10 giugno, 2011

PROMEMORIA 10 giugno 1981 Alfredino Rampi cade in un pozzo a Vermicino e dopo tre giorni muore!e


Alfredo Rampi, detto Alfredino, verso le ore 19:00 cade in un pozzo artesiano largo 30 cm e profondo 80 metri, nelle campagne della località di Vermicino (Frascati). Morirà, nonostante i diversi tentativi di soccorso verso le ore 6:30 del 13 giugno
Alfredo Rampi, detto Alfredino per la sua giovane età (Roma, 11 aprile 1975 – Vermicino, 13 giugno 1981), è stato il protagonista di un tragico fatto di cronaca dei primi anni ottanta: mercoledì 10 giugno 1981, alle 19, cadde in un pozzo artesiano largo 28 cm e profondo 80 metri in via Sant'Ireneo, località Selvotta, una piccola frazione di campagna vicino a Frascati, situata lungo la via di Vermicino, che collega Roma sud a Frascati nord.

I soccorsi
I soccorritori cercarono con grandi sforzi di salvarlo: si pensò che Alfredino fosse bloccato a 36 metri di profondità, ma la creazione di un tunnel parallelo non si rivelò risolutiva, in quanto il bambino sprofondò giù per altri 30 metri. Il tentativo dei primi vigili del fuoco intervenuti di calare una tavoletta legata a corde per consentire al bimbo di aggrapparvisi, creò gravi problemi ai soccorsi poiché la tavoletta si incastrò nel pozzo pochi metri sopra Alfredino. Non fu più possibile rimuovere quella tavoletta che ostruì quasi completamente il pozzo, creando difficoltà che si rivelarono insormontabili.
Il dramma fu seguito tramite una diretta televisiva "non stop" lunga 18 ore a reti RAI unificate. L'Italia intera rimase in ansia a seguire l'evolversi della situazione: si stimò che in media 21 milioni di persone avessero seguito alla televisione la straziante vicenda.
Sul luogo si portò anche l'allora Presidente della Repubblica Sandro Pertini. Un coraggioso volontario, Angelo Licheri (di professione tipografo), si fece calare nel pozzo, perché piccolo di statura e molto magro. Riuscì ad avvicinarsi al bambino, tentò di allacciargli l'imbragatura per tirarlo fuori dal pozzo, ma per ben tre volte l'imbragatura si aprì; tentò quindi di prenderlo per le braccia, ma il bambino scivolò ancora più in profondità. In tutto, Licheri rimase a testa in giù 45 minuti.

La morte
Man mano che passavano le ore la voce del bambino, raggiunto da un microfono,giungeva sempre più flebile. Il bambino, probabilmente ferito dalle cadute, morì verso le ore 6:30 del 13 giugno dopo che un altro volontario, Donato Caruso, provò come Licheri ad imbragare il bambino e fu in quel momento che quest'ultimo si accorse che Alfredino era ormai spirato.
« Volevamo vedere un fatto di vita, e abbiamo visto un fatto di morte. Ci siamo arresi, abbiamo continuato fino all'ultimo. Ci domanderemo a lungo prossimamente a cosa è servito tutto questo, che cosa abbiamo voluto dimenticare, che cosa ci dovremmo ricordare, che cosa dovremo amare, che cosa dobbiamo odiare. È stata la registrazione di una sconfitta, purtroppo: 60 ore di lotta invano per Alfredo Rampi. »
(Giancarlo Santalmassi durante l'edizione straordinaria del Tg2 del 13 giugno 1981)
Il corpo fu recuperato dai minatori della miniera di Gavorrano l'11 luglio, ben 28 giorni dopo la sua morte.
In seguito la madre, Franca Rampi, fondò il "Centro Rampi" che si occupa di Protezione Civile e minori.
È ormai accertato che nei soccorsi mancarono organizzazione e coordinamento. Ad esempio non fu mai transennata la zona intorno al pozzo e chiunque poteva avvicinarsi fino a guardarci dentro. Di tutte gli errori e le manchevolezze la Sig.ra Rampi parlò al Presidente Pertini, intervenuto sul luogo della tragedia, promuovendo di fatto la nascita della Protezione Civile, allora ancora solo sulla carta.

Risonanza mediatica
Questo evento ebbe una notevole risonanza mediatica.
Si è trattato del primo caso che, trasmesso a lungo in televisione, ha fatto rimanere milioni di persone in ansia davanti al televisore per seguirne lo svolgimento.
Le tecnologie per le dirette da luoghi esterni non erano sufficientemente sviluppate da permettere agevolmente lunghe dirette e gli eventi di cronaca erano mandati in onda in differita e in sintesi.
Inoltre i giornalisti dell'epoca, per pudore o per motivi etici, erano contrari a trasmettere tragedie così dolorose e tragiche, per rispetto sia delle vittime che degli spettatori. In questo caso le immagini in diretta furono inizialmente trasmesse perché si riteneva che si trattasse di un incidente che si sarebbe risolto positivamente in poco tempo.
Col passare del tempo la situazione si era lentamente aggravata, ma era troppo tardi per interrompere le trasmissioni.
Se oggi appare ovvio che i giornalisti si intromettano in eventi dolorosi di questo tipo, in precedenza la questione costituiva un grave problema morale ed un famoso film americano, L'asso nella manica di Billy Wilder del 1951, aveva trattato questo argomento.
Una sentenza del Tribunale civile ha vietato che uscissero dagli archivi della Rai le sequenze in cui Alfredo Rampi «piange o singhiozza», «chiama la mamma o i soccorritori» e quelle in cui «i genitori e altri soccorritori cercano di tranquillizzarlo». In seguito a ciò, la direttrice delle teche Rai Barbara Scaramucci ha dovuto inviare una nota di servizio per ricordare ai giornalisti il divieto tassativo di mandare in tv la diretta della tragedia di Vermicino.

Il dubbio sulla dolosità
Alfredo e la sua morte sono anche uno dei misteri italiani.
Attraverso le fotografie del corpo congelato, al momento della dichiarazione di morte, si notò una imbragatura che lo avvolgeva; durante l'interrogatorio di Angelo Licheri, il volontario disse che era stato lui a metterla quando si era calato per il tentativo di salvataggio. Questa tesi fu contestata dai pompieri, che sostennero che una simile imbragatura non poteva essere assolutamente introdotta dentro un pozzo artesiano. Fu ascoltato il responsabile del CAI (A.B.), il quale riconobbe l'imbracatura come appartenente al gruppo di speleologi e dichiarò assieme a tutti gli altri soccorritori che era la stessa usata nel tentativo di salvataggio di Alfredino.
Durante le indagini vennero interpellati i costruttori di quel pozzo, i quali affermarono che data la complessità della sua apertura era impossibile che un bambino ci fosse caduto accidentalmente. Si crearono però discrepanze riguardo a quello che doveva essere il diametro del pozzo alla sua imboccatura, poiché i primi volontari vi si erano calati senza troppa difficoltà. I costruttori in seguito cambiarono versione riguardo alla copertura del pozzo, cosí che non si poté risalire a responsabilità riguardo a chi potesse averlo lasciato aperto.
Ad aumentare il mistero furono le stesse parole del piccolo Alfredo pronunciate in quelle ore di agonia: non aveva la benché minima idea di dove si trovasse e nemmeno come ci fosse capitato. La poca luciditá data dalla mancanza di ossigeno e dalla permanenza prolungata nel pozzo potrebbero però spiegare questa incongruenza.
Il magistrato era certo che Alfredo fosse stato calato nel pozzo dopo essere stato addormentato, e che quindi non vi fosse caduto, ma le indagini furono archiviate per l'impossibilità di giungere alla verità.
Il volontario del soccorso alpino Tullio Bernabei continuò a sostenere la sua verità, che è quella degli speleologi del CAI, che è quella di Licheri, che è quella della stessa famiglia Rampi: "L'imbracatura trovata sul corpo del bambino era il frutto dei nostri tentativi di salvataggio, in particolare quello di Licheri. Purtroppo quella di Vermicino è una storia abbastanza semplice".

Trasmissione COSMO su rai3
domenica 29 maggio 2011, alle ore 23.35, la trasmissione Cosmo su RAI3, dopo 30 anni, ha ricostruito la vicenda di Alfredino con alcune importanti testimonianze, tra cui quella dello speleologo Tullio Bernabei che si calò nel pozzo. Viene smentita ancora ogni ipotesi dolosa: l'imbragatura attorno al bimbo fu messa dai soccorritori.
[modifica] Citazioni

I Baustelle dedicano ad Alfredo Rampi la canzone Alfredo inclusa nell'album Amen del 2008 che ne critica soprattutto l'aspetto mediatico. C'è anche il romanzo "Dies irae" di Giuseppe Genna, in cui l'autore riprende la tesi della dolosità.
Il cantautore Renato Zero fece un rapido accenno alla vicenda, nel brano "Per carità", inserito in uno dei suoi doppi album dei primi anni ottanta, Artide Antartide, cantando:
«Se muore un bambino,/C'è un teleobiettivo!»,
un riferimento che oggi sembra velato e addirittura qualunquista, ma all'epoca (il disco esce proprio nello stesso 1981), l'evento ebbe una tale risonanza da essere colto al volo anche in un'affermazione apparentemente generica e lapidaria come questa, soprattutto calcolando l'enorme e fedele seguito che aveva Zero per l'epoca. Anche qui, la prevalenza è per l'aspetto mediatico. Tra l'altro, il verso in questione segue: «L'inchiesta s'apre e si chiude!» e precede «Per carità, non staccare gli occhi mai dalla tivù», due frasi altrettanto significative, che incorniciano la vicenda in un ambiente di ironica critica dell'aspetto prettamente mediatico della situazione.
Fabri Fibra, nella canzone Su le Mani (Tradimento), cita la tragedia con la frase «non credo nel destino da quando ho visto Alfredino ti assicuro quella storia mi ha scioccato da bambino»
Il rapper italiano Kaos One, nella traccia "Fino alla fine" del suo album "Fastidio", cita la tragedia con la frase «Messo peggio di Alfredino dentro al pozzo...».

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