11 aprile, 2010

PROMEMORIA 11 aprile 1987 - Muore, probabilmente suicida, Primo Levi, cadendo o gettandosi dalle scale della sua casa di Torino


Muore, probabilmente suicida, Primo Levi, cadendo o gettandosi dalle scale della sua casa di Torino.
Primo Levi (Torino, 31 luglio 1919 – Torino, 11 aprile 1987) è stato uno scrittore italiano autore di racconti, memorie, poesie e romanzi.
Nel 1944 venne deportato nel campo di sterminio di Auschwitz. Il suo romanzo Se questo è un uomo, che racconta le sue esperienze nel lager nazista, è considerato un classico della letteratura mondiale.
Primo Levi venne trovato morto nell'aprile 1987 alla base della tromba delle scale di casa sua, dando adito a sospetti di suicidio.[1][2][3]

Biografia
Nato il 31 luglio 1919 da Ester Luzzati e Cesare Levi, appartenenti ad una famiglia di origini ebraiche proveniente dalla Provenza e dalla Spagna, Primo Levi vive un'infanzia turbata da alcune incomprensioni con il padre, dovute ad una notevole differenza di età e ad un differente carattere. Nel 1934 si iscrive al liceo classico "Massimo d'Azeglio" di Torino, noto per aver ospitato docenti illustri e oppositori del fascismo come Augusto Monti, Franco Antonicelli, Umberto Cosmo, Norberto Bobbio, Cesare Pavese, Massimo Mila, Leone Ginzburg e molti altri. Questi insegnanti furono però allontanati, e il clima politico lì presente si raffreddò.
Studi universitari e prime esperienze lavorative [modifica]
Nel 1937 si diploma e si iscrive al corso di laurea in chimica presso l'Università di Torino. Nel novembre del 1938 entrano in vigore in Italia, dopo che in Germania l'antisemitismo si è manifestato attraverso atti di violenza e sopraffazione, le leggi razziali, che introducono gravi discriminazioni ai danni dei cittadini italiani che il regime fascista considera "di razza ebraica".
Le leggi razziali hanno un determinante influsso indiretto sul suo percorso universitario ed intellettuale. Scrive: "Nella mia famiglia si accettava, con qualche insofferenza, il fascismo. Mio padre si era iscritto al partito di malavoglia ma si era pur messo la camicia nera. Ed io fui balilla e poi avanguardista. Potrei dire che le leggi razziali restituirono a me, come ad altri, il libero arbitrio."
Le leggi razziali precludono l'accesso allo studio universitario agli ebrei, ma concedono di terminare gli studi a quelli che lo hanno già intrapreso. Levi è in regola con gli esami, ma, a causa delle leggi razziali, ha difficoltà a trovare un relatore per la sua tesi; si laurea comunque nel 1941, a pieni voti con lode, con una tesi in fisica. Il diploma di laurea riporta la precisazione «di razza ebraica». In quel periodo suo padre si ammala di tumore. Le conseguenti difficoltà economiche e le leggi razziali rendono affannosa la ricerca di un impiego. Viene assunto in maniera semi illegale in un'impresa che lo incarica di trovare un metodo economicamente conveniente per estrarre le tracce di nichel contenute nel materiale di scarto di una cava d'amianto. A questo periodo risalgono i primi esperimenti letterari, due brevi racconti pubblicati molti anni dopo all'interno del romanzo Il sistema periodico.
Nel 1942 si trasferisce a Milano, avendo trovato un impiego migliore presso una fabbrica svizzera di medicinali. Qui Levi, assieme ad alcuni amici, viene in contatto con ambienti antifascisti militanti ed entra nel Partito d'Azione clandestino.

Nel campo di Auschwitz
Nel 1943 si inserisce in un nucleo partigiano operante in Val d'Aosta. Poco dopo, nel dicembre 1943, viene arrestato dalla milizia fascista nel villaggio di Amay sul versante verso Saint-Vincent del Col de Joux (tra Saint-Vincent e Brusson) e trasferito nel campo di transito di Fossoli presso Carpi in provincia di Modena. Il 22 febbraio 1944, Levi ed altri 650 ebrei vengono stipati su un treno merci (oltre 50 individui per vagone) e destinati al campo di concentramento di Auschwitz in Polonia. Levi fu qui registrato (con il numero 174 517) e subito condotto al campo di Buna-Monowitz, allora conosciuto come Auschwitz III, dove rimase fino alla liberazione da parte dell'Armata Rossa. Fu uno dei venti sopravvissuti fra i 650 che erano arrivati con lui al campo. Levi attribuisce la sua sopravvivenza a una serie di incontri e coincidenze fortunate. Innanzitutto, leggendo pubblicazioni scientifiche durante i suoi studi, ha appreso un tedesco elementare. Di rilevante importanza è parimenti l'incontro con Lorenzo Perrone, un civile occupato come muratore, che, esponendosi a un grande rischio personale, gli fa avere regolarmente del cibo. In un secondo momento, verso la fine del 1944, viene esaminato da una commissione di selezione, incaricata di reclutare chimici per la Buna, una fabbrica per la produzione di gomma sintetica di proprietà del colosso chimico tedesco IG Farben. Insieme ad altri due prigionieri (entrambi poi deceduti durante la marcia di evacuazione) ottiene un posto presso il laboratorio della Buna, dove svolge mansioni non faticose e ha la possibilità di contrabbandare materiale con il quale effettuare transazioni per ottenere cibo. Nel far ciò si avvale della collaborazione di un altro prigioniero a cui è molto legato, Alberto, anch'egli italiano. Infine, nel gennaio del 1945, immediatamente prima della liberazione del campo da parte dell'Armata Rossa, si ammala di scarlattina e viene ricoverato nel "Ka-be" (dal tedesco Krankenbau, in italiano infermeria del campo) scampando così fortunosamente alla marcia di evacuazione da Auschwitz (nelle quali sarebbe morto Alberto, che Primo non aveva potuto contagiare con la scarlattina avendola quest'ultimo già contratta in età infantile).
Il viaggio di ritorno in Italia, narrato nel romanzo La tregua, sarà lungo e travagliato. Si protrarrà fino ad ottobre, attraverso Polonia, Bielorussia, Ucraina, Romania, Ungheria, Germania ed Austria.

Chimico e scrittore
L'esperienza nel campo di concentramento lo ha profondamente sconvolto fisicamente e psicologicamente. Giunto a Torino si riprende fisicamente e riallaccia i contatti con i familiari e gli amici superstiti dell'olocausto. Non trovando impiego si sposta a Milano, dove viene assunto da una fabbrica di vernici. Mosso dalla prorompente necessità di testimoniare l'incubo vissuto nel Lager, si getta febbrilmente nella scrittura di un romanzo testimonianza sulla sua esperienza ad Auschwitz, che verrà intitolato Se questo è un uomo. In questo periodo conosce e si innamora di Lucia Morpurgo, che diventerà sua moglie. Levi afferma come questo incontro sia stato fondamentale per la stesura di Se questo è un uomo, permettendogli di passare dalla prospettiva dolorosa di un convalescente a quella descritta dall'autore nel libro Il sistema periodico, con queste parole: «un'opera di chimico che pesa e divide, misura e giudica su prove certe, e s'industria di rispondere ai perché». Nel 1947 termina il manoscritto, ma molti editori, tra cui Einaudi, lo rifiutano. Viene pubblicato da un piccolo editore, De Silva. Nonostante la buona accoglienza della critica, inclusa una recensione favorevole di Italo Calvino su L'Unità, incontra uno scarso successo di vendita. Delle 2500 copie stampate, se ne vendono solo 1500, soprattutto a Torino.
In questo periodo Levi abbandona il mondo della letteratura e si dedica alla professione di chimico. Dopo una breve esperienza come lavoratore autonomo con un amico, trova impiego presso la Siva, una ditta di produzione di vernici di Settimo Torinese, di cui, in seguito, assumerà la direzione fino al pensionamento.
Nel 1956, a una mostra della deportazione a Torino, incontra un riscontro di pubblico straordinario. Riprende fiducia nei suoi mezzi espressivi. Partecipa a numerosi incontri pubblici (soprattutto nelle scuole) e ripropone Se questo è un uomo ad Einaudi che decide di pubblicarlo. Questa nuova edizione incontra un successo immediato.
Nel 1959 collabora alle traduzioni inglese e tedesca. Quest'ultima traduzione è particolarmente significativa per Levi. Uno degli obiettivi che si era proposto scrivendo il suo romanzo era far comprendere al popolo tedesco che cosa era stato fatto in loro nome, e di fargliene accettare una responsabilità almeno parziale.
Incoraggiato dal successo internazionale, nel 1962, quattordici anni dopo la stesura di Se questo è un uomo, incomincia a lavorare a un nuovo romanzo sull'odissea durante il ritorno da Auschwitz. Questo romanzo viene intitolato La tregua e vince la prima edizione del Premio Campiello, del 1963. Nella sua produzione letteraria successiva, prendendo spunto dalle sue esperienze come chimico, l'osservazione della natura e l'impatto della scienza e della tecnica sulla quotidianità diventano lo spunto per originali situazioni narrative.
Nel giugno 1971 è tra i firmatari dell'appello pubblicato su "L'espresso" che denunciavano il commissario Calabresi come «un torturatore», «responsabile della morte di Pinelli».
Nel 1975 decide di andare in pensione e di dedicarsi a tempo pieno alla sua attività di scrittore. Nello stesso anno esce la raccolta di racconti Il sistema periodico, in cui episodi autobiografici e racconti di fantasia vengono associati ciascuno ad un elemento chimico.
Nel 1978 pubblica La chiave a stella. Questo romanzo, concepito durante i suoi numerosi soggiorni lavorativi, rappresenta un omaggio al lavoro creativo, ed in particolare a quel gran numero di tecnici italiani che hanno lavorato in giro per il mondo a seguito dei grandi progetti di ingegneria civile portati avanti dall'industria italiana dell'epoca (anni sessanta e settanta). Nel Luglio del 1978 La chiave a stella vince il premio Strega.
Nel 1982 torna al tema della Seconda Guerra Mondiale raccontando in Se non ora, quando? le avventure picaresche di un gruppo di partigiani ebrei di origini polacche e russe, che tendono imboscate ai tedeschi sul fronte orientale e giungeranno ad attraversare i territori del Reich sconfitto, sino a Milano, da dove alcuni prenderanno la via della Palestina per partecipare alla costruzione dello stato di Israele.
Nel saggio I sommersi e i salvati (1986) torna per l'ultima volta sul tema dell'Olocausto. Levi cerca di analizzare con distacco la sua esperienza, chiedendosi perché le persone si siano comportate in quel modo ad Auschwitz, e perché alcuni sono sopravvissuti e altri no. In particolare estende la sua analisi a quella a cui si riferisce come "la zona grigia", ovvero quegli ebrei che si erano prestati a lavorare per i tedeschi controllando gli altri prigionieri nei campi di concentramento.
L'11 aprile del 1987 Primo Levi muore cadendo dalla tromba delle scale della sua casa di Torino, dando adito al sospetto che si trattasse di un suicidio.[1] Questa ipotesi è avvalorata dalla difficile situazione personale di Levi che si era fatto carico della madre e della suocera malate. Il pensiero ed il ricordo del lager avrebbero, inoltre, continuato a tormentare Levi anche decenni dopo la liberazione, sicché egli sarebbe in un qualche modo una vittima ritardata della detenzione ad Auschwitz. Il suicidio di Levi rimane comunque un'ipotesi contestata da molti, poiché lo scrittore non aveva dimostrato in alcun modo l'intenzione di uccidersi e anzi aveva dei piani in corso per l'immediato futuro.[2][3]
Primo Levi abbandonò la fede ebraica dopo la terribile esperienza del lager: "Devo dire che l'esperienza di Auschwitz è stata tale per me da spazzare qualsiasi resto di educazione religiosa che pure ho avuto. C'è Auschwitz, dunque non può esserci Dio. Non trovo una soluzione al dilemma. La cerco, ma non la trovo.", dichiarò in un'intervista.

Lo stile letterario
Lo stile letterario di Primo Levi, come emerge dalle sue maggiori opere, è uno stile di stampo realista-descrittivo. Si tratta infatti di una narrazione asciutta, sintetica ed esauriente quanto basta per comprendere i sentimenti e lo sfondo sociale dell'ambientazione dell'opera: stile che ben si adatta al vasto pubblico a cui Levi intende rivolgersi, in special modo nella trattazione di un argomento di estrema importanza, come quello della prigionia in un Lager.
Esistono comunque differenze significative tra le varie opere, soprattutto Se questo è un uomo. L'opera prima fu infatti composta molto rapidamente, quasi con furia, sentendo incalzare la necessità di testimoniare il dramma, ancora molto recente all'epoca dei fatti; per le opere successive, a partire da La Tregua, Levi compone i propri libri in modo molto più sistematico, dandosi precise scadenze e scrivendo praticamente in orari prestabiliti. Questo dato composito è chiaramente rilevabile durante la lettura: se lo stile di Se questo è un uomo tradisce tutta l'urgenza della testimonianza immediata del sopravvissuto, ne La Tregua si riflette un'emozione differente.

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