L'Unione Sovietica invade l'Afghanistan per appoggiare il governo filo-sovietico della nazione.
Tra la fine del 1977 e l'inizio del 1978 l'Afghanistan era stato teatro di diverse manifestazioni e sollevazioni di popolo, le quali erano volte a chiedere un miglioramento delle condizioni sociali e civili della popolazione afghana. Il livello della tensione salì nell'aprile del 1978, quando M.A. Haybar, uno dei principali dirigenti del Partito Democratico Popolare dell'Afghanistan (partito progressista emanazione della classe lavoratrice afghana), fu assassinato. A seguito di questa uccisione si intensificarono le misure repressive del governo guidato da Mohammed Daoud Khan, fino alla rivolta del 27 aprile 1978, quando il P.D.P.A. chiamò il popolo e i propri militanti all'insurrezione generale. Il sommovimento coinvolse per prima la capitale Kabul, ma ben presto si estese alle altre principali città del paese; la quasi totalità delle truppe dell'esercito si schierò a favore dei dimostranti, e la stessa cosa fecero gli studenti nelle città. Nelle campagne la rivoluzione fu invece accolta con indifferenza, se non con sospetto, dalla popolazione rurale. In pochi giorni, il governo rivoluzionario, guidato da Nur Mohammad Taraki, prese la guida del paese, dando vita alla Repubblica Democratica Afghana. Durante la rivoluzione, rimase ucciso lo stesso ex capo di governo Mohammed Daoud.
Il P.D.P.A., partito socialista filo-comunista, mise in atto un programma di governo socialista che prevedeva principalmente una riforma agraria che ridistribuiva le terre a 200mila famiglie contadine, ed anche l'abrogazione dell'ushur, ovvero la decima dovuta ai latifondisti dai braccianti. Inoltre fu abrogata l'usura, i prezzi dei beni primari furono calmierati, i servizi sociali statalizzati e garantiti a tutti, venne riconosciuto il diritto di voto alle donne e i sindacati legalizzati. Si svecchiò tutta la legislazione afghana col divieto dei matrimoni forzati, la sostituzione delle leggi tradizionali e religiose con altre laiche e marxiste e la messa al bando dei tribunali tribali. Gli uomini furono obbligati a tagliarsi la barba, le donne non potevano indossare il burqa, mentre le bambine poterono andare a scuola e non furono più oggetto di scambio economico nei matrimoni combinati.
Si avviò anche una campagna di alfabetizzazione e scolarizzazione di massa e nelle aree rurali vennero costruite scuole e cliniche mediche.
La laicizzazione forzata della società afgana portò ben presto ad uno scontro fra il regime del P.D.P.A. e le autorità religiose locali, le quali cominciarono ad incitare la jihad dei mujaheddin contro il regime dei comunisti atei senza Dio. In verità Taraki rifiutò sempre l'idea di definire il suo nuovo regime come "comunista", preferendo aggettivi come rivoluzionario e nazionalista. Gli stessi rapporti con l'Unione Sovietica si limitarono ad accordi di cooperazione commerciale per sostenere la modernizzazione delle infrastrutture economiche (in particolar modo le miniere di minerali rari e i giacimenti di gas naturale). L'U.R.S.S. inviò anche degli appaltatori per costruire strade, ospedali e scuole e per scavare pozzi d'acqua; inoltre addestrò ed equipaggiò l'esercito afghano. Il Governo rispose agli oppositori con un pesante intervento militare e arrestando, mandando in esilio ed eliminando molti Mujaheddin.
Nella nuova fase politica afghana intervennero anche gli Stati Uniti d'America. L'amministrazione Carter avvertì subito l'esigenza di sostenere gli oppositori di Taraki principalmente per tre motivi:
in funzione anticomunista per «dimostrare ai Paesi del Terzo Mondo che l'esito socialista della storia sostenuto dall'U.R.S.S. non è un dato oggettivo» (Dipartimento di Stato, agosto 1979);
per creare un nuovo alleato in una zona geopolitica che aveva visto nel gennaio 1979 gli U.S.A. perdere l'Iran con la rivoluzione khomeinista;
vincere la guerra fredda o quantomeno cancellare il ricordo della disfatta vietnamita del 1975.
Il 3 luglio 1979 Carter firmò la prima direttiva per l'organizzazione di aiuti bellici ed economici segreti ai Mujaheddin afghani. In pratica la C.I.A. avrebbe creato una rete internazionale coinvolgente tutti i Paesi arabi per rifornire i Mujaheddin di soldi, armi e volontari per la guerra. Base dell'operazione sarebbe stato il Pakistan, dove venivano così costruiti anche campi di addestramento e centri di reclutamento.
Buona parte dell'operazione fu finanziata col commercio clandestino di oppio afghano. A capo della guerriglia, su consiglio del Pakistan, fu posto Gulbuddin Hekmatyar, noto per la crudeltà con cui sfigurava (usando l'acido) le donne a suo dire non in linea coi precetti islamici. I mujaheddin afgani di Hekmatyar diventarono rapidamente una potente forza militare, distinguendosi in crudeltà con pratiche che prevedevano un lento scuoiamento vivo dei nemici e l'amputazione di dita, orecchi, naso e genitali.
In questo clima di ingerenza da parte del Governo americano, all'interno del P.D.P.A. e del Consiglio Rivoluzionario Afghano si polarizzarono due tendenze politiche: quella che faceva capo a Hafizullah Amin (area Khalq che spingeva per un cambiamento radicale della società afghana, senza alcun processo intermedio) e quella che faceva riferimento a Babrak Karmal (area Parcham) che invece propugnava una trasformazione più graduale, che partisse dall'arretratezza culturale ed economica del Paese, che il governo rivoluzionario aveva ereditato dopo secoli di feudalesimo e tribalismo. Lo scontro tra le due fazioni del partito fu molto aspro, tanto che dopo la morte del capo di governo Nur Mohammad Taraki, avvenuta in circostanze poco chiare e nella quale sembra evidente la responsabilità di Amin, quest'ultimo accentrerà su di se tutti i poteri e allontanerà dal paese i principali componenti del Parcham, riservandogli incarichi minori all'estero.
Intanto tra il marzo e aprile del 1979, le forze controrivoluzionarie dei mujaeheddin, armate da U.S.A. e Pakistan (avvenuto attraverso l'operazione Cyclone), avviarono l'attacco alla città di Herat, ma l'offensiva fu respinta dall'Esercito e dalle milizie popolari afghane. In ogni caso, dopo questi avvenimenti, al Governo rivoluzionario era chiaro che la lotta contro i mujaheddin e i loro alleati americano-pakistani, non sarebbe stato per nulla semplice. Per questo i capi rivoluzionari decisero di chiedere aiuto all'Unione Sovietica, facendo appello al Trattato Sovietico-Afghano di amicizia, buon vicinato e collaborazione (firmato nel 1921 e rinnovato nel 1955). È da sottolineare il fatto che l'U.R.S.S., pur solidarizzando immediatamente con l'Afghanistan attaccato, non scelse come opzione prioritaria l'intervento militare, ma cercò di appellarsi all'O.N.U. perché con i propri mezzi diplomatici intervenisse contro i gruppi fuorilegge di Mujaheddin. Solo dopo che l'O.N.U. non prese posizione e dopo che U.S.A. e Pakistan avevano già dato il loro placito assenso e sostegno alla controrivoluzione, l'U.R.S.S. decise di scendere in campo col proprio esercito, in favore della rivoluzione democratica afghana.
Nello stesso momento, l'impopolarità di Amin aumentava e con essa le rivolte islamiche ed il rischio di destabilizzazione del paese, che lui stesso aveva peraltro contribuito a creare con l'uccisione di Taraki e con l'esilio dei membri della parte avversa del P.D.P.A.. Lo stesso Amin venne inoltre sospettato da Mosca di avere contatti con la C.I.A..[1]
Il 27 dicembre 1979, 25 componenti del Gruppo Alfa, l'élite degli Specnaz, i reparti speciali sovietici, assalirono il palazzo presidenziale uccidendo Amin.[2] La guida del governo fu quindi presa da Karmal e dalla componente Parcham.
Il 1º gennaio 1980 50.000 soldati, 2.000 carri armati T-55 e 200 aerei varcarono la frontiera ed entrarono in Afghanistan. Gran parte del mondo protestò contro l'invasione, in particolare gli Stati Uniti; dopo aver annunciato un embargo, lo misero in atto tagliando tutte le forniture di grano e di tecnologie e nel 1980 boicottarono anche le XXII Olimpiadi che si tennero a Mosca.
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