02 febbraio, 2007

PROMEMORIA - 2 febbraio 1989 - Invasione sovietica dell'Afghanistan: l'ultima colonna blindata dell'Unione Sovietica lascia Kabul, ponendo fine a nov


L'invasione sovietica dell'Afghanistan cominciò agli inizi del 1980 e terminò con il ritiro delle truppe dell'Unione Sovietica il 2 febbraio 1989 anche se l'URSS comunicò ufficialmente il completo ritiro delle proprie truppe solo il successivo 15 febbraio.
Situazione politica mediorientale
L'attacco all'Afghanistan, secondo i piani di Mosca, sarebbe dovuto essere il primo tassello di un progetto di allargamento della propria sfera d'influenza in tutto il Medio Oriente, controllando quindi una risorsa vitale per l'economia, il petrolio arabo.
Durante gli anni compresi tra il ritiro delle truppe anglo-sovietiche dall'Iran e la firma del Patto di Baghdad, cioè tra il 1946 ed il 1955, l'area mediorientale fu assai poco coinvolta nella Guerra Fredda ma la crisi di Suez ed il continuo variare del prezzo dell'oro nero portarono alla creazione di un gruppo di paesi filo-occidentali membri del Patto di Baghdad (Turchia, Iraq, Iran, Pakistan e naturalmente Israele) e un gruppo di paesi filo-sovietici che ricevevano aiuti economici dall'URSS (Siria, Giordania, Egitto, Palestina ed Arabia Saudita).
La cintura di stati favorevoli agli USA era considerata dalle autorità russe una grave minaccia per la sicurezza del perimetro meridionale ma soprattutto la presenza di basi militari americane impediva l'accesso alle loro risorse petrolifere.
Una crepa nel sistema anti-sovietico si verificò nel 1958 quando in Iraq scoppiò la rivoluzione a seguito dell'assassinio di Nuri es-Said e vennero inviate da Mosca armi ed aiuti finanziari al nuovo regime, da allora, stimolato dalla possibilità di avere successo nell'intricato scacchiere politico dell'area nacque il piano che avrebbe portato alla guerra in Afganistan.
Il progetto sovietico
Breznev all'inizio del 1980 si trovava di fronte ad una stagnazione del modello di crescita estensiva dell'economia programmata ed inoltre il quadro politico internazionale era caratterizzato da un completo immmobilismo, per risollevare le sorti dell'URSS cercò di ravvivarlo energicamente attuando il progetto di conquiste su larga scala nato negli anni '60.
Esso consisteva nel cosiddetto "effetto domino" che avrebbe dovuto coinvolgere tutto il Medioriente. L'Afghanistan era la prima parte: il paese, montuoso, governato dai clan, fortemente impregnato di nazionalismo e legato alla fede musulmana, mal si addiceva al modello comunista, intransigentemente ateo e centralizzato importato dai russi nei loro satelliti, quindi era necessaria una massiccia invasione militare molto capillare per eliminare le sacche locali di resistenza. I dirigenti sovietici lo temevano per la sua natura ma pensavano che fosse un ostacolo facile e non compromettente.
In seguito la promiscuità con il Pakistan avrebbe attivato i gruppi comunisti che adeguatamente spalleggiati avrebbero probabilmente fatto assumere al governo una posizione filo-russa anche in chiave anti-indiana. In Iran, importantissimo fornitore di greggio all'Europa, si sarebbe fomentata la rivolta degli studenti delle università, tradizionalmente protagonisti della scena politica sin dalla rivolta contro il re del 1979, che avrebbe costretto le compagnie americane a fuggire dal paese.
L'Iraq, la Giordania e l'Egitto, dove già erano presenti commissari politici sovietici, sarbbero rientrati di buon grado nella sfera d'influenza russa intravvedendo la via al nazionalismo pan-arabo. L'Arabia Saudita avrebbe approfittato della situazione per svincolarsi dalle compagnie petrolifere occidentali trovando nei paesi del blocco comunista un ottimo cliente.
Gli altri stati del Golfo (Kuwait, Quatar, Emirai Arabi,Oman) seppur filo-americani, sotto pressione si sarebbero rinchiusi nella equidistante neutralità senza più fornire petrolio agli Stati Uniti ed Israele, accerchiato, avrebbe cercato un compromesso per la sopravvivenza.
Grazie a questo piano Breznev prevedeva di mettere in ginocchio, non tanto gli Stati Uniti, che però avrebbero dovuto attingere dalle cosiddette "risorse strategiche", quanto l'Europa, totalmente dipendente delle estrazioni nel Golfo, aprendo così nuovi scenari mondiali in posizione di superiorità rispetto al mondo occidentale privato della sua più importante risorsa.
L'invasione
Il 1 gennaio 1980 50.000 soldati, 2000 carri armati T-52 e 200 aerei si riversarono nel Paese passando dal Turkmenistan, in appoggio alla fazione marxista del Partito Democratico del Popolo Afghano, contro cui combattevano i mujaheddin (fondamentalisti islamici), i filoiraniani e gli anticomunisti.
Gran parte del mondo protestò contro l'invasione, in particolare gli Stati Uniti dopo aver annunciato un embargo, lo misero in atto tagliando tutte le forniture di grano e di tecnologie ed in seguito boicottarono anche le XXII Olimpiadi che si tennero a Mosca.
La resistenza era guidata dal popolarissimo Ahmad Shah Massoud, già famoso per aver lottato contro la colonizzazione inglese e che in seguito combatté anche i Talebani. Gli USA sovvenzionarono i mujaheddin, fornendo loro ingenti quantità di armamenti, fra cui missili terra-aria FIM-92 Stinger, con cui abbattono numerosi velivoli sovietici e del governo afghano. Le stesse armi con cui i mujaheddin aggredirono i russi saranno poi riutilizzate dai talebani contro l'invasione anglo-americana avvenuta in seguito all'attacco alle Twin Towers dell'11 settembre 2001.
Il ritiro
Nel febbraio 1989 il Cremlino decise il ritiro. Per l'Unione Sovietica, con 13.833 morti, fu l'equivalente della guerra del Vietnam per gli Stati Uniti.
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