10 luglio, 2012
PROMEMORIA 10 luglio 1976 Disastro diossina a Seveso
Disastro diossina a Seveso
Con il termine disastro di Seveso si fa riferimento all'incidente avvenuto il 10 luglio 1976 nell'azienda ICMESA di Meda, che provocò la fuoriuscita di una nube di diossina del tipo TCDD, una tra le sostanze tossiche più pericolose. La nube tossica investì una vasta area di terreni nei comuni limitrofi della bassa Brianza, in particolare Seveso.
Verso le 12:37 di sabato 10 luglio 1976, nello stabilimento della società ICMESA sito nel territorio del comune di Meda, al confine con quello di Seveso, il sistema di controllo di un reattore chimico destinato alla produzione di triclorofenolo, un componente di diversi diserbanti, andò in avaria e la temperatura salì oltre i limiti previsti. La causa prima fu probabilmente l'arresto volontario della lavorazione senza che fosse azionato il raffreddamento della massa, e quindi senza contrastare l'esotermicità della reazione, aggravato dal fatto che nel processo di produzione l'acidificazione del prodotto veniva fatta dopo la distillazione, e non prima.
L'esplosione del reattore venne evitata dall'apertura delle valvole di sicurezza, ma l'alta temperatura raggiunta aveva causato una modifica della reazione che comportò una massiccia formazione di 2,3,7,8-tetraclorodibenzo-p-diossina (TCDD), sostanza comunemente nota come diossina, una delle sostanze chimiche più tossiche.
La TCDD fuoriuscì nell'aria in quantità non definita e venne trasportata verso sud dal vento in quel momento prevalente.[1] Si formò quindi una nube tossica, che colpì i comuni di Meda, Seveso, Cesano Maderno e Desio. Il comune maggiormente colpito fu Seveso, in quanto si trova immediatamente a sud della fabbrica.
Le prime avvisaglie furono l'odore acre e le infiammazioni agli occhi. Non vi furono morti, ma circa 240 persone vennero colpite da cloracne, una dermatosi provocata dall'esposizione al cloro e ai suoi derivati, che crea lesioni e cisti sebacee. Per quanto riguarda gli effetti sulla salute generale, essi sono ancora oggi oggetto di studi. I vegetali investiti dalla nube si disseccarono e morirono a causa dell'alto potere diserbante della diossina, mentre migliaia di animali contaminati dovettero essere abbattuti. La popolazione dei comuni colpiti venne però informata della gravità dell'evento solamente 8 giorni dopo la fuoriuscita della nube.
La decontaminazione
Il territorio colpito fu suddiviso in tre zone a decrescente livello di contaminazione sulla base delle concentrazioni di TCDD nel suolo: zona A, B, e R.
Le abitazioni comprese nella zona A, la più colpita, furono demolite e il primo strato di terreno venne rimosso; gli abitanti furono evacuati e ospitati in strutture alberghiere. La zona A venne presidiata dalle forze dell'ordine per impedire a chiunque di entrarvi.
La zona B, contaminata in minor misura, e la zona R, ovvero zona di rispetto, vennero tenute sotto controllo e vi fu imposto il divieto di coltivazione e di allevamento.
Successivamente vennero create due enormi vasche di contenimento, costantemente monitorate, nelle quali venne riposto tutto ciò che era presente nella zona A, il terreno rimosso e anche i macchinari utilizzati per la demolizione e gli scavi. Al di sopra di queste due vasche sorse il Parco Naturale Bosco delle Querce, oggi aperto alla popolazione.
Alcune conseguenze a lungo termine
Ricerche effettuate verso la fine degli anni novanta sulla popolazione femminile hanno mostrato, a venti anni di distanza, una relazione tra esposizione alla TCDD in periodo prepuberale e alcuni disturbi.
Uno studio pubblicato nel 2008 ha evidenziato come ancora a 33 anni di distanza dal disastro gli effetti, misurati su un campione statisticamente ampio di popolazione[2] siano elevati. Nello studio, in sintesi, la probabilità di avere alterazioni neonatali ormonali conseguenti alla residenza in zona A delle madri è 6,6 volte maggiore che nel gruppo di controllo. Le alterazioni ormonali vertono sul TSH, la cui alterazione, largamente studiata in epidemiologia ambientale, è causa di deficit fisici ed intellettuali durante lo sviluppo.
È stato rivelato inoltre che negli anni novanta sono nate molte più bambine che bambini. Ciò è stato correlato al fatto che molti dei genitori di questi neonati erano adolescenti all'epoca del disastro e quindi si presume che la diossina abbia in qualche modo alterato lo sviluppo dell'apparato riproduttivo, prevalentemente quello maschile.
L'ipotesi dell'aumento di tumori riscontrati nella zona è invece controversa. All'epoca del disastro, molti scienziati avevano sollevato la possibilità di un considerevole aumento dei casi tumorali nell'area, ma ricerche scientifiche hanno evidenziato invece che il numero di morti per tumore si sia mantenuto relativamente nella media della Brianza; i risultati di tali ricerche sono però contestati da alcuni comitati civici.
Seveso e la legislazione sull'aborto
La diossina è una sostanza altamente teratogena, capace quindi di creare gravi malformazioni ai feti. Nonostante all'epoca del disastro in Italia l'aborto fosse praticamente vietato, fatte salve alcune deroghe concesse dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 27 del 1975, nelle quali non rientrava comunque il caso delle ipotetiche malformazioni ai feti, il 7 agosto 1976 i due esponenti democristiani l'allora Ministro della sanità Luciano Dal Falco e quello della giustizia Francesco Paolo Bonifacio, ottenuto il consenso del Presidente del consiglio Giulio Andreotti, autorizzarono aborti terapeutici per le donne della zona che ne avessero fatto richiesta. Aborti vennero praticati presso la clinica Mangiagalli di Milano e presso l'ospedale di Desio. I resti degli aborti furono inviati in Germania, a Lubecca, per gli opportuni controlli. La risposta ufficiale giunse nel 1977: pur non essendo evidenti i segni di malformazioni, non era possibile stabilire se queste si sarebbero sviluppate, dato che: «Alcune anomalie congenite, in particolari quelle minori a carico di certi organi – per esempio il cervello – non sono identificabili nelle prime fasi di sviluppo. Inoltre, le conclusioni che si possono trarre da questi studi devono tenere conto del numero limitato di casi studiati, del fatto che gli embrioni erano di diversa età e fase di sviluppo, e del fatto che nella maggior parte dei casi l'embrione non era integro». Altre donne portarono a termine le loro gravidanze senza problemi, i loro figli non mostrarono segni di malformazioni evidenti.
All'epoca uniche voci importanti di dissenso furono Il Giornale di Indro Montanelli che scrisse: «Il rischio è per i bambini, non per la madre: si tratta di aborto eugenetico, e non terapeutico» e il cardinale di Milano, Giovanni Colombo, che disse: «Non uccidete i vostri figli, le famiglie cattoliche sono pronte a prendersi cura di eventuali bambini handicappati». Il dibattito sulla necessità di una regolamentazione dell'aborto attraverso leggi dello stato da anni interessava l'opinione pubblica, acquistando vigore proprio da questo evento e dal dramma che stavano vivendo le donne della zona contaminata. Si arrivò pertanto all'emanazione della Legge 194 del 22 maggio 1978, confermata poi dal referendum del 1981.
Testimonianze sull'evento
A questa triste vicenda si è ispirato il cantautore Antonello Venditti per scrivere Canzone per Seveso, pubblicata nell'ottobre del 1976 nell'album Ullalla, che analizza i fatti accaduti tentando di individuarne le cause profonde. Testimonianza degli avvenimenti avvenuti nel primo anno dopo la fuga si possono trovare nel libro "Visto da Seveso" di Laura Conti, consigliere regionale della Lombardia ai tempi del disastro, edito da Feltrinelli nel 1977.
« ...voi, che vivete tranquilli nella vostra coscienza di uomini giusti,
che sfruttate la vita per i vostri sporchi giochetti
allora, allora ammazzateci tutti! »
(Antonello Venditti, Canzone per Seveso)
Recupero ambientale
Nell'area più inquinata (Zona A), il terreno fu depositato in vasche. Fu apportato un nuovo terreno proveniente da zone non inquinate ed effettuato un rimboschimento, che ha dato origine al Parco Naturale Bosco delle Querce.
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