04 febbraio, 2007

...RICORDARE VINICIO!!!

Ricordare Vinicio raccontando un po’ della sua storia.
VIA DEI CAPPELLARI A Vinicio
Questa è parte della vita di Vinicio,
così come ce l’ha raccontata lui.
Alcune vicende sono state completate
con elementi di fantasia.
È’ sempre stato suo grande desiderio
avere un racconto
che narrasse della sua vita.
Per la memoria e per l’amore.
A Terni nevicava. L'immacolata concezione era una festa di purezza e candore ed il dono della neve era una cara manna che la tradizione pagava volentieri in fatica e fame. Casa C. era fremente di grida e strepiti vari, la scala delle note si esprimeva coordinata e ritmica alla scala severa delle età. Vinicio dormiva. Il suo silenzio era la melodia più dolce, la sua quiete era rara e quando compariva era per tutti motivo di soddisfazione e compiacimento. E di gratitudine a Dio. Terni città d'inopia e contadina. Il latte di mamma era povero, insapore e poco nutriente. Come le terre di una conca maledetta dagli uomini e da chissà quale santo scorbutico e incazzato. Vinicio cresceva giorno per giorno, come giorno per giorno una famiglia di nove persone sbarcava il lunario e si garantiva un pranzo ed una cena, magari solo un pranzo, magari solo una cena.

- Non possiamo andare avanti così...
- Quest'ultimo tormento! Hai parlato con tua sorella?
- Sì... Ha detto che riferiva al marito... sembrava scossa, ma mi ha fatto capire che si farà...

Il 1933, Terni-Roma, collegamento ferroviario dalle tre quattro tratte giornaliere, terza classe puzzolente, scomoda, sedili in legno grezzo spesso sfondato, bandiere fasciste e giovani balilla disciplinatissimi che sfilano per i corridoi quale sfarzo di un regime speranzoso, ricco di orgoglio e simboli antichi, dai pantaloni decorati e le tasche vuote. Le fermate erano molte. La vigilia di Natale sembravano ancora di più. Già a Narni le vetture si riempivano di gente dalle disparate caratteristiche ed età. Militari che rientravano nella capitale dopo mesi di servizio; commessi viaggiatori stanchi della vendita aggressiva e gonfi nelle tasche di soldi, cheque, cambiali; prelati chiamati all'ufficio vaticano per la maratona natalizia; turisti borghesotti di paese che incontrano la città nel giorno di Gesù con i loro vestiti nuovi dalla foggia ridicola e luculliana. Barboni in cerca di carità, zappatori in cerca di lavoro e fortune, mercanti, truffatori, ladri, assassini pentiti, assassini recidivi, peregrini, blasfemi, scrittori, artisti, musicisti.
Vinicio. Gli sbalzi della carrozza, lo scuotevano. Vinicio si lamentava. Sua madre si lamentava.

- Ancora poche ore cara... e tutto passerà...
- Ancora poche ore e comincerà la vera sofferenza...

Stazione Termini, ore 15.30, 24 dicembre 1933. Roma. Capitale di una giovane nazione. Controlli all'uscita, la dogana fermava molte più persone.

- Documenti!
- Buongiorno... ecco, a lei...
- Ternani, motivo del viaggio?
- Veniamo per le feste, ci stanno i miei cognati, guardi, sono laggiù che ci aspettano...
- Il bambino?
- Oh... mio figlio Vinicio... lo lasciamo qualche tempo da loro... sa, da noi si soffre il freddo di questi tempi, non abbiamo riscaldamenti, solo uno di quei camini a legna... a dire il vero pure la legna scarseggia... il taglio quest'anno è stato poco, hanno detto che più di tanto non potevamo...
- Ho capito... vada... vada... si ricordi di far registrare l'infante ai registri comunali...
- Sì... sì... grazie... gli uffici comunali...
La zia di Vinicio era una donnina secca, molto alta, mora dai capelli ricci, un crine lungo e ben curato, da dama cittadina, da parrucchiere degno della capitale. Il marito era un uomo buffo, dalla barba folta e bianca, il vestito sbrindellato, qualche bracciale, il copricapo nero a nascondere una calvizie irregolare e pregna di cicatrici malricomposte. Era un incrocio riuscito alla meno peggio fra Babbo Natale, Marx e Salandra. Abitavano in centro, in una casa senza pretese, con tutto ciò che basta a sopravvivere e, a volte, a vivere dignitosamente. Ci si arrivava a piedi, dalla stazione, sarà stato un chilometro, un chilometro e mezzo. Una corte in Via Leonina, quartiere Monti, la ospitava.

A dire il vero, per le ricorrenze, quelle stanze così alte e dai marmi grigi, erano un po’ fredde. La famiglia C. le aveva evitate a lungo, quanto più possibile, solo una qualche pasqua ed un paio di carnevali romani, che per stagione e occasione prendevano colore da sé. Per il resto, funerali. Quelli del padre di lei (il nonno di Vinicio), della madre di lui. Adattissima per i funerali, soprattutto il salone centrale dove la bara avvolta dai lumini si confaceva perfettamente alle tinte porpora dei battiscopa e delle porte. Appena arrivarono papà C. lasciò cadere i bagagli leggeri, tirò fuori i pochi doni, salutò con affetto i nipoti composti e ossequiosi (in fondo era un estraneo), portò Vinicio nella camera degli ospiti e chiese dispensa per un sonnellino. La ottenne. Mamma C. aiuto la sorella nella preparazione delle leccornie da vigilia: saltimbocca, gnocchi, arrosto, rombo, verdure miste di campo e qualche buon dolce. La cena fu consumata silenziosamente, come ventiquattro dicembre non era un granché, almeno dal punto di vista della socialità, provò a spezzare il gelo zio Aldo.
- Allora Giuseppe, come prevedi i raccolti? la terra regge bene all’inverno?
- Ah… lascia perdere… oramai ci rimangono solo le bestie, il futuro è della bestia in Italia, la terra si secca in estate, si ghiaccia in inverno, è sempre più sterile…
- E gli alberi? Le viti?
- Olivi ne abbiamo spremuti, certo… t’ho portato dell’olio… lo hai assaggiato?
Aldo ebbe un’involontaria espressione di ribrezzo, si ricompose subito, fece cenno di sì col capo e accennò un mezzo sorriso, poi si rituffò nel silenzio per la vergogna.
Ci provò Graziella, la zia.
-Oh sì Giuseppe, ottimo! L’ho usato per i saltimbocca, non senti che sapore?
-Già… i saltimbocca, ottimi…
Rilanciò Aldo.
- Beh, non è stata una stagione grandiosa, ma così, tosto, è molto più salubre…
- Giusto, giusto, più salubre… ma il vino… del vino che ci dici? Come mai non c’è il vino di Giuseppe sulla tavola… cosa… cosa stiamo bevendo? Ah maledetto Aglianico… vini campani?! Graziella! Prendi il Vitiano di Giuseppe!
Graziella finse un gesto di scusa e assecondò il marito non mancando di una nascosta occhiataccia, Aldo era un pessimo attore, la sua retorica infastidiva tutti, pure Vinicio prese a lagnarsi.
- Il piccolo Vinicio…
- Sai Aldo, ti sono grato per quello che state facendo a noi e a lui..
- La famiglia è la famiglia! D’altronde qui a parte quei due mascalzoni che ora vedi cheti e seduti nella loro fanciullesca eleganza (ma son dei mascalzoni dico, eccome!), noi non abbiamo altro, né un’anima né una bestia da mantenere, e il commercio va bene, per me, dunque… Vinicio lo cresceremo bene… e quando vorrete, lo troverete qui, ad aspettarvi, per una visita o per una partenza.
- Grazie, davvero grazie.
Vinicio beveva il suo latte dal biberon che Graziella aveva comprato il giorno stesso al mercato rionale, puzzava ancora di plastica nuova. Giuseppe lo osservò a lungo, sospirò due o tre volte, poi riprese a mangiare. Non ci fu fiato fino alla mezzanotte. Poi ci pensarono i bambini, Giacomo e Giovanni, a trasformarsi in irrequieti demoncelli… si misero a correre per tutto l’appartamento… gridando: “I REGALI, I REGALI!!!”. Furono accontentati:

Da Aldo a Giacomo. Il primo grembiule da scuola.
Da Aldo a Giovanni. Un nuovo grembiule da scuola.
Da Graziella a Giacomo. Una confezione di cioccolata.
Da Graziella a Giovanni. Vedi da Graziella a Giacomo.
Da Graziella a Aldo. Una cravatta.
Da Aldo a Graziella. Una pentola.
Da Aldo e Graziella a Giuseppe e Carla. Una busta con dei soldi.
Da Giuseppe e Carla a Aldo e Graziella. Un cartone di vino e due di olio.
Da Giuseppe e Carla a Giacomo. Un maglione, forse un po’ largo.
Da Giuseppe e Carla a Giovanni. Un maglione, forse un po’ stretto.
Da Aldo e Graziella a Vinicio. Una culla, due biberon, un ciuccio.
Da Giuseppe e Carla a Vinicio. Un fantoccio.

Vinicio giocò tutto il giorno successivo col fantoccio. Quando i suoi genitori lo salutarono in lacrime, lui dormiva. Con il suo fantoccio.
Non li rivide per dodici anni.
Vinicio adorava Campo De Fiori, ci passava le giornate, a far cricca con gli amici, a giocare con la palla di carta e lacci, a far scherzi ai turisti e ai barboni. Era un gran vagabondo. A casa c’era pochissimo, ma quando ci tornava, la sera, portava con sé sempre qualcosa, come un grande cacciatore, un conquistatore. Una volta una mela, una volta un pezzo di carne (quando proprio sentiva di essere un re), una volta una moneta, qualche volta una bella multa per disturbo alla quiete pubblica o molestie. A quattordici anni, aveva la furbizia e la maestria di uno sgamato trentenne. Derideva tutti e per scommessa, faceva le cose più impensate. Un monello. Uscito da un romanzo di Victor Hugo, o da una poesia di Baudleaire. La mattina del 22 dicembre 1945, con gli americani ancora in giro a regalar tabacchi e cioccolata, a Vinicio non fu permesso di uscire. Aldo, oramai cinquantacinquenne e canuto perfino nelle sopracciglia, lo costrinse a stare in casa…
- Oggi dobbiamo dirti una cosa importante, io e Graziella
Il momento fu alla fine del pranzo.
-Stasera tu parti per Terni, insieme a noi
- Terni? E che c’entro io con… oh mio Dio!
- Sì, ho ricevuto una lettera dei tuoi genitori, l’hanno spedita subito dopo la guerra, tramite un ufficiale dei marines… è giunta solo oggi. Dicono che stanno bene e che vogliono rivederti. E pensare che… oh… quanto tempo. Non sei contento?
- Non lo so… non so se voglio… voi siete i miei genitori… io… io non voglio tornare a Terni!
- Figliuolo, tranquillo. Noi staremo con te. È solo una visita. Li conosci, un giorno, due, poi torniamo a Roma. E dico torniamo.
Vinicio abbracciò lo zio.
- Promettilo
- Lo prometto.
- Va bene, andiamo.
- Va a preparare le tue cose. C’è una navetta militare che parte alle cinque. Abbiamo il visto, ma dobbiamo sbrigarci.
Vinicio corse in camera sua.
La camionetta militare non era un granché comoda. Fortunatamente non era affollata e la presenza civile era limitata ad Aldo e a suo nipote. Questo fattore garantiva una presenza di cattivi odori praticamente nulla e il freddo dicembrino abbassava le possibilità di sudate impertinenti. La strada per Terni era per molti tratti interrotta e le mulattiere non permettevano, a forza di scossoni, un regolare riposo al frastornato Vinicio. Lo scenario alternava foreste di conifere lungo la Flaminia, alle macerie disarmanti delle case abbattute dagli stessi soldati che ora proteggevano quella gente che avevano costretta ad abbandonare abitazioni e fienili. Ai confini provinciali posti di blocco con barriere marcate MA USA, salutavano con cenni ampi il passaggio del mezzo militare e, solo a volte, fermavano il conducente per scambiare qualche considerazione o magari solo qualche divertente chiacchiera. Fatto sta che Vinicio non li capiva, a dire il vero non capiva neppure il motivo per il quale avrebbe voluto capirli, e neppure il motivo per il quale non avrebbe voluto averci a che fare. Quando arrivarono a terni era già buio pesto, le nove della sera erano scandite dal campanile sopravvissuto della chiesa di San Valentino, anche se il rumore della campana era parecchio più sordo del 1943, l'urto di qualche bomba sul vicino palazzo l'aveva certamente danneggiato. James Knowladge era il capitano che si occupava di interloquire con i passeggeri e più in generale con gli italiani. Disse ad Aldo che li avrebbe accompagnati alla tenuta. Era evidente che la presenza di foresi per la città dopo una certa ora era decisamente pericolosa. Lasciò loro perfino un lasciapassare, nel caso in cui qualche ufficiale americano avesse fatto dei controlli e li pregò di muoversi con cautela, Terni non era Roma, la sicurezza e l'ordine erano ristabilite certo, ma c'erano molte falle.
- Capito Mister niente giretti dopo otto e mezzo...
- Non si preoccupi, le ho spiegato i motivi della visita, la lettera l'ha letta...
- Yeah... Mi raccomando sempre con lei The Pass...
Fu proprio James a scendere nei pressi della masseria. Disse che già diverse volte avevano cercato di rapinare la famiglia C.. Giuseppe e i suoi figli non erano molto ospitali con gli sconosciuti, a meno che non portassero la divisa. Dopo quattordici anni Aldo e Vinicio erano facilmente scambiabili per sconosciuti. Vinicio osservò attentamente la procedura. La camionetta si accostò all'ingresso principale. James scese iniziando a urlare il nome di Giuseppe C. e presentandosi come capitano delle forze armate americane. Si accesero i lumi e Giuseppe uscì con il suo fucile da caccia spianato. James mostrò il suo tesserino. Giuseppe abbassò il fucile. James spiegò loro tutto. Giuseppe lasciò cadere il fucile, sparì in casa per pochi minuti. Intanto James fece entrare la camionetta, fece scendere Aldo e Vinicio. Giuseppe riapparve, dietro di lui una donna anziana e grassa, era la moglie. Era la madre di Vinicio.
- Vinicio questa è tua madre... questo è tuo padre...
- La madre fece per abbracciarlo
Vinicio si scostò.
- Ti capisco.
Disse Carla.
- Venite, vi preparo una stanza calda.
Disse Giuseppe.
Aldo salutò ringraziando capitan James, prese per mano Vinicio, accostò la bocca al suo orecchio sussurrando un "coraggio" poco credibile. Vinicio sospirò e lo seguì. Sapeva che entrare in quella casa gli avrebbe cambiato la vita.
Pensò che prima o poi la vita doveva cambiare a tutti.
Passarono molti giorni. Non uno, non due, come promesso. Giuseppe aveva chiesto ad Aldo di prolungare la permanenza. Lui e Carla erano separati in casa da oramai dieci anni, da cinque non si parlavano più. Il ritorno di Vinicio li aveva riavvicinati miracolosamente. Aldo aveva acconsentito. Sebbene sapesse che Vinicio non era a proprio agio e che Graziella avrebbe avuto qualche difficoltà. La scusa ufficiale fu la mancanza di un passaggio per il rientro . Con questa fandonia Aldo placò i sospetti di Vinicio per almeno due settimane. Poi, il ragazzo, sveglio quanto basta per spiare ed origliare, scoprì presto le trame degli adulti e, come un vero uomo, prese in disparte lo zio e gli confessò tutto il suo disagio, il suo odio, la sua rabbia per l’imbroglio.
- Se partecipi a questa truffa… se mi obblighi a stare qui… finirò per odiare anche te…
- Oh, ragazzo mio… so che per te è difficile… ma sono i tuoi genitori… loro ti amano…
- Io li detesto… portami via…. Ti prego.
Vinicio pianse. Si trattenne con grande vigore finché poté, ma alla fine cedette e pianse. Aldo si ricordò delle lagne dell’infante Vinicio, i primi giorni dopo il commiato di Giuseppe e Carla.
- Va bene. Il prossimo passaggio è fra tre giorni, domani parlerò con James, noi saremo su quella camionetta.
Il giorno dopo Aldo si levò di mattino presto, si vestì di tutto punto, s’infilò il cappello e uscì salutando Giuseppe che tagliava la legna. Vinicio lo seguì con lo sguardo e seppe con certezza che non gli stava mentendo. Trascorse la mattinata con un’allegria insolita. Giocò coi fratelli più grandi, aiutò Carla a fare i mestieri e Giuseppe a preparare il fuoco. Volle pure metter mano ai fornelli e mostrare, con superbia, quanto fosse romano lui, nell’esecuzione di una carbonara perfetta. Chiamò a sé la famiglia, tirò fuori la pentola e vi mise l’acqua a bollire, poi la padella, dentro olio e aglio, guanciale, vino bianco. “Le uova a parte”, disse e con gesti teatrali, mise in un piatto i rossi delle uova, formaggio, pepe nero, scuotendo il tutto con abilità. Quando la pasta fu cotta, la mantecò nell’olio e guanciale, per poi spegnere il fuoco e rovesciarvi il miscuglio giallo, sottolineando l’importanza del metodo.
Era squisita. Fu un pranzo glorioso. La sua gioia per la fuga imminente lo rendeva amorevole e quasi misericordioso verso quella povera gente che osava dichiararsi la sua “famiglia”. “Ebbene” pensava, “se questa è la mia famiglia io sono diventato adulto a due anni”.
Aldo Torno per cena. Appena entrò in casa, lo sguardo di Vinicio cercò un cenno d'intesa, di complicità, che non trovò. Aldo abbassò la testa, aveva in una mano un foglio, nell'altra un fazzoletto. Gli occhi erano lucidi. Non mangiò. Andò in camera e chiuse. Poco dopo aprì a Giuseppe, i due parlarono, Giuseppe uscì pallido, andò da Carla e le parlò. Carla scoppiò a piangere. Vinicio non capiva. Bussò alla sua porta.
- Zio che succede?
- Nie... niente piccolo, torneremo, torniamo, come ti ho promesso.
Vinicio pensò che le reazioni dei suoi genitori, fossero dovute alla notizia della sua partenza. Andò a dormire con un leggero senso di colpa. Quando si svegliò Aldo non c'era più. Al lato del suo letto trovò un messaggio brevissimo, recitava all'incirca così:
"RAGAZZO MIO, NON SO COME DIRTI CHE E' SUCCESSA UNA CATASTROFE. TUA ZIA E' MORTA. IL TUO POSTO NON E' PIU' A ROMA. NON PUO ESSERE PIU' A ROMA. IO VADO. TU RESTA CON LA TUA VERA FAMIGLIA, IMPARA AD AMARLA".
Vinicio strappò il foglio, gettò un urlo. Non pianse, si guardò allo specchio. Osservò la sua rabbia accrescersi, salire, non esplodere in lacrime.
- Oggi sono un uomo
Bofonchiò come un serpente. Fece la valigia e uscì di casa.
- Io torno a Roma, in un modo o nell'altro.
Scrisse sulle tende della sua stanza.
E torno a Roma. In un modo o nell'altro.
Vinicio a Roma. Vinicio a Roma da solo. Dove dormire? Cosa mangiare? cosa fare per guadagnare qualche lira? Vinicio da solo a Roma. Vinicio iniziò a cercare lavoro. Pensò che di lavoro ce ne sarebbe stato molto. D'altronde bisognava ricostruire, gli americani con la libertà avevano portato le loro belle banconote verdi. O con le loro belle banconote verdi avevano portato la libertà. Non importa, fatto sta che il lavoro si sarebbe trovato.
Ma il lavoro non si trovò.
Il ciabattino non aveva abbastanza scarpe.
Il muratore non aveva abbastanza calce.
L'imbianchino non aveva abbastanza bianco.
Vinicio non aveva abbastanza cibo. E cominciò a rubare quello degli altri. Lo rubò una volta, due volte, alla terza fu preso dalle guardie.
Finì in galera per trenta giorni.
Almeno aveva un tetto sulla testa e qualche brodaglia calda da cacciar giù nello stomaco esile e stretto.
Quando uscì trovò un impiego saltuario da un ex ricettatore, un certo Armando, calabrese, che aveva deciso di mettersi in regola ed importare orologi americani, con tanto di certificato.
Vinicio consegnava, in bicicletta. Tra paga e mance riusciva a mangiare almeno una volta al giorno e almeno una volta al mese a farsi una doccia presso un albergo di Roma.
Per dormire, beh, qualche amico se l’era fatto, quindi un po’ qui, un po’ là, trovava ospitalità (a volte in cambio di qualche favore).
Così sopravvisse per due anni.
Una mattina mentre passava sul lungotevere, di ritorno da una consegna ai prati, esattamente da Via Germanico, trovò un posto di blocco.
- Alt
Vinicio si fermò. Il poliziotto lo squadrò. I suoi sedici anni portavano con sé le vicissitudini di una vita di stenti, di conquiste, di abbandoni. Era robusto, il viso bello e pieno, dai lineamenti marcati ma armoniosi.
- Documenti!
Disse l’ufficiale.
Vinicio non era di Roma. O meglio, abitava a Roma, ma non era residente a Roma, purtroppo era ancora ternano.
- Di Terni? A Roma? Ha un lavoro?
Il suo lavoro non era ufficiale, di denunciare Armando, proprio non gli andava.
- No
- Come vive?
- Gli amici mi aiutano
- Un barbone…
- No
- Beh ragazzo mio, mi dispiace, ma devo rimandarti a Terni, la legge parla chiaro, per stare a Roma, devi risiedervi, per risiedervi devi lavoravi.
Vinicio si accigliò. Ebbe l’ardire di replicare, pur seccato.
- Sì, va bene. Ma se per lavorarvi devi risiedervi e per risiedervi devi lavorarvi, dove sta la soluzione? Uovo o gallina?
Alle tre del pomeriggio era già a Terni. In stazione lo aspettava il commissario che, avvisato dalla questura di Roma tramite telegramma, si era presentato per vistare il protocollo di espulsione e per dare una pacca sulla spalla a Vinicio e ributtarlo sulle strade di Terni. Era estate. Il caldo a Terni era più caldo. Appena uscito dalla stazione, Vinicio andò in cerca di una fontana, per risciacquare l’ugola e il viso. Ne trovò una in piazza Mazzini. Una donna di media statura, grassa e dalle guance rosse lo fissava a cinque metri di distanza. Era sua madre. Accanto a lui un uomo alto, distinto, i baffi e il cappello, il gesso ad un braccio e ad una gamba.
- V. che ci fai qui?
- Eheh… e son venuto a trovarvi
- Ah figlio mio… questo è Angelo, il mio… ehmm… non se hai saputo?
- Sì sì… me l’ha detto Cesare, è stato a Roma a trovarmi… piacere Angelo, io sono Vinicio, il figlio di Carla.
- Piacere Vinicio, o meglio, sarebbe stato un maggior piacere se non mi fossi fatto trovare in queste condizioni, ma quella matta di tua madre…
- Bada a come parli davanti a mio figlio!
Carla era una donna che sapeva imporsi. Il nerbo della bracciante si associava all’innato talento di retore e ne faceva una temibile avversaria, in caso di discussione. I due iniziarono ad altercare e si dimenticarono celermente del ragazzo, il quale, anche un po’ compiaciuto ne approfittò divincolandosi dai loro epiteti scurrili. Gli rimase in un certo qual modo, un’amara curiosità.
Che ci facevano sua madre e il suo concubino in piazza, con lui ingessato, a litigare così violentemente? Decise di andare ad informarsi proprio da quel Cesare, detto il “giornalista”. Perché in effetti era un giornalista (non erano poi così fantasiosi i ternani). Gazzetta Terzana, il gossip di un tempo. Lui si occupava di cronaca rosa, sapendo far ridere la cittadina, con il suo umorismo alla Pirandello. Cesare e Vinicio si vedevano spesso nella capitale, il primo in cerca di notizie sui ternani nella capitale, i faccendieri, i nobili, i deputati. A volte però, per dare il giusto contrappasso, raccontava le storie dei poveracci a Roma. Questo era stato il loro motivo di conoscenza. Il loro motivo di amicizia. Un’intervista. Da allora mantenevano i contatti e spesso cesare aiutava Vinicio, con cene e posti dove riposare.
Una volta gli pagò persino una prostituta.
Vinicio raggiunse la sede della Gazzetta in tarda serata. Trovò Cesare intento a redigere l’articolo del giorno a macchina. Era tardi, pensò, forse lo avrebbe disturbato. Restò sulla porta del suo ufficio per alcuni momenti, indeciso sul da farsi, ma fu lo stesso Cesare ad accorgersi della sua presenza.
- chi è là? Oh Vinicio… ciao… che sorpresa! Vecchio figlio di puttana, che ci fai qui?
- Ecco sì a proposito di mia madre…
- L’hai incontrata? Sai tutto? Quando sei arrivato?
- Oggi, e non per mia volontà, mi ha fermato la polizia, e per via della residenza…
- Ti han dato il foglio di via! Se mi permetti, domani scrivo un pezzo su questo scandalo, questa legge scandalo.
- Va bene… fa un po’ come vuoi! Ma riguardo a mia madre, che dovrei sapere?
- Oh, una storia divertentissima… ecco ho giusto appena finito il trafiletto, leggi, leggi pure, si commenta da solo.
Vinicio prese in mano il dattiloscritto mentre Cesare sogghignava, divorò quel pezzo voracemente abbozzando dei mezzi sorrisi.
" Terni. Continuano le peripezie di Carla Leboselli, ex moglie di Giuseppe C.. Dopo il recente scandalo che l'ha vista separarsi definitivamente dal marito, per un nuovo concubino, tal Renato De Magistris, Perugino e di nobile discendenza, la bella Carla non ha risparmiato il suo nuovo compagno da una magra e dolorosa figura.
Stamani, infatti, dopo la consuetudinaria messa delle 11.00, l'ex signora C. ha tardato il rientro a casa, scatenando l'ira gelosa del sospettoso Renato. Una lite subitanea ha coinvolto la bislacca coppia tanto che Carla, insofferente alle patetiche urla di Renato, è uscita di casa sbattendo la porta. A quel punto, Renato nel massimo della collera e della pateticità ha osato gridare dalla finestra:
< Se te ne vai mi butto di sotto >
Carla debole di udito ha malauguratamente risposto un gesto di stizza costringendo l'orgoglio di Renato a promuovere il fattaccio.
Risultato: un braccio ed una gamba rotta per Renato, un grosso spavento per Carla.
Cesare Vagliani"
Vinicio scosse la testa. Chiese a Cesare se fosse andato a Roma nei giorni venturi. Cesare gli disse che sarebbe partito il pomeriggio successivo. Vinicio chiese un passaggio. Cesare glielo accordò.
Intorno ai vent'anni Vinicio prese a frequentare assiduamente Via dei Capellari. Era la strada della sua adolescenza e da qualche tempo era divenuta la strada della sua sopravvivenza. In Via dei Cappellari era il suo nuovo lavoro, o meglio abitava il suo nuovo datore di lavoro, un capomastro originario di testaccio. In Via dei Cappellari abitavano i suoi migliori amici, gli amici che gli offrivano ospitalità e che gli avevano trovato lavoro. Ora, in Via dei Cappellari viveva anche una giovane fanciulla di circa diciotto anni, scura di crine, esile e magra, eppure molto bella e raffinata nei modi. La sua famiglia non se la passava benissimo, ma neppure malissimo. La guerra non li aveva arricchito, ma nemmeno lasciati in mutande. Diciamo che lavoravano e sbarcavano il lunario a fine mese. Vinicio si era innamorato. Era successo per la prima volta, non che non avesse avuto altre donne, molte ne aveva possedute, ma di questa si era innamorato. I-n-n-a-m-o-r-a-r-s-i... parola difficilissima da pronunciare quando la superficie della tua anima è fatta di asfalto e di sampietrini. Parola difficilissima da pronunciare quando sei pervaso dal sentimento e ti fa paura persino l'idea di incontrare e dover guardare negli occhi l'altra persona. Specialmente se l'altra persona è fidanzata, con uno più grosso e più ricco di te. Se l'altra persona è l'amica di un amico e ti tocca vederla a tutte le cene in cui c'è il tuo amico, a tutte le feste in cui c'è il tuo amico. Se poi per caso ti capita di essere ubriaco e di baciarla, e di ricevere uno schiaffo perché l'hai baciata. Ah Vincenza, piccola dolce Vincenza, odiosa e maledetta Vincenza. Amore mio, impossibile passione.
Guglielmo glielo aveva detto di stare attento. Vinicio era un pazzo nel suo ordinario, figuriamoci in una situazione così nuova e straordinaria come l'amore. Guglielmo era il ragazzo di Vincenza. Vinicio era l'uomo che amava più di ogni altro uomo Vincenza. Vinicio mandava rose a Vincenza, rose rubate, rose strappate, rose comprate. Vinicio aspettava Vincenza agli angoli di ogni strada di Roma. Ti pareva di vederlo lì, tra Via Marche e Via Piemonte, ad aspettarla fuori dal lavoro. Lì, in Via delle Quattro Fontane, sotto la porta di casa di sua zia. In Via dei Cappellari, fino a notte tarda nei pressi del suo cortile, a guardare una finestra aspettando che lei si affacciasse e magari, come di rado capitava, lanciargli un sorriso, magari anche un ironico e sprezzante sorriso, ma comunque un sorriso. Guglielmo lo aveva avvisato. E come dopo ogni avviso, segue un fatto, o perlomeno così succedeva al tempo di Vinicio, così successe quella volta. Guglielmo aspettò Vinicio nei pressi di Via Veneto, conosceva perfettamente il suo percorso, da giorni lo pedinava. Vinicio arrivava da Via XX settembre, imboccò la via principale passando davanti all'Hotel Excelsior, salutò i facchini, scroccò una sigaretta e accendendola prese Via Sardegna. Si trovò davanti Guglielmo. E tre amici suoi. Finse di non conoscerlo e tentò di divincolarsi puntando l'altra parte del marciapiede. Il passaggio di un'automobile glielo impedì. Guglielmo lo afferrò da dietro, lo spinse in un vicolo, e lo picchiò forte sul muso. Vinicio cadde sanguinante. Si rialzò. Fu risteso. Si rialzo. Fu risteso.
Vincenza andò a trovarlo in ospedale. Lo trovò bendato e silente, quando entrò nella stanza Vinicio dissimulò una certa indifferenza. Lei si avvicinò a lui, lo baciò sulla fronte, con le lacrime agli occhi, gli chiese scusa. Poi cercò di baciarlo sulla bocca, in un gesto istintivo, privo senso, privo di collocazione. Vinicio ebbe l'intuizione di evitarlo. Lei si rapprese e uscì, mentre usciva ancora piangeva.
Passò una settimana, due settimane, tre settimane. Vinicio lasciò l'ospedale.
Vincenza lasciò Guglielmo.
Vincenza era innamorata di Vinicio. Vinicio la evitava.
Ah Vinicio, piccolo e dolce Vinicio, odioso e maledetto Vinicio, amore mio, impossibile passione.
Vincenza aspettava Vinicio agli angoli di ogni strada di Roma. Ti pareva di vederla lì, all'incrocio di Via Tiburtina con Via Dei Volsci, sotto il cantiere di un palazzo in ristrutturazione. Oppure tra in Piazza Barberini, ai mercati generali, in Via del Corso, a seguire i suoi traffici di merce usata, con cui Vinicio arrotondava lo stipendio.
Un giorno Guglielmo avvisò anche Vincenza.
E dopo l'avviso seguì un fatto.
Stesso luogo per la posta. Stessa cricca.
Orario diverso.
La prese, le strappò i vestiti, la percosse e cercò di possederla.
Si sentì afferrare da dietro. Era Vinicio. Guglielmo cadde a terra con un colpo in faccia. Di bastone. Così caddero gli altri tre delinquenti. Si rialzarono. Furono ristesi. Si rialzarono, Furono ristesi.
Guglielmo finì in ospedale.
Vinicio e Vincenza finirono per fidanzarsi.
Bisognava procurarsi il certificato di residenza. Questo esigeva la giusta riuscita di un matrimonio. Lo esigeva la legge. Un foglio stampato che attestava che Vinicio era rintracciabile in qualsiasi momento in un luogo fisico identificato e registrato, dalle forze dell'ordine. Dunque, bisognava andare a Terni. Di tempo ce ne doveva stare parecchio, secondo i piani iniziali dei due fidanzati. Non fosse per il fatto che il solito parente faccendiere e magnanimo, aveva fatto al buon Vinicio, la solita proposta che non si può rifiutare. "Vieni a lavorare da me a Savona, lì sì, industrie, progresso e ricchezza".
Sembrava uno spot elettorale, quando declamava le immense risorse della Liguria. Vinicio c'era cascato. Oddio, con il suo solito cinico e disilluso gusto per il rischio, la libertà di sapere che indietro, checché se ne dica, si può sempre tornare. E allora via, convinci Vincenza e via, prepara il matrimonio alla svelta. Una settimana. Viaggio a Terni. Ancora un viaggio a Terni. Questa volta in moto, già perchè Vinicio si era fatto la moto. Due ruote per due ruote, con un motore in più. Arrivò che l'ufficio comunale era in chiusura. All'anagrafe avevano tutti poca voglia di lavorare, la pausa pranzo incombeva e la fame emetteva il suo sordo richiamo. Vinicio entrò sicuro di sé, era un omone prestante oramai, ingrassato di qualche chiletto, ma robustissimo. L'amore lo aveva abbellito.
- Buongiorno
Disse, con il suo tono di voce forte, quello delle grandi occasioni.
- Buongiorno
Rispose l'impiegata con il suo tono scocciato da mezzogiorno e mezzo.
- Dovrei fare un certificato di residenza
- Lei è di qua?
- Se non fossi di qua, come farei a farlo?
- Dico abita qua?
- No sto a Roma
- E' sicuro che lei è residente qua?
- Sì, ma perchè scusi?
- Perchè è la prima volta che la vedo
- Le ho detto che abito a Roma
- Beh, capisco, ma è la prima volta che chiede un certificato di residenza? mi sembra tanto adulto.
- E' la prima volta...
- Sarà. Nome?
- Vinicio C.
- Dunque, Vinicio... oh che strano nome... è sudamericano lei?
- No sono Ternano... di Terni... Abito a Roma... ho fretta... e lo so... è strano.... non faccio ding e dong quando parlo.
- Scorbutico... Comunque lei non risulta.
- Come???
- Non è in archivio.
- Che significa?
- Che lei non è di Terni
Vinicio iniziò a tremare, guardò corvo la donna, brutta grassona, alzò la voce
- Mi chiami il responsabile d'ufficio.
- Non c'è
- Senta le do' trenta secondi per chiamarlo, dopodichè io la prendo, la strangolo, la uccido e poi venite a cercare un uomo senza nome e cognome e soprattutto senza residenza...

Indovinate un po'? bravi. La donna andò a chiamare il capoufficio. Il quale spiegò a Vinicio che probabilmente i suoi genitori si erano dimenticati di dichiararlo all'ultimo censimento.
- Che cosa devo fare? Io fra una settimana mi sposo
- Semplice, ora io mandò una richiesta a Roma. Se Roma risponde negando la sua residenza nella capitale, allora noi le attribuiamo la residenza ternana. In teoria la posta parte oggi pomeriggio, proprio come lei, se tutto si muove celermente, dovrebbe farcela.
Vinicio pranzò in un ristorante del centro, poi ripartì. Aspettò tre giorni e decise di andare a verificare presso gli uffici di Roma se la pratica fosse stata evasa, se le sue speranze di sposarsi entro la data fissata non fossero vane. Gli fu confermato che la lettera era arrivata e che l'avevano rispedita. Vinicio ripartì il giorno stesso per Terni.
- Buongiorno
Stesso ufficio stessa impiegata
- Le chiamo subito il capoufficio
Dopo alcuni minuti, tornò, dimenandosi, una serie di gestacci, dietro di lui il capoufficio.
- Salve...
- La mia pratica è pronta?
- Guardi non abbiamo ancora ricevuto nulla...
- Ma come?? sono passato dall'ufficio di Roma questa mattina, mi han detto che han rispedito tutto l'altro ieri stesso, mi hanno garantito che avrebbe dovuto essere arrivata ieri.
- Qui non c'è ripassi domani....
Vinicio se ne andò furioso. Attese due giorni per sicurezza, poi risalì a Terni, questa volta con Vincenza.
- Buongiorno
- Capoufficio! Capoufficio! la prego venga qua!
- S... Lei... ehmm
- E adesso basta. Mi vuol spiegare cosa cazzo succede?
- Il fatto è che non è arrivata...
- Senta mi dice dove arriva la posta? qual'è l'ufficio?
- Sta al primo piano interrato, chieda di Palladini.
Vinicio scese le scale con una foga unica, lasciò Vincenza al bar del Municipio e corse giù...
- Mi scusi Palladini...
- Per di là secondo ufficio a destra
Primo ufficio, secondo ufficio, bussa.
- Chi è?
- Salve sono Vinicio C. ho bisogno di un'informazione...
Passano due minuti. Vinicio sta per ribussare, la porta si apre, un omino occhialuto dal crine canuto, lo sguardo assente, compare davanti a lui. - Dica
- Senta non è che è arrivata una lettera da Roma, indirizzata all'ufficio anagrafe, per conoscenza a me, Vinicio C.
- No... niente di simile vada... vada...
Tra Palladini e la porta entro uno spettro di luce, s'intravidero appena cataste da lettere da sistemare... fu un attimo. La porta si chiuse. Vinicio fece due passi per andare, per tornare da Vincenza. Poi ebbe quella visione più chiara. Fece per ribussare, preferì aprire direttamente.
- Cosa... Cosa fa lei qui? insomma le ho detto...
- Senti nanetto... ora mi metto qua e cerco la mia lettera... va bene... altrimenti il comune di Terni dovrà aprire il bando per un posto di smistatore postale.Tre ore venti minuti e la lettera fu trovata. Vinicio la portò all'anagrafe ed ebbe il suo certificato.
Il giorno dopo andarono a Roma, per l'unione civile, Vinicio tronfiamente portò il suo certificato e al momento di firmare, lo consegnò per le verifiche al segretario comunale.
- Signor C. questo certificato...
- Il mio?
- Sì. Beh, vede c'è un errore nel cognome questa a dovrebbe essere una o.
- c... come?
- Sì, vede, hanno sbagliato
- E che che ci vuole... una o una a... cambiala un po'
- No... no vede signor C.
Aggiunse il segretario con un sorriso che si spense davanti all'espressione di rabbia crescente sul volto di Vinicio.
- Lo deve far correggere dove lo hanno fatto...
- Ma che stai fuori?
- Signor C. badi a come parla!
Vinicio fu trattenuto da Vincenza. il suo braccio si era già levato in aria. Riscese come scende un deltaplano da un monte ostico.
- Buongiorno
- Oh mio Dio ancora lei... capouf...
- No aspetti, credo possa risolverlo lei questo problema, mi serve una correzione.
L'impiegata corresse il foglio.
Vinicio e Vincenza si sposarono il giorno 21 ottobre 1956.
La cerimonia fu semplice e breve. Il prete li sposò e li benedisse con voce sospirante. Quasi volesse chiedere pietà a Dio per due scellerati che si univano in una famiglia senza famiglia. Non una casa, un lavoro precario, al massimo tremila lire in tasca. Il pranzo fu a casa dei genitori di Vincenza. Si mangiò e si mangiò pure tanto. Ecco le fettuccine, ecco l'abbacchio, ecco il dolce. Ecco lo zio cagnola (così chiamato perchè guidava la carrozza con un cane in parte) che con aria sospetta si avvicina a Vinicio e gli proferisce a mezza bocca:
- Vinicio ma con quanto parte sto matrimonio?
- E con quanto parte? parte con tre-mila-lire...
- Tu sei matto! esci coi confetti...
- Cagno' sei tu il pazzo... se esco coi confetti a questi piglia una paralisi...
- Fidati esci con i confetti... per primo passa da me...
Vinicio mandò giù.
- Ok...
Prepararono i confetti. Uscì Vincenza e dietro lui col suo vocione.
-Viva gli sposi!
La sala da pranzo si ghiacciò. Tutti muti. Ma Vinicio riprese, sicuro di sè, dirigendosi verso il cagnola.
- Viva gli sposi.
Il cagnola mise cinquemila lire sul piatto. Cinquemila!! Dico cinquemila! Se qualcuno ancora bisbigliava, zittò pure il cane.
- Viva gli sposi.
- Viva gli sposi.
Alla fine erano settantamila lire. Il cagnola si riprese le sue cinque.
A Savona? Un mese. E di corsa a Roma. Con pochi soldi rimasti, ira, ma sempre tanta voglia di vivere. A dire il vero tanta voglia di vivere a Roma.
Ingredienti per un buon viaggio di ritorno:
1. Un lavoro precario
2. Due capireparto odiosi
3. Uno stipendio a fine mese da fame
4. Liti in famiglia, Q.B.
A Roma li aspettava in box auto. Ottima dimora per chi è completamente inatteso dai suoceri, che hanno già archiviato la pratica Vincenza, sicuri di averla sistemata a 500 km di distanza. Dopo qualche mese arrivò la grazia di una stanza, era già estate, perlomeno Vincenza avrebbe partorito in un luogo avente la parvenza di una casa. Già, Vincenza era in cinta. Sebbene non si privasse di nulla, era in dolce attesa. Mangiava come sempre, lavorava come sempre, si permetteva addirittura qualche gita al mare. E fu intorno al settimo mese di gravidanza che, quando vennero a trovarla due amici di Terni, Pino e Luisella, si decise per un viaggio veloce e pazzo in motocicletta, fino ad Ostia.
Partenza: Via Dell’Aventino. Arrivo: Ostia Lido. Percorso: Via del Mare.
Dopo quattro chilometri, iniziano le buche. Poi ci si mettono anche le radici di quei pini marittimi tanto secchi e trascurati da esaltare il degrado di un mare avviato verso un inesorabile sfruttamento.
Un sobbalzo, due sobbalzi, la moto di Pino era robusta, ammortizzatori e carrozzeria ultimo modello, alle sue spalle ansimava la lambretta di Vinicio, instancabile e agguerrita, ma maldestra e troppo troppo lenta. Al sesto sobbalzo all’altezza di Malafede, Vincenza fermò il centauro con forti pacche sulla spalle.
- Sto male Vini…
- Che hai?
- Boh! Penso sia meglio tornare a casa.
- Il bimbo?
- No, non so, le buche, sto catorcio…
- Ah va bene… famo’ che torniamo a casa…
Vinicio si accostò accanto a Pino, il quale nel frattempo aveva notato dagli specchietti la lambretta arrestarsi repentinamente ed i due coniugi discutere farsescamente.
- Pino, Vincenza non si sente ben
- Torniamo a casa
- Ti spiace se viene su con te, credo che la tua moto sia più stabile…
- Ah, ok, niente scossoni.

Il tono di pino era ironico, scossoni, stava per buche certo, ma anche per litigi. Pino riportò a casa Vincenza, Vinicio li seguì con Luisella, salutò i due amici e si diresse con un po’ di anticipo al lavoro. Tornò a casa verso le diciannove. Sulla porta di casa fu fermato dalla vicina, certa Cesarina, vera perpetua, che lo apostrofò:
- Vinicio, ma che ha combinato Vincenza?!
- Che ne so, sta a casa…
- Ma come? Non è in ospedale, a partorire?
- Ma che dici?!!! È di sette mesi… sta a casa… ce l’ho portata io con Pino, oggi pomeriggio.
- Ah… ‘Mazza’ Vinicio quanto è maligna la gente… Quanto è maligna!
Vinicio non rispose, fu infastidito dall’ultima frase della vecchia, come percosso in un punto imprecisato, tra cuore ed orgoglio, aprì la porta d’ingresso, dissimulando una certa disinvoltura, appena richiusa, iniziò a correre chiamando. Niente! Su per la scale chiamando, Niente!
Finché non si affacciò la cognata.
- Vini… eccoti finalmente!
- Che è successo?
- Vincenza sta al Pertini… sta per…
- A sette mesi?!
- Che ne so è prematuro… se vuoi dom… Vinicio aspetta a quest’ora non puo ricevere visite…
Vinicio si era perduto almeno cinque sesti dell’ultimo strillo di voce petulante della cognata.
Era sulla sua Lambretta, sfrecciante, incurante di sensi unici, traffico, vigili urbani.
Al Pertini, pensava, perché mai?
Fu all’ingresso alle venti e quarantacinque.
Alt.
- Mia moglie partorisce
- Non si può visitare dopo le 19
- Mia moglie partorisce
- Mi dispiace
- Mavvaff..
Vinicio fece cenno con la mano che se ne sarebbe andato, accese la lambretta, girò l’angolo, appena raggiunse un punto sicuro ed accessibile della cancellata, scavalcò. Da lontano si sentivano i latrati dei cani ed i passi delle guardie.
Dopo un po' si sentirono solo i suoi di passi.
Corsa e Fuga. Fuga e arrivo.
- Scusi la sala gestanti?
- Scusi Vincenza C.?
- Scusi la sala operatoria?
- Scusi sono il marito...
- Scusi la posso vedere?
Dalla nascita di Patrizia iniziò un periodo di miglioramento continuo. Gli anni '60 furono gli anni del boom e Vinicio e Vincenza ebbero la possibilità di trovare un lavoro ed una casa stabili. Vinicio venne assunto come consegnatario, mentre Vincenza trovò un lavoro da cuoca presso una caserma militare.
La casa sarebbe stata quella di sempre, naturalmente in Via dei Cappellari. Era molto grande, centoventi metri quadrati, dieci volte quella prima stanza che li vide timidamente sposati, qualche anno prima. L'affitto era caro, metà dello stipendio di Vinicio; per pagarlo con continuità i coniugi C. affittavano spazi per dormire a tutti quei viandanti e vagabondi che avessero avuto bisogno di un alloggio notturno e diurno: cappellai, castagnari, rappresentanti, giovani studenti. Per gli anni in cui l'affittarono, l'appartamento era tenuto bene, molto bene. L'arredo era discreto e di legno massiccio, i muri erano ben pittati e non c'erano tracce di umidità. Unico neo, il lavandino, era ammaccato ed il proprietario non aveva nessuna intenzione di cambiarlo.
Ci pensò Vinicio, in un caldo giorno di Maggio, ad ovviare al problema. Un ottimo posto dove trovare un lavandino?il tevere. Altezza Ponte Mazzini. E che fatica a tirarlo su quel lavandino. Con un amico, e amomenti ci finivano sotto, al Tevere.
Gran casa comunque, mancava solo il televisore.
Finché un giorno arrivò.
- Cara!! Presto cara!!
- Che c'è Vinicio?
- Sorpresa
- E quella cos'è? oh signore...
- Sì... la televisione...
- Grandioso, ma dove l'hai presa? Con che soldi?
- Un affare
- Uhmmm... sputa il rospo...
- E' a gettoni...
- Che significa a gettoni?
- Paghiamo a consumo, la TV è gratis, si è tenuto solo una cambiale a garanzia.
- E come funziona?
- Guarda...
Vinicio inserì una monetina da due lire nella gettoniera e la TV si accese. C'era il telegiornale, a breve sarebbero cominciate le olimpiadi.
In pochi giorni la voce si era diffusa in tutto il palazzo. I Vicini di casa, i condomini, persino alcuni dei residenti del cortile accanto, popolavano casa C. per seguire il rischiatutto, i TG, le partite, ognuno portando una monetina da due lire.
Finché una mattina Patrizia non si sentì male. Servivano le medicine, non c'erano i soldi. Servivano i soldi per le medicine. Vinicio scassinò la gettoniera.
Svuotò la gettoniera.
Comprò le medicine.
Riparò la gettoniera.
Da quel giorno la Tv si vide bene o male quasi sempre gratis.
Il negoziante passava.
- Questo mese siamo stati in ferie, fuori Roma.
- La Tv non la guarda quasi più nessuno
- E' estate, usciamo molto i più.
Il quarto mese il negoziante non passò, il quinto nemmeno, il sesto si scoprì che era fallito.
Da quel giorno la Tv si vide sempre gratis.
Poi ne venne una a colori.
Al secondo canale si aggiunse il terzo. Poi arrivò la FININVEST.
Poi arrivarono i nipoti, da Patrizia, da Renato.

Vinicio era nonno.
Vinicio il bambino piangente.
Vinicio il figlio ribelle.
Vinicio il galeotto.
Vinicio il latin lover.
Vinicio il padre.

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