26 marzo, 2010
PROMEMORIA 26 marzo 1957 Federico Fellini riceve l'Oscar per Le notti di Cabiria
Federico Fellini riceve l'Oscar per Le notti di Cabiria.
Le notti di Cabiria è un film drammatico del 1957 diretto da Federico Fellini, vincitore dell'Oscar al miglior film straniero.
Trama
Cabiria (Giulietta Masina) è una giovane donna arrivata a fare il mestiere più antico del mondo perché deve sopravvivere alla miseria che l'ha afflitta per tutta la vita. In realtà non ha niente della classica "battona" romana di cui Fellini ci dà una rassegna nella scena della "Passeggiata archeologica", uno dei consueti luoghi di raccolta delle prostitute romane.[1]
Cabiria si riconosce come prostituta perché così vuole essere ma è una gracile donnina con una pelliccetta spelacchiata, un visino tondo dagli occhi spalancati, una zazzeretta da clown che le incornicia il volto, con una borsetta che agita nel vuoto per darsi un contegno: è insomma una caricatura di quelle che Fellini disegnava nel progettare i suoi film; si potrebbe dire quasi che Cabiria è una maschera della Commedia dell'Arte.[2] Una figurina che messa a confronto con la sua amica Wanda (Franca Marzi), questa sì il prototipo della classica, materna, monumentale "battona" romana, rivela tutta la sua incongruenza con il mestiere che Cabiria ha scelto di fare.[3]
Cabiria infatti non è una prostituta neppure nell'animo: ha conservato tutta la sua candida ingenuità e spontaneità nel voler credere, senza alcuna diffidenza, a quelle offerte d'amore che essa crede d'incontrare nella sua vita. Reagisce quando si scontra con la malvagità del mondo, con un'alzata di spalle, con una cantata e con un balletto. S'illude che qualcuno possa interessarsi a lei sia pure per una compagnia a pagamento come quella che le offre il mitico divo del cinema Alberto Lazzari (Amedeo Nazzari) che, spinto dalla noia e per fare un dispetto alla sua amante, porta Cabiria, incredula per l'onore di essere stata scelta da così importante personaggio, nella sua faraonica villa da cui sarà allontanata non appena l'amante tornerà a concedere i suoi favori al maturo attore. L'unico ricavo che Cabiria trarrà da questo incontro sarà una testata in una invisibile porta a vetri..[4]
L'ingenuità di Cabiria si rivela a pieno nella scena dell'ipnotizzatore (Aldo Silvani) nel cinema teatro di periferia dove si lascia convincere a salire sul palcoscenico tra i lazzi e le pesanti battute del pubblico romano. È una scena dove si mescolano comicità e compassione per la giovane donna, preda del cinico mago d'avanspettacolo che sfrutta Cabiria per metterne in ridicola luce tutti i suoi sogni infantili di una vita sognata.
Il dramma centrale del film è nell'episodio dell'incontro all'uscita del cinema con un uomo (François Périer) che, presentandosi come un umile ma serio borghese, fingendo di non aver capito il vero mestiere di Cabiria, la raggira, approfittando del bisogno d'amore della povera prostituta, chiedendole alla fine di sposarlo.[5]
Cabiria vuole credergli ad ogni costo, vende tutto quel poco che ha, la sua unica ricchezza: la casetta abusiva messa su con enormi ed umilianti sacrifici, e si abbandona al fidanzato che naturalmente non vuole altro che il suo denaro e che anzi sta per sbarazzarsene uccidendola, fermandosi solo perché un essere umano come Cabiria non può non suscitare pietà anche in un malvagio.
Questa volta Cabiria sembra non farcela a risollevarsi dal colpo ricevuto e pensa d'uccidersi quando, lungo una strada di campagna, incontra una comitiva di giovani che cantano e suonano in allegria e coinvolgono Cabiria nella loro gioia di vivere. Cabiria capisce di non essere sola e torna a credere ingenuamente nella vita, in quella sorta di circo, ci dice Fellini, che è l'esistenza umana.[6]
La critica
Morando Morandini ne La Notte del 10 ottobre 1957 osserva come il film possa apparire frammentato nel susseguirsi degli episodi della vita di Cabiria. In realtà sono legati da una solida struttura narrativa il cui centro è nel personaggio principale. Il film è come «una sinfonia in cui i diversi tempi, gli episodi, si allacciano l'uno all'altro, distaccati ma complementari, per analogia o per contrasto tutti convergenti» nella caratterizzazione della protagonista che tutti li armonizza nella drammaticità del suo destino.
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