agosto del 2001 sulla Direttissima Firenze-Roma. Era anche la prima volta che questo treno entrava in una linea AV-AC a tutti gli effetti, oltre che rappresentare l'esordio mondiale assoluto della circolazione di un treno AV sotto la supervisione del nuovo sistema di sicurezza integrato computerizzato per la gestione e il controllo del distanziamento dei treni "ERTMS" (che opera totalmente via radio-GSM sostituendo i classici segnali luminosi lungo linea).
I test ebbero inizio ad andature moderate per poi essere eseguiti a velocità via via crescenti durante tutta la prima metà del 2004. In occasione di una di dette corse-prova, durante la quale si raggiunsero per la prima volta su questa linea i 200 km/h, furono invitati dei rappresentanti delle istituzioni comunitarie per constatare il funzionamento dell'"ERTMS" che, in prospettiva, dovrà consentire una maggiore interoperabilità fra i vari treni europei. Il 23 aprile 2004 (quasi in coincidenza con il decimo anniversario dell'avvio dei lavori) la linea vide invece infrangere per la prima volta i 300 km/h.
Durante la seconda metà del 2004 e quasi tutto il 2005 fu condotta, sempre con l'ETR 500 politensione n. 31 e con l'aggiunta dei n. 59 e 60, un'intensa campagna di test (nel corso dei quali, nell'autunno 2005, è stata raggiunta all'altezza del Posto di Movimento di Anagni, corrispondente alla progressiva chilometrica 61 in direzione sud, la velocità di 347 km/h) finalizzati a omologare la tratta ferroviaria per una velocità commerciale di 300 km/h.
Il 19 dicembre 2005 la linea venne aperta al pubblico con il summenzionato raccordo con la ferrovia regionale FR2 e con l'altrettanta già citata interconnessione di Gricignano di Aversa.
Quasi a rivalsa delle interminabili difficoltà che hanno reso arduo il suo completamento, nei primi due anni di esercizio la Roma-Napoli AV-AC ha attirato l'attenzione di numerose amministrazioni ferroviarie europee ed extra-europee, trattandosi della prima linea entrata in servizio al mondo completamente gestita dal nuovo sistema di segnalamento "ERTMS/ETCS di Livello 2" (il più alto attualmente disponibile e che ha un elevato livello di controllo automatico dei parametri).
L'esperienza accumulata con questo sistema grazie ai numerosi mesi di suo intenso collaudo è stata poi messa a disposizione di altre amministrazioni ferroviarie, quali, ad esempio, la francese Réseau Ferré de France, impegnata nella realizzazione della nuova linea veloce Parigi-Strasburgo (anche se su di essa l'"ERTMS" non opera in via esclusiva, come accade in tutta la rete AV-AC italiana, bensì affiancato al sistema nazionale TVM), oppure la spagnola Red Nacional de los Ferrocarriles Españoles, le cui delegazioni tecniche inviate sulla Roma-Napoli AV-AC hanno attinto a piene mani dalle conoscenze imbarcate da RFI S.p.A. al fine di risolvere una serie di problemi verificatisi sulla tratta Madrid-Lleida (dove la non piena funzionalità dell'"ERTMS/ETCS di Livello 2" conseguente ad alcune difettosità aveva imposto per mesi una velocità di esercizio commerciale limitata a 200 km/h).
Nell'ottobre 2006 è entrato in funzione il tratto (lungo circa 10 chilometri e prevalentemente sotterraneo) di penetrazione della linea AV-AC nella Capitale[2] mentre nell'estate 2009, nella zona Casal Bertone di Roma, è stato completato il raccordo con i binari provenienti dalla Direttissima Firenze-Roma.
L'orario invernale 2009 ha segnato l'avvio dell'esercizio commerciale del tronco terminale tra Gricignano di Aversa e Napoli dal 13 dicembre 2009, grazie al quale la linea collegherà le città di Roma e Napoli in un'ora e 5 minuti.
18 dicembre, 2011
Raccolta differenziata dei rifiuti: cresce il “porta a porta”
Raccolta differenziata dei rifiuti: cresce il “porta a porta”
Quasi un milione di persone. Per l’esattezza sono 925.000 i cittadini del territorio provinciale romano coinvolti nella raccolta differenziata “porta e porta” , per una vera e propria rivoluzione ecologica.
Dal 2008 ad oggi la Provincia di Roma ha finanziato progetti in materia di raccolta differenziata porta a porta per sessantanove Comuni dell’hinterland capitolino.
Questi risultati sono stati raggiunti grazie ad un notevole investimento, pari a 27,1 milioni di euro, in modo da raggiungere - come appena detto – ben 69 territori comunali (escluso quello di Roma non rientrante nelle competenze dell’Amministrazione provinciale).
Sono stati anche finanziati progetti per il porta a porta che saranno avviati a breve in 13 Comuni, per un contributo di 2,9 milioni di euro e con 1,5 milioni saranno realizzati anche nove ecocentri, in aggiunta a quelli già realizzati, arrivando così a 44 centri di raccolta per un totale di 6,4 milioni di euro di investimento.
“Per noi le chiacchiere – ha affermato il presidente della Provincia di Roma Nicola Zingaretti – stanno a zero e l’unico modo di evitare il disastro ecologico é modernizzare il ciclo dei rifiuti e fare ognuno il proprio dovere. Possiamo dire che in due anni e mezzo la Provincia di Roma ha portato avanti un lavoro sui suoi Comuni di competenza che ha fatto registrare la più grande rivoluzione ecologica in Italia per numero di abitanti coinvolti”.
“Il nostro obiettivo – ha aggiunto Zingaretti – era di arrivare a un milione di cittadini nel quinquennio e siamo vicinissimi a raggiungere questo nostro obiettivo strategico. Siamo molto contenti perché abbiamo vinto una sfida che sembrava impossibile, le cose possono cambiare basta crederci”.
“Nel 2012 – ha poi detto Zingaretti – metteremo in campo una campagna di comunicazione per far diventare i cittadini soggetto dell’azione amministrativa”.
Nel progetto è coinvolto anche il geologo Mario Tozzi.
A tal proposito Tozzi ha sottolineato: “Una campagna che vuole portare a ridurre sensibilmente i rifiuti, spazzando via i luoghi comuni. Per fare questo ci vuole un coinvolgimento più attivo dei cittadini”.
L’assessore provinciale all’Ambiente Michele Civita ha dichiarato:”Aver raggiunto quasi un milione di persone rappresenta un risultato inatteso e unico in Italia”.
Il presidente Zingaretti ha, infine, aggiunto che nei primi mesi del prossimo anno farà un tour delle capitali europee per analizzare le migliori pratiche riguardanti la gestione dei rifiuti ed il riciclo in Europa.
PROMEMORIA 18 dicembre 2007 – L'Assemblea Generale delle Nazioni Unite approva la moratoria universale della pena di morte
L'Assemblea Generale delle Nazioni Unite approva la moratoria universale della pena di morte con 104 voti a favore, 54 contrari e 29 astenuti.
La campagna per una moratoria universale della pena di morte[1] è una proposta di sospendere l'applicazione della pena di morte in tutti i paesi appartenenti all'Organizzazione delle Nazioni Unite. È stata ratificata dall'Assemblea generale con 104 voti a favore, 54 contrari e 29 astenuti il 18 dicembre 2007.
Moratoria e abolizione
La differenza fra moratoria ed abolizione è che nel primo caso gli stati sospendono l'applicazione della pena di morte, pur mantenendola nei propri istituti giuridici (potendo pertanto tornare ad applicarla in futuro senza modifiche legislative), mentre nel secondo caso tale pena verrebbe totalmente depennata dalle legislazioni nazionali.
Nonostante i promotori della moratoria vogliano arrivare all'abolizione, la via della moratoria (meno limitante per la sovranità dei singoli stati) è stata scelta per convincere anche i paesi indecisi.
Storia
I principali promotori della moratoria sono l'associazione Nessuno Tocchi Caino e il Partito Radicale Transnazionale e, in misura minore, Amnesty International, e la Comunità di Sant'Egidio.
La prima proposta di risoluzione per una moratoria fu presentata, su iniziativa di Nessuno Tocchi Caino, all'Assemblea Generale dell'ONU dall'Italia, nel 1994, durante il primo governo Berlusconi[2]. Tale proposta non venne accolta per otto voti.
Dal 1997 su iniziativa italiana la Commissione dell'ONU per i Diritti Umani ha approvato ogni anno una risoluzione che chiede "una moratoria delle esecuzioni capitali, in vista della completa abolizione della pena di morte". Tali decisioni della commissione non sono mai però state confermate dall'assemblea generale.
Nel 1999 tutta l'Unione Europea si unì alla posizione italiana, e in quello stesso anno Amnesty International aggiunse gli Stati Uniti d'America alla propria lista di paesi in violazione dei diritti umani. Gli Stati Uniti rifiutarono le accuse, citando la Cina come un violatore ancora maggiore.
Il 12 dicembre 1999, con l'inizio del Giubileo del 2000, anche Papa Giovanni Paolo II ribadì il proprio appoggio alla moratoria. Per tutto il periodo del giubileo le luci del Colosseo rimasero accese.
Il 17 dicembre 2000 Mario Marazziti, portavoce della Comunità di Sant'Egidio, ha presentato all'allora Segretario Generale delle Nazioni Unite Kofi Annan una petizione firmata da 3,2 milioni di persone. I firmatari, provenienti da 145 nazioni diverse, includevano personalità come Elie Wiesel, il Dalai Lama, il reverendo George Carey (all'epoca Arcivescovo di Canterbury), Vaclav Havel (allora presidente della Repubblica Ceca), Abdurrahman Wahid (all'epoca presidente dell'Indonesia), ed alti esponenti del Vaticano. Alla raccolta di firme aveva partecipato anche Amnesty International e la campagna "Moratorium 2000", guidata da suor Helen Prejean, l'autrice di Condannato a morte.
Nel 2007 il Governo Prodi II ha riproposto la mozione, dopo che il Parlamento Europeo l'aveva nuovamente sostenuta.
Il 15 novembre 2007 la Terza commissione dell'Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha approvato con 99 voti favorevoli, 52 contrari e 33 astenuti la risoluzione per la moratoria universale sulla pena di morte, proposta dall'Italia.
Il 18 dicembre 2007 l'Assemblea Generale delle Nazioni unite ha ratificato, 104 voti a favore, 54 contrari e 29 astenuti, la moratoria approvata dalla commissione.
La campagna per una moratoria universale della pena di morte[1] è una proposta di sospendere l'applicazione della pena di morte in tutti i paesi appartenenti all'Organizzazione delle Nazioni Unite. È stata ratificata dall'Assemblea generale con 104 voti a favore, 54 contrari e 29 astenuti il 18 dicembre 2007.
Moratoria e abolizione
La differenza fra moratoria ed abolizione è che nel primo caso gli stati sospendono l'applicazione della pena di morte, pur mantenendola nei propri istituti giuridici (potendo pertanto tornare ad applicarla in futuro senza modifiche legislative), mentre nel secondo caso tale pena verrebbe totalmente depennata dalle legislazioni nazionali.
Nonostante i promotori della moratoria vogliano arrivare all'abolizione, la via della moratoria (meno limitante per la sovranità dei singoli stati) è stata scelta per convincere anche i paesi indecisi.
Storia
I principali promotori della moratoria sono l'associazione Nessuno Tocchi Caino e il Partito Radicale Transnazionale e, in misura minore, Amnesty International, e la Comunità di Sant'Egidio.
La prima proposta di risoluzione per una moratoria fu presentata, su iniziativa di Nessuno Tocchi Caino, all'Assemblea Generale dell'ONU dall'Italia, nel 1994, durante il primo governo Berlusconi[2]. Tale proposta non venne accolta per otto voti.
Dal 1997 su iniziativa italiana la Commissione dell'ONU per i Diritti Umani ha approvato ogni anno una risoluzione che chiede "una moratoria delle esecuzioni capitali, in vista della completa abolizione della pena di morte". Tali decisioni della commissione non sono mai però state confermate dall'assemblea generale.
Nel 1999 tutta l'Unione Europea si unì alla posizione italiana, e in quello stesso anno Amnesty International aggiunse gli Stati Uniti d'America alla propria lista di paesi in violazione dei diritti umani. Gli Stati Uniti rifiutarono le accuse, citando la Cina come un violatore ancora maggiore.
Il 12 dicembre 1999, con l'inizio del Giubileo del 2000, anche Papa Giovanni Paolo II ribadì il proprio appoggio alla moratoria. Per tutto il periodo del giubileo le luci del Colosseo rimasero accese.
Il 17 dicembre 2000 Mario Marazziti, portavoce della Comunità di Sant'Egidio, ha presentato all'allora Segretario Generale delle Nazioni Unite Kofi Annan una petizione firmata da 3,2 milioni di persone. I firmatari, provenienti da 145 nazioni diverse, includevano personalità come Elie Wiesel, il Dalai Lama, il reverendo George Carey (all'epoca Arcivescovo di Canterbury), Vaclav Havel (allora presidente della Repubblica Ceca), Abdurrahman Wahid (all'epoca presidente dell'Indonesia), ed alti esponenti del Vaticano. Alla raccolta di firme aveva partecipato anche Amnesty International e la campagna "Moratorium 2000", guidata da suor Helen Prejean, l'autrice di Condannato a morte.
Nel 2007 il Governo Prodi II ha riproposto la mozione, dopo che il Parlamento Europeo l'aveva nuovamente sostenuta.
Il 15 novembre 2007 la Terza commissione dell'Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha approvato con 99 voti favorevoli, 52 contrari e 33 astenuti la risoluzione per la moratoria universale sulla pena di morte, proposta dall'Italia.
Il 18 dicembre 2007 l'Assemblea Generale delle Nazioni unite ha ratificato, 104 voti a favore, 54 contrari e 29 astenuti, la moratoria approvata dalla commissione.
17 dicembre, 2011
Prevenzione malattie del cuore: parte campagna di prevenzione della Provincia e del Centro per la Lotta contro l'Infarto
Prevenzione malattie del cuore: parte campagna di prevenzione della Provincia e del Centro per la Lotta contro l'Infarto
È stata presentata questa mattina nella Sala della Pace di Palazzo Valentini la Campagna “Se ami il tuo cuore, ti ricambierà” per informare, sensibilizzare ed educare alla prevenzione dell’infarto e delle malattie cardiovascolari promossa dalla Provincia di Roma e dalla Fondazione Onlus Centro per la Lotta contro l’Infarto (CLI).
Alla presentazione, moderata da Luciano Onder, hanno partecipato Claudio Cecchini, Assessore provinciale alle Politiche Sociali e per la Famiglia, Francesco Prati, Presidente del Centro per la Lotta contro l’Infarto, Gian Luigi Bracciale, Direttore Generale dell’Azienda Ospedaliera San Giovanni Addolorata di Roma e il Direttore Sanitario della stessa struttura, Gerardo Corea.
La collaborazione tra la Provincia di Roma e il CLI prevede la produzione di una serie di materiali - cartelline, brochure, locandine e due tipi di opuscoli mirati alla diffusione tra i ragazzi e tra gli adulti - che dopo le festività natalizie saranno distribuiti nelle 353 scuole medie superiori e nei 383 centri anziani di Roma e Provincia.
A seguito della campagna di informazione sarà possibile attivare una serie di incontri nelle scuole e nei centri anziani, prima dell’estate, per approfondire l’argomento.
Le malattie cardiovascolari sono ancora oggi la principale causa di morte nel nostro paese, essendo responsabili del 44% di tutti i decessi. Chi sopravvive a un attacco cardiaco diventa un malato cronico. In Italia sono affetti da invalidità cardiovascolare il 4,4 per mille dei cittadini (dati Istat). Il 23,5% della spesa farmaceutica italiana (pari all'1,34 del prodotto interno lordo), è destinata a farmaci per il sistema cardiovascolare (Relazione sullo Stato Sanitario del Paese, 2000).
I tassi di incidenza dell'infarto sono molto simili a Napoli e in Friuli Venezia Giulia, sia per gli uomini sia per le donne. In Italia, nella fascia di età tra i 35 e i 74 anni, sono colpiti da infarto l’1,5% degli uomini e lo 0,4% delle donne, mentre l’ictus colpisce l’1,1% degli uomini e lo 0,8% delle donne.
“Abbiamo deciso di sostenere questa campagna del Centro per la Lotta contro l’Infarto perché siamo rimasti colpiti dall’efficacia della proposta, e perché possiamo fare molto per diffondere il messaggio nelle scuole superiori e nei centri anziani del nostro territorio - afferma Claudio Cecchini, Assessore alle Politiche sociali e per la Famiglia della Provincia di Roma -. Credo che sia un dovere delle istituzioni, oltre che sostenere la ricerca, anche sensibilizzare e promuovere gli stili di vita più corretti. E’ ormai dimostrato che, anche nella lotta all’infarto e alle malattie cardiovascolari, essere consapevoli ed evitare fin da giovani i fattori di rischio è un passo fondamentale di prevenzione, e vogliamo fare la nostra parte per diffondere questo messaggio”.
“L’infarto – ha spiegato Francesco Prati, Presidente del Centro per la Lotta contro l’Infarto – è la principale causa di morte nei Paesi occidentali e la prima emergenza sanitaria in Italia; è per questo che la nostra Fondazione è da sempre impegnata in una robusta attività di ricerca per far avanzare la conoscenza scientifica sulle patologie cardiovascolari. Ma non ci limitiamo solo a questo: la nostra attenzione è rivolta anche alla divulgazione e all’educazione sanitaria. Siamo convinti, infatti, che solo attraverso la conoscenza e una cultura di prevenzione si può veramente combattere l’infarto. Con la campagna “Se ami il tuo cuore, ti ricambierà” ci rivolgiamo in primo luogo ai giovani, che rappresentano il futuro della nostra società, per incoraggiare la consapevolezza che adottare uno stile di vita sano nell’adolescenza significhi allontanare lo spettro delle malattie cardiovascolari nell’età adulta. Sono proprio le persone anziane le più colpite da queste patologie; ecco perché la nostra campagna coinvolgerà anche loro”.
Per ulteriori informazioni www.centrolottainfarto.it
PROMEMORIA 17 dicembre 1903 – Primo volo a motore dei fratelli Wright
Primo volo a motore dei fratelli Wright
Wilbur Wright (Millville, 16 aprile 1867 – Dayton, 30 maggio 1912) e Orville Wright (Dayton, 19 agosto 1871 – Dayton, 30 gennaio 1948) , spesso citati collettivamente come fratelli Wright, furono due ingegneri e inventori statunitensi, annoverati tra i più importanti aviatori dell'epoca pionieristica. Essi sono in generale considerati i primi ad aver fatto volare con successo una macchina motorizzata più pesante dell'aria con un pilota a bordo, essendo riusciti a far alzare dal suolo il loro Flyer per quattro volte, in modo duraturo e sostanzialmente controllato, il 17 dicembre 1903.
Sull'appartenenza di questo primato sussistono notevoli controversie; è invece in generale accettato che, specialmente negli anni tra il 1905 e il 1908, grazie a velivoli come il Flyer III e il Model A, i Wright furono i primi ad acquisire un'effettiva padronanza dell'aria
Wilbur Wright (Millville, 16 aprile 1867 – Dayton, 30 maggio 1912) e Orville Wright (Dayton, 19 agosto 1871 – Dayton, 30 gennaio 1948) , spesso citati collettivamente come fratelli Wright, furono due ingegneri e inventori statunitensi, annoverati tra i più importanti aviatori dell'epoca pionieristica. Essi sono in generale considerati i primi ad aver fatto volare con successo una macchina motorizzata più pesante dell'aria con un pilota a bordo, essendo riusciti a far alzare dal suolo il loro Flyer per quattro volte, in modo duraturo e sostanzialmente controllato, il 17 dicembre 1903.
Sull'appartenenza di questo primato sussistono notevoli controversie; è invece in generale accettato che, specialmente negli anni tra il 1905 e il 1908, grazie a velivoli come il Flyer III e il Model A, i Wright furono i primi ad acquisire un'effettiva padronanza dell'aria
16 dicembre, 2011
Sport e integrazione sociale: al via mostra a Palazzo Incontro
Sport e integrazione sociale: al via mostra a Palazzo Incontro
Oggi, venerdì 16 dicembre, alle ore 19.00, a Palazzo Incontro (Roma, Via dei Prefetti 22) si inaugura la mostra fotografica dal titolo “L’importante è … vincere”.
L’esposizione è stata promossa dall'Amministrazione provinciale di Roma, nell’ambito del Progetto ABC-Arte Bellezza e Cultura, in collaborazione con Civita.
Tanti scatti in mostra per raccontare la lotta per la vittoria, l’emozione del traguardo: aspettando Londra 2012 con i grandi campioni dello sport.
Le fotografie della mostra, tratte dall’archivio Reuters, saranno vendute all’asta al termine del periodo espositivo. Il ricavato sarà devoluto a “Sport senza Frontiere” Onlus, che porta avanti progetti sullo sport e l’integrazione sociale (www.sportsenzafrontiere.it).
PROMEMORIA 16 dicembre 1942 Heinrich Himmler ordina che anche gli zingari vengano condotti nei campi di concentramento nazisti
Heinrich Himmler ordina che anche gli zingari vengano condotti nei campi di concentramento nazisti.
Il nome di Himmler è comunque indissolubilmente legato alla "Soluzione finale": egli delegò prima il suo braccio destro Reinhard Heydrich e, in seguito, Adolf Eichmann a portare avanti il programma di sterminio degli Untermenschen ovvero degli "inferiori" rispetto alla razza ariana.
Fu la guerra contro l'Unione Sovietica ad offrire le condizioni per procedere all'esecuzione di una vera e propria campagna di annientamento: per questo vennero costituite unità speciali, le famigerate Einsatzgruppen, per procedere all'eliminazione di tutti gli ebrei, i funzionari comunisti e gli zingari nelle retrovie del fronte.
Himmler comunque si preoccupò anche della "salute mentale" dei propri uomini che operavano in queste "missioni": difatti uno dei problemi più complessi da risolvere fu individuato nel riuscire a procedere all'eliminazione di grandi masse di persone, come in occasione delle fucilazioni di massa a Babi Yar, in Ucraina, senza che agli esecutori ne derivassero danni psichici o rimorsi di coscienza. La "soluzione" di Himmler, per l'omicidio "pulito e corretto", venne comunicata ai Gruppenführer nel famoso discorso di Posen del 4 ottobre 1943:
« Non ne dibatteremo mai in pubblico, però è venuto il momento di parlare molto francamente fra di noi. Mi riferisco all'evacuazione degli ebrei, allo sterminio del popolo ebraico. È uno di quei principi che è facile enunciare: "Il popolo ebraico va eliminato", dice ogni membro del partito, "ed è ovvio che così sia perché così è scritto nel nostro programma. Bisogna togliere di mezzo gli ebrei, farli fuori, ma certo!" Poi però vengono tutti, uno per uno, i nostri cari ottanta milioni di tedeschi e ognuno di loro ha il suo bravo ebreo da proteggere. Sì, è vero, tutti gli altri sono porci, tuttavia questo ebreo in particolare rappresenta un'eccezione [...] ma non uno di quelli che parlano così ha mai assistito a ciò che poi di fatto succede, non uno che abbia dovuto superare questa prova. I più di voi sanno cosa significa trovarsi davanti a cento cadaveri, a cinquecento o a mille. Aver provveduto a tutto questo e, a parte le eccezioni costituite da alcuni episodi di umana debolezza, essere rimasti ugualmente corretti: ecco cosa ci ha resi duri. »
Alla fine la soluzione venne trovata nell'istituzione dei campi di concentramento. Il primo lager venne costruito già nel 1933, subito dopo la vittoria alle elezioni del Partito nazista, a Dachau, vicino Monaco di Baviera, per internare gli avversari politici.
All'inizio della Seconda guerra mondiale, nei sei grandi campi di concentramento allora già esistenti, erano rinchiusi circa 21.000 detenuti; ma nel 1940 questo numero era già salito a 800.000.
Dopo i campi di concentramento l'istituzione dei campi di sterminio fu solo una conseguenza: Auschwitz, Sobibór, Chełmno, Majdanek, Treblinka, Bełżec, tutti istituti nel Governatorato Generale (il nome assunto dalla Polonia occupata) perché la popolazione tedesca non si accorgesse di nulla.
Il nome di Himmler è comunque indissolubilmente legato alla "Soluzione finale": egli delegò prima il suo braccio destro Reinhard Heydrich e, in seguito, Adolf Eichmann a portare avanti il programma di sterminio degli Untermenschen ovvero degli "inferiori" rispetto alla razza ariana.
Fu la guerra contro l'Unione Sovietica ad offrire le condizioni per procedere all'esecuzione di una vera e propria campagna di annientamento: per questo vennero costituite unità speciali, le famigerate Einsatzgruppen, per procedere all'eliminazione di tutti gli ebrei, i funzionari comunisti e gli zingari nelle retrovie del fronte.
Himmler comunque si preoccupò anche della "salute mentale" dei propri uomini che operavano in queste "missioni": difatti uno dei problemi più complessi da risolvere fu individuato nel riuscire a procedere all'eliminazione di grandi masse di persone, come in occasione delle fucilazioni di massa a Babi Yar, in Ucraina, senza che agli esecutori ne derivassero danni psichici o rimorsi di coscienza. La "soluzione" di Himmler, per l'omicidio "pulito e corretto", venne comunicata ai Gruppenführer nel famoso discorso di Posen del 4 ottobre 1943:
« Non ne dibatteremo mai in pubblico, però è venuto il momento di parlare molto francamente fra di noi. Mi riferisco all'evacuazione degli ebrei, allo sterminio del popolo ebraico. È uno di quei principi che è facile enunciare: "Il popolo ebraico va eliminato", dice ogni membro del partito, "ed è ovvio che così sia perché così è scritto nel nostro programma. Bisogna togliere di mezzo gli ebrei, farli fuori, ma certo!" Poi però vengono tutti, uno per uno, i nostri cari ottanta milioni di tedeschi e ognuno di loro ha il suo bravo ebreo da proteggere. Sì, è vero, tutti gli altri sono porci, tuttavia questo ebreo in particolare rappresenta un'eccezione [...] ma non uno di quelli che parlano così ha mai assistito a ciò che poi di fatto succede, non uno che abbia dovuto superare questa prova. I più di voi sanno cosa significa trovarsi davanti a cento cadaveri, a cinquecento o a mille. Aver provveduto a tutto questo e, a parte le eccezioni costituite da alcuni episodi di umana debolezza, essere rimasti ugualmente corretti: ecco cosa ci ha resi duri. »
Alla fine la soluzione venne trovata nell'istituzione dei campi di concentramento. Il primo lager venne costruito già nel 1933, subito dopo la vittoria alle elezioni del Partito nazista, a Dachau, vicino Monaco di Baviera, per internare gli avversari politici.
All'inizio della Seconda guerra mondiale, nei sei grandi campi di concentramento allora già esistenti, erano rinchiusi circa 21.000 detenuti; ma nel 1940 questo numero era già salito a 800.000.
Dopo i campi di concentramento l'istituzione dei campi di sterminio fu solo una conseguenza: Auschwitz, Sobibór, Chełmno, Majdanek, Treblinka, Bełżec, tutti istituti nel Governatorato Generale (il nome assunto dalla Polonia occupata) perché la popolazione tedesca non si accorgesse di nulla.
15 dicembre, 2011
A Palazzo Incontro la mostra "Italia a colori 1861 - 1935"
A Palazzo Incontro la mostra "Italia a colori 1861 - 1935"
Sino a domenica 8 gennaio 2012, presso Palazzo Incontro (via dei Prefetti 22, Roma) si tiene la mostra Italia a colori 1861 – 1935.
Centoquaranta immagini - molte delle quali inedite nel nostro Paese - scattate dall’Unificazione agli anni Trenta del Novecento, quando comincia a diffondersi l’uso della pellicola fotografica, raccontano luoghi, persone, paesaggi e la vita quotidiana degli italiani di questo periodo.
L’inaugurazione dell’esposizione si è tenuta venerdì 18 novembre, alle ore 12.00. All'appuntamento è intervenuto il presidente della Provincia di Roma, Nicola Zingaretti.
La mostra è stata promossa dall'Amministrazione provinciale di Roma, nell’ambito del Progetto ABC e del Progetto Storia e Memoria della Presidenza dell'Ente di Palazzo Valentini.
L’esposizione è a cura di Reinhard Shultz e del Progetto Storia e Memoria della Presidenza della Provincia. L’organizzazione dell’evento è di Civita, in collaborazione con Enel
“Italia a colori 1861 – 1935” si rivolge a un pubblico di tutte le età, per offrire al visitatore un approccio per molti aspetti inedito. Spesso, infatti, le immagini o i ricordi del nostro passato - più o meno recente - si associano al bianco e nero che meglio riflette la distanza dagli eventi e la complessità delle memorie.
Si tratta di un viaggio nella nostra storia; una storia nella quale l’evoluzione e la sperimentazione delle tecniche fotografiche si incrociano e si sovrappongono con i cambiamenti rapidi e tumultuosi che una giovane nazione, l’Italia, conosce nel volgere di pochi decenni.
Le foto a colori presentate in questa mostra permettono non solo di osservare frammenti di una Roma e di un’Italia passata, ma anche di sentire più vive e reali quelle stesse immagini che, tramite l’utilizzo del colore, sembrano assumere una nuova forma.
L’esposizione raccoglie una prima parte di immagini ad albume o in fotocromia (in cui la colorazione avveniva successivamente allo scatto), mentre, per il periodo successivo al 1907, sono presentate le fotografie scattate direttamente a colori attraverso la tecnica tricromica o autocromica.
La maggior parte dei fotografi presentati hanno pubblicato le loro fotografie sull’Italia nella rivista National Geographics (tra questi Luigi Pellerano, Secondo Pia e Ferdinando Fino, ma anche Hans Hildenbrand di cui alcune immagini scattate durante la prima guerra mondiale sono state già presentante dalla Provincia di Roma nel 2009, in occasione della mostra “La guerra a colori. 1914-1918”).
Orario d’ingresso della mostra: 10-19. Lunedì chiuso. Biglietto: Intero 6€, ridotto 4€
Sino a domenica 8 gennaio 2012, presso Palazzo Incontro (via dei Prefetti 22, Roma) si tiene la mostra Italia a colori 1861 – 1935.
Centoquaranta immagini - molte delle quali inedite nel nostro Paese - scattate dall’Unificazione agli anni Trenta del Novecento, quando comincia a diffondersi l’uso della pellicola fotografica, raccontano luoghi, persone, paesaggi e la vita quotidiana degli italiani di questo periodo.
L’inaugurazione dell’esposizione si è tenuta venerdì 18 novembre, alle ore 12.00. All'appuntamento è intervenuto il presidente della Provincia di Roma, Nicola Zingaretti.
La mostra è stata promossa dall'Amministrazione provinciale di Roma, nell’ambito del Progetto ABC e del Progetto Storia e Memoria della Presidenza dell'Ente di Palazzo Valentini.
L’esposizione è a cura di Reinhard Shultz e del Progetto Storia e Memoria della Presidenza della Provincia. L’organizzazione dell’evento è di Civita, in collaborazione con Enel
“Italia a colori 1861 – 1935” si rivolge a un pubblico di tutte le età, per offrire al visitatore un approccio per molti aspetti inedito. Spesso, infatti, le immagini o i ricordi del nostro passato - più o meno recente - si associano al bianco e nero che meglio riflette la distanza dagli eventi e la complessità delle memorie.
Si tratta di un viaggio nella nostra storia; una storia nella quale l’evoluzione e la sperimentazione delle tecniche fotografiche si incrociano e si sovrappongono con i cambiamenti rapidi e tumultuosi che una giovane nazione, l’Italia, conosce nel volgere di pochi decenni.
Le foto a colori presentate in questa mostra permettono non solo di osservare frammenti di una Roma e di un’Italia passata, ma anche di sentire più vive e reali quelle stesse immagini che, tramite l’utilizzo del colore, sembrano assumere una nuova forma.
L’esposizione raccoglie una prima parte di immagini ad albume o in fotocromia (in cui la colorazione avveniva successivamente allo scatto), mentre, per il periodo successivo al 1907, sono presentate le fotografie scattate direttamente a colori attraverso la tecnica tricromica o autocromica.
La maggior parte dei fotografi presentati hanno pubblicato le loro fotografie sull’Italia nella rivista National Geographics (tra questi Luigi Pellerano, Secondo Pia e Ferdinando Fino, ma anche Hans Hildenbrand di cui alcune immagini scattate durante la prima guerra mondiale sono state già presentante dalla Provincia di Roma nel 2009, in occasione della mostra “La guerra a colori. 1914-1918”).
Orario d’ingresso della mostra: 10-19. Lunedì chiuso. Biglietto: Intero 6€, ridotto 4€
PROMEMORIA 15 dicembre 2001 – La torre pendente di Pisa riapre al pubblico dopo undici anni di lavori
La torre pendente di Pisa riapre al pubblico dopo undici anni di lavori
La cosiddetta torre pendente di Pisa (chiamata semplicemente torre pendente o torre di Pisa) è il campanile della Cattedrale di Santa Maria Assunta, nella celeberrima Piazza del Duomo di cui oggi è il monumento più famoso per via della caratteristica pendenza.
Si tratta di un campanile a sé stante alto circa 56 metri, costruito nell'arco di due secoli, tra il dodicesimo e il quattordicesimo. Pesante 14.453 tonnellate[senza fonte], vi predomina la linea curva, con giri di arcate cieche e sei piani di loggette. La sua pendenza è dovuta ad un cedimento del terreno verificatosi già nelle prime fasi della costruzione.
L'inclinazione dell'edificio attualmente misura 3,99° rispetto all'asse verticale. La torre di Pisa rimane in equilibrio perché la verticale che passa per il suo baricentro cade all'interno della base di appoggio.
È stata proposta come una delle sette meraviglie del mondo moderno.
I lavori iniziarono il 9 agosto 1173 (che, secondo il calendario pisano, era il 1174, in quanto l'anno iniziava il 25 marzo). Come era solito fare con i fari e con le costruzioni adiacenti al mare in genere, le fondamenta vennero lasciate a riposare per un anno intero.
Alcuni studi tra i più recenti attribuiscono la paternità del progetto a Diotisalvi, che nello stesso periodo stava costruendo il Battistero. Le analogie tra i due edifici sono infatti molte, a partire dal tipo di fondazioni. Altri suggeriscono invece Gherardi, mentre secondo il Vasari i lavori furono iniziati da Bonanno Pisano. La tesi del Vasari, oggi ritenuta priva di fondamento, fu invece ritenuta valida soprattutto dopo il ritrovamento nelle vicinanze del campanile di una pietra tombale col nome del Bonanno, che oggi si trova murata nell'atrio dell'edificio; inoltre nell'Ottocento fu rinvenuto sempre nei dintorni un frammento epigrafico di materiale rosa, probabilmente un calco su cui venne fusa una lastra metallica, che attualmente trova collocazione sullo stipite della porta di ingresso dell'edificio. Su tale frammento si legge, ovviamente rovesciato: "cittadino pisano di nome Bonanno". Tale calco con tutta probabilità era relativo alla porta regia del Duomo, distrutta durante l'incendio del 1595.
La prima fase dei lavori fu interrotta a metà del terzo piano, a causa del cedimento del terreno su cui sorge la base del campanile. La cedevolezza del terreno, costituito da argilla molle normalconsolidata, è la causa della pendenza della torre e, sebbene in misura minore, di tutti gli edifici nella piazza.
I lavori ripresero nel 1275 sotto la guida di Giovanni di Simone e Giovanni Pisano, aggiungendo alla costruzione precedente altri tre piani. Nel tentativo di raddrizzare la torre, i tre piani aggiunti tendono ad incurvarsi in senso opposto alla pendenza.
Il campanile fu completato alla metà del secolo successivo, aggiungendo la cella campanaria.
Dalla sua costruzione ad oggi lo strapiombo è sostanzialmente aumentato, ma nel corso dei secoli ci sono stati anche lunghi periodi di stabilità o addirittura di riduzione della pendenza.
Nel corso dell'Ottocento il campanile fu interessato da importanti restauri, che portarono, ad esempio, all'isolamento del basamento della torre. I lavori, effettuati sotto la direzione di Alessandro Gherardesca, contribuirono a sfatare definitivamente la teoria, sostenuta da alcuni studiosi dell'epoca, secondo la quale il campanile sarebbe stato pensato pendente sin dalla sua origine.[1] Difatti, i saggi del terreno effettuati durante i restauri portarono alla luce la presenza di una notevole quantità di acqua sotterranea che rendeva cedevole il terreno. Per far fronte a questo problema, fu aspirata acqua del sottosuolo con l'ausilio di pompe, ma ciò favorì il fenomeno della subsidenza ed il conseguente aumento della pendenza della torre.
Negli ultimi decenni del XX secolo l'inclinazione aveva subito un deciso incremento, tanto che il pericolo del crollo si era fatto concreto. Nel 1993 lo spostamento dalla sommità dell'asse alla base era stato valutato in circa 4,47 metri, ovvero 4,5 gradi.
Durante i lavori di consolidamento, iniziati nel 1990 e terminati alla fine del 2001, la pendenza del campanile è stata ridotta tramite cerchiatura di alcuni piani, applicazione temporanea di tiranti di acciaio e contrappesi di piombo (fino a 900 tonnellate) e sottoescavazione, riportandola a quella che presumibilmente doveva avere 200 anni prima. La base è stata inoltre consolidata e secondo gli esperti questo consentirà di mantenere in sicurezza la torre per almeno altri tre secoli, permettendo così l'accesso ai visitatori.
Dal marzo 2008 la torre ha raggiunto il livello definitivo di consolidamento sotto il profilo dell'inclinazione, tornato ad essere di 3,99 metri, ovvero 4°,[4] con uno spostamento alla cima del campanile di quasi mezzo metro) e tale valore dovrebbe rimanere inalterato per almeno altri 300 anni. Il successo dell'operazione è legato al nome di Michele Jamiolkowski, benemerito docente del Politecnico di Torino e presidente del Comitato internazionale per la Salvaguardia della Torre di Pisa dal 1990 al 2001, a quello di Carlo Viggiani, docente del Dipartimento di Ingegneria Geotecnica dell’Università degli Studi di Napoli Federico II e Presidente del Comitato Internazionale per la Conservazione dei Monumenti e dei Siti Storici ed a quello di J. B. Burland, professore del Dipartimento di Ingegneria Civile dell'Imperial College di Londra.
Dopo vent'anni, il 22 aprile 2011 sono terminati i lavori di restauro delle superfici lapidee, sia negli esterni che negli interni.
Struttura
La struttura del campanile incorpora due stanze. Una alla base della torre, nota come Sala del pesce, per via di un bassorilievo raffigurante un pesce. Tale sala non ha soffitto, essendo di fatto il cavo della torre. L'altra invece è la cella campanaria, al settimo anello. Delimitata dalle mura del camminamento superiore, è anch'essa a cielo aperto ed al centro, tramite una apertura, è possibile vedere il pian terreno della torre. Sono inoltre presenti tre rampe di scale: una ininterrotta dalla base fino al sesto anello, dove si esce all'esterno; una, a chiocciola più piccola che porta dal sesto anello al settimo; infine una ancor più piccola, sempre a chiocciola, che porta dal settimo anello alla sommità.
La cosiddetta torre pendente di Pisa (chiamata semplicemente torre pendente o torre di Pisa) è il campanile della Cattedrale di Santa Maria Assunta, nella celeberrima Piazza del Duomo di cui oggi è il monumento più famoso per via della caratteristica pendenza.
Si tratta di un campanile a sé stante alto circa 56 metri, costruito nell'arco di due secoli, tra il dodicesimo e il quattordicesimo. Pesante 14.453 tonnellate[senza fonte], vi predomina la linea curva, con giri di arcate cieche e sei piani di loggette. La sua pendenza è dovuta ad un cedimento del terreno verificatosi già nelle prime fasi della costruzione.
L'inclinazione dell'edificio attualmente misura 3,99° rispetto all'asse verticale. La torre di Pisa rimane in equilibrio perché la verticale che passa per il suo baricentro cade all'interno della base di appoggio.
È stata proposta come una delle sette meraviglie del mondo moderno.
I lavori iniziarono il 9 agosto 1173 (che, secondo il calendario pisano, era il 1174, in quanto l'anno iniziava il 25 marzo). Come era solito fare con i fari e con le costruzioni adiacenti al mare in genere, le fondamenta vennero lasciate a riposare per un anno intero.
Alcuni studi tra i più recenti attribuiscono la paternità del progetto a Diotisalvi, che nello stesso periodo stava costruendo il Battistero. Le analogie tra i due edifici sono infatti molte, a partire dal tipo di fondazioni. Altri suggeriscono invece Gherardi, mentre secondo il Vasari i lavori furono iniziati da Bonanno Pisano. La tesi del Vasari, oggi ritenuta priva di fondamento, fu invece ritenuta valida soprattutto dopo il ritrovamento nelle vicinanze del campanile di una pietra tombale col nome del Bonanno, che oggi si trova murata nell'atrio dell'edificio; inoltre nell'Ottocento fu rinvenuto sempre nei dintorni un frammento epigrafico di materiale rosa, probabilmente un calco su cui venne fusa una lastra metallica, che attualmente trova collocazione sullo stipite della porta di ingresso dell'edificio. Su tale frammento si legge, ovviamente rovesciato: "cittadino pisano di nome Bonanno". Tale calco con tutta probabilità era relativo alla porta regia del Duomo, distrutta durante l'incendio del 1595.
La prima fase dei lavori fu interrotta a metà del terzo piano, a causa del cedimento del terreno su cui sorge la base del campanile. La cedevolezza del terreno, costituito da argilla molle normalconsolidata, è la causa della pendenza della torre e, sebbene in misura minore, di tutti gli edifici nella piazza.
I lavori ripresero nel 1275 sotto la guida di Giovanni di Simone e Giovanni Pisano, aggiungendo alla costruzione precedente altri tre piani. Nel tentativo di raddrizzare la torre, i tre piani aggiunti tendono ad incurvarsi in senso opposto alla pendenza.
Il campanile fu completato alla metà del secolo successivo, aggiungendo la cella campanaria.
Dalla sua costruzione ad oggi lo strapiombo è sostanzialmente aumentato, ma nel corso dei secoli ci sono stati anche lunghi periodi di stabilità o addirittura di riduzione della pendenza.
Nel corso dell'Ottocento il campanile fu interessato da importanti restauri, che portarono, ad esempio, all'isolamento del basamento della torre. I lavori, effettuati sotto la direzione di Alessandro Gherardesca, contribuirono a sfatare definitivamente la teoria, sostenuta da alcuni studiosi dell'epoca, secondo la quale il campanile sarebbe stato pensato pendente sin dalla sua origine.[1] Difatti, i saggi del terreno effettuati durante i restauri portarono alla luce la presenza di una notevole quantità di acqua sotterranea che rendeva cedevole il terreno. Per far fronte a questo problema, fu aspirata acqua del sottosuolo con l'ausilio di pompe, ma ciò favorì il fenomeno della subsidenza ed il conseguente aumento della pendenza della torre.
Negli ultimi decenni del XX secolo l'inclinazione aveva subito un deciso incremento, tanto che il pericolo del crollo si era fatto concreto. Nel 1993 lo spostamento dalla sommità dell'asse alla base era stato valutato in circa 4,47 metri, ovvero 4,5 gradi.
Durante i lavori di consolidamento, iniziati nel 1990 e terminati alla fine del 2001, la pendenza del campanile è stata ridotta tramite cerchiatura di alcuni piani, applicazione temporanea di tiranti di acciaio e contrappesi di piombo (fino a 900 tonnellate) e sottoescavazione, riportandola a quella che presumibilmente doveva avere 200 anni prima. La base è stata inoltre consolidata e secondo gli esperti questo consentirà di mantenere in sicurezza la torre per almeno altri tre secoli, permettendo così l'accesso ai visitatori.
Dal marzo 2008 la torre ha raggiunto il livello definitivo di consolidamento sotto il profilo dell'inclinazione, tornato ad essere di 3,99 metri, ovvero 4°,[4] con uno spostamento alla cima del campanile di quasi mezzo metro) e tale valore dovrebbe rimanere inalterato per almeno altri 300 anni. Il successo dell'operazione è legato al nome di Michele Jamiolkowski, benemerito docente del Politecnico di Torino e presidente del Comitato internazionale per la Salvaguardia della Torre di Pisa dal 1990 al 2001, a quello di Carlo Viggiani, docente del Dipartimento di Ingegneria Geotecnica dell’Università degli Studi di Napoli Federico II e Presidente del Comitato Internazionale per la Conservazione dei Monumenti e dei Siti Storici ed a quello di J. B. Burland, professore del Dipartimento di Ingegneria Civile dell'Imperial College di Londra.
Dopo vent'anni, il 22 aprile 2011 sono terminati i lavori di restauro delle superfici lapidee, sia negli esterni che negli interni.
Struttura
La struttura del campanile incorpora due stanze. Una alla base della torre, nota come Sala del pesce, per via di un bassorilievo raffigurante un pesce. Tale sala non ha soffitto, essendo di fatto il cavo della torre. L'altra invece è la cella campanaria, al settimo anello. Delimitata dalle mura del camminamento superiore, è anch'essa a cielo aperto ed al centro, tramite una apertura, è possibile vedere il pian terreno della torre. Sono inoltre presenti tre rampe di scale: una ininterrotta dalla base fino al sesto anello, dove si esce all'esterno; una, a chiocciola più piccola che porta dal sesto anello al settimo; infine una ancor più piccola, sempre a chiocciola, che porta dal settimo anello alla sommità.
14 dicembre, 2011
La Provincia di Roma prosegue la lotta contro l’usura. Le attività a sostegno delle persone in difficoltà
La Provincia di Roma prosegue la lotta contro l’usura. Le attività a sostegno delle persone in difficoltà
Prosegue senza sosta la lotta all'Usura della Provincia di Roma che si è costituita per la terza volta parte civile in un procedimento giudiziario.
La richiesta di Palazzo Valentini è stata accolta nell'ambito di un rito abbreviato contro due imputati accusati di usura. Il giudice dell'udienza preliminare del Tribunale penale di Roma ha accettato l'istanza dei legali dell'Avvocatura provinciale riconoscendo la lesione degli interessi dell'Ente che spende energie umane e risorse economiche nel contrasto del fenomeno usurario. Oltre alla condanna degli imputati, per la prima volta sono stati riconosciuti direttamente alla Provincia di Roma 20mila euro di risarcimento. Nell'ambito del medesimo procedimento, la costituzione di parte civile della Provincia è stata accolta anche per altri 8 imputati nei confronti dei quali si sta procedendo con rito ordinario.
“I risultati ottenuti nelle aule di tribunale non devono farci abbassare la guardia, – ha commentato l'Assessore per la Lotta all'Usura della Provincia, Serena Visintin - come testimoniano i dati raccolti negli ultimi sei mesi dal nostro numero verde gestito dal CODICI. Il fenomeno dell'Usura è in crescita e sempre di più sono le sfaccettature che contraddistinguono questa piaga, non ultime l'indebitamento da gioco o il suicidio per debiti, ma sempre minori sono i fondi a disposizione per intervenire. Le nostre risorse, infatti, si vanno assottigliando e occorrono tanto impegno e tanta fantasia per ampliare le possibilità di intervento degli enti di prossimità come la Provincia”.
Tra febbraio e luglio 2011 gli addetti del CODICI al Numero Verde Antiusura provinciale hanno ricevuto 480 chiamate, nella maggior parte dei casi arrivate da donne tra i 26 e i 45 anno. Il 41,87% degli utenti ha chiamato per avere informazioni relative al sovraindebitamento, alle modalità di accesso al credito. Il 38,12% per avere chiarimenti rispetto alle norme sull’accesso ai fondi di prevenzione e di solidarietà e alla possibilità di estinzione anticipata del mutuo. Il 6,6% degli utenti, 32 chiamate, espressamente per problemi legati all’usura.
Il 13,33% delle telefonate, pari a 64 casi, si è concretizzato in un appuntamento con il legale di riferimento di Codici: 59,37% dei soggetti per problemi legati al sovraindebitamento, 18,75 per questioni finanziarie e il 12,5% per usura.
“L’usura è un fenomeno dilagante - ha dichiarato Ivano Giacomelli, Segretario Nazionale del Codici - e sempre più persone ricorrono agli usurai oramai, anche per sanare debiti di gioco. I dati raccolti dal Numero Verde nel semestre febbraio a luglio 2011 ce lo dicono chiaramente”. “Quello che chiediamo alle istituzioni – ha aggiunto Giacomelli – è una maggiore serietà e attenzione nel trattare temi così delicati. Per questo lanciamo un appello al Prefetto e al Presidente del Tribunale al fine di individuare una strategia di contrasto all’Usura e alla criminalità organizzata che sia più concreta di quanto oggi non accade”.
Prosegue senza sosta la lotta all'Usura della Provincia di Roma che si è costituita per la terza volta parte civile in un procedimento giudiziario.
La richiesta di Palazzo Valentini è stata accolta nell'ambito di un rito abbreviato contro due imputati accusati di usura. Il giudice dell'udienza preliminare del Tribunale penale di Roma ha accettato l'istanza dei legali dell'Avvocatura provinciale riconoscendo la lesione degli interessi dell'Ente che spende energie umane e risorse economiche nel contrasto del fenomeno usurario. Oltre alla condanna degli imputati, per la prima volta sono stati riconosciuti direttamente alla Provincia di Roma 20mila euro di risarcimento. Nell'ambito del medesimo procedimento, la costituzione di parte civile della Provincia è stata accolta anche per altri 8 imputati nei confronti dei quali si sta procedendo con rito ordinario.
“I risultati ottenuti nelle aule di tribunale non devono farci abbassare la guardia, – ha commentato l'Assessore per la Lotta all'Usura della Provincia, Serena Visintin - come testimoniano i dati raccolti negli ultimi sei mesi dal nostro numero verde gestito dal CODICI. Il fenomeno dell'Usura è in crescita e sempre di più sono le sfaccettature che contraddistinguono questa piaga, non ultime l'indebitamento da gioco o il suicidio per debiti, ma sempre minori sono i fondi a disposizione per intervenire. Le nostre risorse, infatti, si vanno assottigliando e occorrono tanto impegno e tanta fantasia per ampliare le possibilità di intervento degli enti di prossimità come la Provincia”.
Tra febbraio e luglio 2011 gli addetti del CODICI al Numero Verde Antiusura provinciale hanno ricevuto 480 chiamate, nella maggior parte dei casi arrivate da donne tra i 26 e i 45 anno. Il 41,87% degli utenti ha chiamato per avere informazioni relative al sovraindebitamento, alle modalità di accesso al credito. Il 38,12% per avere chiarimenti rispetto alle norme sull’accesso ai fondi di prevenzione e di solidarietà e alla possibilità di estinzione anticipata del mutuo. Il 6,6% degli utenti, 32 chiamate, espressamente per problemi legati all’usura.
Il 13,33% delle telefonate, pari a 64 casi, si è concretizzato in un appuntamento con il legale di riferimento di Codici: 59,37% dei soggetti per problemi legati al sovraindebitamento, 18,75 per questioni finanziarie e il 12,5% per usura.
“L’usura è un fenomeno dilagante - ha dichiarato Ivano Giacomelli, Segretario Nazionale del Codici - e sempre più persone ricorrono agli usurai oramai, anche per sanare debiti di gioco. I dati raccolti dal Numero Verde nel semestre febbraio a luglio 2011 ce lo dicono chiaramente”. “Quello che chiediamo alle istituzioni – ha aggiunto Giacomelli – è una maggiore serietà e attenzione nel trattare temi così delicati. Per questo lanciamo un appello al Prefetto e al Presidente del Tribunale al fine di individuare una strategia di contrasto all’Usura e alla criminalità organizzata che sia più concreta di quanto oggi non accade”.
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