11 giugno, 2012
PROMEMORIA 11 giugno 1924 - Secessione dell'Aventino
Secessione dell'Aventino
La secessione dell'Aventino (dal nome del colle Aventino sul quale – secondo la storia romana – si ritiravano i plebei nei periodi di acuto conflitto con i patrizi, vedi Secessio plebis) fu un atto di protesta attuato da alcuni deputati d'opposizione contro il governo fascista, in seguito alla scomparsa di Giacomo Matteotti l'11 giugno 1924: l’iniziativa consisteva nell’astenersi dai lavori parlamentari, riunendosi separatamente.
Storia
Dopo l'acceso discorso di Giacomo Matteotti contro le violenze fasciste durante le elezioni del 1924 ed il suo omicidio successivo, socialisti e comunisti proponevano di mettere in piedi un'azione di rivolta contro il governo, ma al fine di evitare una guerra civile questo proposito non venne attuato.[senza fonte] Il 13 giugno Mussolini parlò alla Camera dei deputati, affermando di non essere coinvolto, ma anzi addolorato; al termine il Presidente della Camera Alfredo Rocco aggiornò i lavori parlamentari sine die, annullando di fatto la possibilità di risposta da parte dell'opposizione all'interno del Parlamento.
Il 26 giugno 1924 i parlamentari dell'opposizione si riunirono in una sala di Montecitorio, oggi nota come sala dell'Aventino, decidendo comunemente di abbandonare i lavori parlamentari finché il governo non avesse chiarito la propria posizione a proposito della scomparsa di Giacomo Matteotti.
Il 16 agosto dello stesso anno fu ritrovato nel bosco della Quartarella il cadavere di Matteotti, aggravando la già complessa crisi del governo.
Dopo accese discussioni all'interno dello stesso Partito Nazionale Fascista (PNF), che vedeva contrapposti gli intransigenti e la frangia accondiscendente, Mussolini parlò alla Camera dei deputati il 3 gennaio 1925, assumendosi la responsabilità politica, morale e storica dei fatti: ricordando l'articolo 47 dello Statuto della Camera, che prevedeva la possibilità d'accusa per i Ministri del Re da parte dei deputati, chiese formalmente al Parlamento un atto d'accusa nei suoi confronti, senza che ciò avvenisse.
Nei due giorni successivi le attività parlamentari furono definitivamente soppresse ed ai prefetti venne imposto di sciogliere qualsiasi organizzazione contraria al fascismo, dando vita così al regime.[senza fonte]
L'opposizione dunque non riuscì a reagire, sia per la paura di ritorsioni che per i forti frazionismi interni.
La decadenza dal mandato parlamentare
Nel maggio del 1925, in occasione del dibattito sulla riforma della legge di pubblica sicurezza, rimasero dieci parlamentari d'opposizione (Bavaro, Codacci-Pisanelli, Fazio, Orefice, Paratore, Pasqualino-Vassallo, Rubilli, Salandra, Savelli, Pivano).[senza fonte]
Il 16 gennaio 1926 alcuni popolari e demosociali entrarono a Montecitorio per assistere alle celebrazioni solenni per la morte della regina Margherita di Savoia, ma poco dopo la violenza repressiva di alcuni parlamentari fascisti li scacciò dall'aula e lo stesso Mussolini il giorno dopo accusò il comportamento dei deputati aggrediti, accusandoli di indelicatezza nei confronti della sovrana.[senza fonte]
Il 5 novembre 1926 dodici parlamentari (Pivano, Bavaro, Fazio, Gasparotto, Giovannini, Lanza di Trabia, Musotto, Pasqualino-Vassallo, Poggi, Scotti, Soleri, Viola), richiesta la votazione ad appello nominale, votarono contro la reintroduzione della pena di morte accompagnata da: soppressione di tutti i giornali e periodici antifascisti; istituzione del confino di polizia che comportava la perdita della libertà personale per semplice provvedimento amministrativo e sulla base del solo sospetto; creazione di un Tribunale speciale per la difesa dello Stato.[senza fonte]
L'opposizione in aula - cui l'accesso era di fatto inibito, a meno che non si fosse sin dall'inizio scelto di disertare l'Aventino[senza fonte] - era composta dai dieci deputati che sin dall'inizio avevano rifiutato la tecnica aventinista; tra di essi, in teoria, ci sarebbero dovuti essere anche i comunisti (teorizzatori dell'uso delle "libertà borghesi" per usufruire di un diritto di tribuna), ma nel frattempo erano stati costretti alla clandestinità.
Il 9 novembre 1926 la Camera dei deputati, riaperta per approvare le leggi eccezionali, deliberava anche la decadenza dei deputati aventiniani.[senza fonte]
In un primo momento la mozione, presentata da Farinacci, aveva parlato solo di aventiniani ed era stata motivata proprio con il fatto della secessione parlamentare: ne restavano perciò esclusi i comunisti che da lunghissimo tempo erano presenti in aula. Ma poi la mozione fu emendata da Augusto Turati ed estesa anche ai comunisti: contro l'ordine del giorno presentato votavano solo i deputati Pivano, Bavaro, Fazio, Gasparotto, Giovannini, Lanza di Trabia, Musotto, Pasqualino-Vassallo, Poggi, Scotti e Soleri.
Come effetto dell'ordine del giorno, gli unici rappresentanti dell'opposizione a Montecitorio rimanevano i 6 deputati appartenenti alla fazione giolittiana; già la sera prima Antonio Gramsci, in violazione dell'immunità parlamentare ancora vigente, era stato arrestato.
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