28 marzo, 2010

PROMEMORIA 28 marzo 1941 - Seconda guerra mondiale: battaglia di Capo Matapan (navale)


Seconda guerra mondiale: battaglia di Capo Matapan (navale)
La Battaglia di Capo Matapan (scontri di Gaudo e Matapan, 27 - 28 marzo 1941), combattuta nelle acque a sud del Peloponneso, fra l'isolotto di Gaudo e Capo Matapan, tra una squadra navale italiana e la Mediterranean Fleet che comprendeva anche alcune unità australiane, segnò il primo attacco notturno ai danni di forze dell'Asse e consegnò temporaneamente alla Royal Navy il dominio del Mediterraneo, infliggendo gravi perdite, morali e materiali, alla Regia Marina, che ne condizionarono in seguito le capacità offensive.

Premessa
L'operazione di Gaudo, prologo alla battaglia di capo Matapan, fu messa in atto da Supermarina nel marzo 1941 in seguito alle richieste dei tedeschi affinché fossero messi sotto pressione i convogli britannici che dai porti egiziani e della Cirenaica rifornivano di materiali da guerra e truppe le forze alleate in Grecia, in vista di un probabile quanto imminente attacco tedesco nei Balcani in appoggio alle stremate truppe italiane impegnate nella guerra greco-italiana.
I tedeschi, in particolare, accusavano Supermarina di inattività, rimproverandole un atteggiamento difensivo e dimesso verso gli inglesi. Supermarina, il cui principale impegno bellico era la scorta ai quotidiani convogli che rifornivano le truppe italiane e tedesche in Africa settentrionale, in Albania e nel Dodecanneso, volle organizzare un'operazione contro il traffico inglese, in modo da dimostrare ai tedeschi le proprie capacità offensive e da riprendere operazioni propriamente offensive dopo la tragica notte di Taranto.
Il piano predisposto da Supermarina consisteva nella predisposizione di due rapide incursioni offensive, una a nord ed una a sud di Creta, in caccia del traffico inglese. Le navi italiane avrebbero dovuto, se in condizioni di superiorità, attaccare i convogli incontrati e la relativa scorta, ritornando poi rapidamente nelle basi nazionali.
Per attuare detto progetto, Supermarina scelse di mobilitare forze più pesanti di quelle necessarie alle scopo. Se per combattere contro qualche convoglio inglese, scortato da qualche cacciatorpediniere, sarebbe stato sufficiente l'invio di qualche incrociatore leggero, di cui la Regia Marina era ben fornita, le pressioni tedesche consigliarono di far uscire in mare, per evitare accuse di codardia, la nave da battaglia Vittorio Veneto, una divisione di incrociatori pesanti e due di incrociatori leggeri, oltre ai cacciatorpediniere di scorta.
L'intera operazione era affidata al fattore sorpresa. Laddove gli italiani fossero stati avvistati prima di arrivare nelle acque di Creta, gli Inglesi avrebbero infatti avuto tutto il tempo di far allontanare eventuali convogli e di intercettare gli italiani con la "Mediterranean Fleet" di stanza ad Alessandria.
Inoltre, Supermarina pose quale condizione indispensabile per il successo dell'operazione, la continua scorta aerea della propria squadra per tutta la durata della missione. Era stato previsto pertanto l'intervento delle forze aeree nazionali di base in Italia e in Egeo (isola di Rodi) e di quelle tedesche del X° CAT (Corpo Aereo Tedesco - Fliegerkorps X, unità aerea anti-nave forte di circa 200 bombardieri e una settantina di caccia) di base in Sicilia. Per favorire il coordinamento aereo e per decifrare i messaggi avversari indipendentemente dall'intervento di Supermarina, l'Ammiraglio italiano fece imbarcare degli ufficiali di collegamento della Luftwaffe e un gruppo di decrittazione.

Scontro di Gaudo
La mattina del 27 marzo la Vittorio Veneto si riunì con la III Divisione a est della Sicilia, dove furono avvistate, nonostante la scorta aerea, da un ricognitore a largo raggio inglese tipo Sunderland che telegrafò immediatamente l'avvistamento al proprio comando; venne così a mancare il fattore sorpresa su cui il comando italiano contava per la buona riuscita della puntata offensiva.
Nonostante ciò, Supermarina confermò l'operazione con qualche piccola variante prudenziale, ordinando che tutte le nostre forze navali dovessero riunirsi la mattina successiva nei pressi dell'isolotto di Gaudo per attaccare il traffico nemico a sud di Creta.
Gli inglesi, da parte loro, dirottarono tutti i convogli in navigazione intorno a Creta, mentre l'Ammiraglio Cunningham ordinò alla propria flotta di trovarsi, la mattina del 28 marzo, in un punto nei pressi dell'isolotto di Gaudo, poco a est di dove doveva riunirsi la squadra italiana. Le due flotte si sarebbero così trovate a pochissima distanza nella prima mattina del 28 marzo. Mentre l'Ammiraglio Iachino ignorava però le mosse inglesi, la cui partenza da Alessandria era stata abilmente dissimulata per ingannare gli informatori dell'Asse, l'Ammiraglio Cunningham sapeva della presenza della squadra italiana, anche se ne ignorava l'esatta composizione. La mancanza di informazioni da parte dell'Ammiraglio Iachino sarebbe stata inoltre aggravata dal mancato intervento dell'aviazione italiana dell'Egeo, che contrariamente alle assicurazioni non eseguì le previste ricognizioni su Alessandra, né quelle dirette alla ricerca del traffico mercantile nemico, che pure era l'obiettivo dichiarato della missione.
In condizioni di mare calmo e buona visibilità, la mattina del 28 marzo, la flotta italiana giunse nelle acque di Gaudo divisa in due raggruppamenti: Vittorio Veneto e III Divisione in posizione avanzata, I e VIII Divisioni Incrociatori in posizione arretrata.
Iachino fece lanciare due ricognitori Ro-43 per individuare convogli o navi nemiche fino a 100 miglia di prora e nelle acque intorno a Creta. I ricognitori avvistarono poco dopo le 7, a circa 40 miglia dal primo gruppo italiano e con rotta sud-est, 4 incrociatori e 4 cacciatorpediniere (Divisione Orion dell'ammiraglio Pridham-Wippell), posizionatasi in zona fin dall'alba in previsione dell'arrivo delle forze navali italiane.
Alle 07.39 un aereo della portaerei Formidable avvistò la III Divisione; Pridham- Wippell diresse con gli incrociatori verso il grosso inglese che si trovava arretrato di 90 miglia, per permettere l'intervento delle unità da battaglia.


Gli incrociatori Duca D'Aosta e Duca degli Abruzzi alla fonda nella baia di Navarino in Grecia.Il Duca degli Abruzzi ha ormeggiato al suo fianco sinistro il Cacciatorpediniere Corazziere
Non essendo a conoscenza dell'uscita di Cunningham con le navi da battaglia (i ricognitori italiani avevano sì avuto l'incarico di esplorare le acque tra Gaudo e Alessandria, ma si erano poi concentrati sull'avvistamento della Divisione Orion, segnalandola più volte, senza più spingersi verso sud-est, mentre non erano decollati da Rodi i ricognitori che avrebbero dovuto assicurarsi della presenza in porto della squadra inglese), Iachino spinse la sua III Divisione, seguita a distanza dal Vittorio Veneto, all'inseguimento degli incrociatori nemici, contando sulla maggior velocità che, almeno sulla carta, avevano gli incrociatori italiani della classe Trieste.
Non riuscendo in realtà ad avvicinarsi nonostante che gli Orion procedessero a zig-zag emettendo fumo per non dare riferimenti fissi al puntamento, gli incrociatori italiani aprirono il fuoco alle 08.12 con i 203 mm, da circa 24.000 m di distanza, inquadrando i bersagli; gli inglesi risposero con alcune salve da 152 mm, che risultarono troppo corte. L'azione di fuoco, della durata complessiva di 40 minuti, non ebbe esito alcuno da nessuna delle due parti. Gli italiani non si resero conto che, in realtà, gli inglesi non stavano affatto scappando, ma stavano attirando gli incrociatori della III Divisione in una pericolosa trappola, allontanandoli dal resto della squadra e portandoli a tiro dei cannoni delle corazzate inglesi.
Alle 8.51 la III divisione, dopo ripetuti ordini da parte dell'Ammiraglio Iachino di sospendere l'inseguimento, invertì la rotta, puntando a nord-ovest assieme al Vittorio Veneto, seguito a distanza dagli incrociatori inglesi che mantenevano il contatto visivo a distanza per segnalarne la posizione all'ammiraglio Cunningham. Quest'ultimo si trovava a circa 65 miglia di distanza e cercava di raccorciare le distanze per ingaggiare le navi italiane col grosso delle forze.
Iachino a questo punto sapeva con certezza della presenza di una portaerei nemica, che ben difficilmente poteva trovarsi in mare da sola, mentre il proprio servizio di decrittazione confermò la presenza, non lontana dalla squadra italiana, di una consistente squadra inglese (gli italiani intercettarono sia il traffico inglese, sia un messaggio di scoperta finalmente lanciato da un ricognitore italiano che segnalava la presenza di tre corazzate e unità minori, ma che fu ritrasmesso da Supermarina a Iachino solo nel pomeriggio). Non vi era dubbio, pertanto, che la missione era certamente fallita, e che la prudenza consigliava di ritornare immediatamente alla base, tanto più che non vi era traccia alcuna della prevista scorta aerea.
Alle 10.30 l'Ammiraglio Iachino fece un ulteriore tentativo di ingaggiare gli incrociatori inglesi manovrando in modo da prendere la Divisione Orion tra due fuochi, aggirandola da levante col Vittorio Veneto e da ponente con la III Divisione. Prima che la III Divisione fosse a portata di tiro, però, si sviluppò un rapido e violento scontro a controbordo tra il solo Vittorio Veneto e gli incrociatori nemici, i quali, colpiti in modo non grave da pochi colpi isolati, accostarono poco dopo verso sud, ritirandosi ad alta velocità coprendosi con cortine di fumo.
L'Ammiraglio Cunningham, informato di questo secondo scontro, fece alzare dalla Formidable un gruppo di aerosiluranti Fairey Albacore, che arrivarono sul Vittorio Veneto durante l'azione di fuoco ed attaccarono a bassa quota, lanciando da notevole distanza senza risultato; ottennero però l'effetto sperato in quanto l'ampia accostata del Vittorio Veneto per evitare i siluri permise agli incrociatori inglesi di allontanarsi. Non potendo ormai più riprendere l'azione di fuoco, Iachino tornò in rotta nord-ovest.

Lo scontro di Capo Matapan
L'ammiraglio Pridham-Wippell rinunciò a mantenere il contatto e ripiegò verso il gruppo dell'ammiraglia, ad una quarantina di miglia di distanza, che raggiunse alle 12.30.
Gli inglesi, ben conoscendo la posizione del nemico, effettuarono allora 2 attacchi quasi consecutivi con bombardieri contro la Vittorio Veneto, rispettivamente alle 14.20 e alle 14.50, senza esito alcuno.
Un terzo attacco, alle 15.19, fu effettuato contemporaneamente da bombardieri in quota ed aerosiluranti a bassa quota; la Vittorio Veneto evitò due siluri ma il terzo la colpì di poppa a sinistra, facendole imbarcare 4.000 t di acqua e mandando in avaria le due eliche di sinistra, costringendola a ritirarsi alla velocità ridotta di 16 nodi, protetta in formazione antiaerea dalla I Divisione a dritta e dalla III a sinistra, con le rispettive squadriglie di cacciatorpediniere schierati su due linee parallele all'esterno degli incrociatori. Si veniva cosi a costituire, intorno alla corazzata danneggiata, una formazione compatta di 18 unità su cinque colonne, con l'ordine di distendere cortine di nebbia in caso di rinnovato attacco aereo.
Dodici aerosiluranti inglesi attaccarono infatti alle 19.30, in pieno crepuscolo, mettendo a bersaglio un solo siluro sul Pola, che riportò gravissimi danni e rimase immobile privo di propulsione ed energia elettrica. Secondo la testimonianza di un superstite[1], la Royal Navy ha cannoneggiato parecchie scialuppe di salvataggio stracariche di naufraghi, individuate dai radar, temendo che potessero essere dei mezzi d'assalto, detti maiali, e che potessero quindi costituire un pericolo per le loro navi. Questo contribuì ad aumentare il numero delle vittime del naufragio del Pola.
Tuttavia il cacciatorpediniere inglese Jervis, inviato a finire il Pola, accertato che la nave non dava più segni di combattività decise di abbordarla, traendo in salvo l'intero equipaggio italiano superstite prima di colarla a picco. Nelle ore successive gli inglesi raccolsero in mare oltre 900 naufraghi italiani, prima di sospendere il salvataggio per sfuggire ad un attacco aereo tedesco. Nell'abbandonare la zona Cunningham inviò un radio messaggio diretto al capo di Stato maggiore italiano Riccardi, con le coordinate dei naufraghi ancora in mare, invitandolo a mandare sul posto una nave ospedale. Riccardi rispose ringraziando l'ammiraglio inglese per il gesto cavalleresco ed informò l'ammiraglio avversario di aver inviato in zona la nave Gradisca. Questa però giunse sul posto solo il 31, trovando il mare arrossato dai giubbotti di salvataggio che tenevano a galla migliaia di marinai ormai cadaveri; poco meno di 150 superstiti, ancora in vita, furono tratti a bordo della nave ospedale italiana.
Dal siluramento del Pola nasce il dramma della notte di Matapan. L'ammiraglio Iachino, con una decisione che sarà al centro di interminabili polemiche, pur sapendo della presenza della squadra inglese, ordinò al resto della I Divisione di restare in soccorso del Pola. Deve premettersi, al riguardo, che nella Regia Marina solo i cacciatorpediniere erano addestrati per il combattimento notturno, mentre le navi maggiori (incrociatori e corazzate) non disponevano neanche delle necessarie cariche di lancio a vampa ridotta. Diversamente, tutte le navi inglesi erano addestrate e attrezzate per il combattimento notturno, ed alcune di esse erano inoltre dotate di radar. Questo apparecchio, se non permetteva ancora una direzione del tiro, avrebbe comunque agevolato scoperta notturna di bersagli prima che fossero a portata ottica, aumentando notevolmente le probabilità di intercettazione. Il disastro di Matapan è conseguenza anche dell'avversione alle innovazioni tecniche della Regia Marina. Diversi scienziati italiani, fra cui il Professor Tiberio, docente all'Accademia Navale di Livorno, avevano già realizzato radiolocalizzatori di una certa efficacia, ma lo Stato Maggiore della Marina sostanzialmente si disinteressò di tali ricerche non valutandone il futuro rivoluzionario impatto sulla tattica navale.
Al calare delle tenebre, infatti, l'Ammiraglio Cunningham ordinò ai 4 incrociatori della Orion appoggiati da 8 cacciatorpediniere di cercare un contatto notturno con le navi italiane, ed in particolare con la Vittorio Veneto, utilizzando anche le apparecchiature radar di cui erano dotate.
L'intrinseca situazione di pericolo, per il Pola e per la Divisione che Iachino aveva mandato in suo soccorso, si aggravò in conseguenza delle successive indecisioni italiane. L'ammiraglio Cattaneo, infatti, al comando della I divisione, invece di invertire subito la rotta, inviò un messaggio a Iachino ("dite se devo invertire la rotta"), anch'esso oggetto di polemiche e discussioni. Solo dopo aver ricevuto risposta a detto messaggio ("invertire la rotta"), Cattaneo ordinò alla propria divisione di dirigere verso il Pola, riducendo la velocità. Si perse così, in relazione al tempo necessario per la cifratura e decrittazione dei messaggi, un'ora di tempo. La manovra a un tempo ordinata da Cattaneo, fece sì che i cacciatorpediniere di scorta si ritrovarono a seguire, e non a precedere gli incrociatori. Cattaneo, inspiegabilmente, non ritenne necessario modificare la propria formazione, anche se il regolamento prescriveva che nella navigazione notturna i caccia precedessero le navi di linea con uno schermo esplorativo.
Nel frattempo, le manovre inglesi si erano dimostrate del tutto errate nella prospettiva di intercettare il grosso italiano, che poté pertanto rientrare alla base senza ulteriori problemi. Con il radar, gli inglesi individuarono invece il Pola, rimasto immobile e privo di corrente elettrica. Nel momento in cui la squadra inglese si avvicinava al Pola, per catturarlo o affondarlo, furono avvistate le altre navi italiane giunte in suo aiuto, che avevano anch'esse avvistato il Pola.
In soli 3 minuti, a una distanza di appena 2000 metri e sotto i fasci di luce dei proiettori, i proiettili di grosso calibro sparati a bruciapelo delle navi da battaglia inglesi ebbero ragione dello Zara, del Fiume e di 2 dei 4 cacciatorpediniere che li seguivano, Alfieri e Carducci (riuscirono invece a defilarsi il Gioberti, indenne, e l'Oriani, gravemente colpito).
L'unica unità navale italiana che in quella disgraziata notte reagì al fuoco inglese, seppur senza successo, fu il cacciatorpediniere Alfieri che in affondamento riuscì a caricare e sparare verso il cacciatorpediniere inglese in avvicinamento che aveva aperto il fuoco verso l'unità italiana con tutte le armi di bordo.
Il direttore del tiro, tenente di vascello Italo Bimbi che si precipitò per aprire il fuoco coll'unico complesso ancora efficiente mentre l'Alfieri ormai affondava, sopravviverà insieme a soli cinque componenti di tutto l'equipaggio. Cunningham, temendo la presenza di altri caccia italiani, si allontanò subito dal luogo del combattimento, lasciando ai caccia inglesi il compito di affondare il Pola.
I relitti in fiamme, ma ancora galleggianti, furono finiti dai siluri dei cacciatorpediniere inglesi, richiamati dal fragore e dai bagliori dello scontro.
La Vittorio Veneto, a circa 40 miglia di distanza dallo scontro di Matapan, assistette impotente. Il messaggio inviato da Iachino a Cattaneo ("dite se siete attaccati") rimase senza riposta.
Le vite perse furono 2.303.

Risultati
Lo scontro di capo Matapan avvenne in un momento in cui la Regia Marina aveva ancora vivo e cocente il disastro della notte di Taranto, che portò al dimezzamento della flotta da battaglia italiana. Le corazzate silurate a Taranto erano ancora in riparazione, e di fatto, tolta la Vittorio Veneto, gli incrociatori pesanti erano le navi più veloci e meglio armate della flotta. Perderne tre in un solo colpo, senza arrecare alcun danno al nemico, fu un colpo durissimo per i già timorosi vertici di Supermarina. Le grandi navi di superficie, che avrebbero dovuto giocare un ruolo di primo piano nella ricerca della supremazia sul mare, vennero utilizzate con sempre maggiore prudenza e timore di ulteriori danni, e all'audacia britannica non si rispose mai adeguatamente, se non attraverso le imprese dei mezzi d'assalto (e quindi di naviglio minore), o con esempi di grande valore limitati però ai singoli comandanti di unità sottili, come i comandanti Giuseppe Cigala Fulgosi e Francesco Mimbelli. L'esito disastroso dello scontro ebbe come prima conseguenza la completa assenza della Regia Marina nel Mediterraneo Orientale quando, un mese dopo la battaglia, gli inglesi furono impegnati via mare ad evacuare in tutta fretta i propri uomini dalla Grecia, operazione che fu contrastata solo dal cielo. Dopo Matapan i vertici della Regia Marina subirono gli eventi bellici ponendosi come obiettivo principale quello di non subire ulteriori perdite irreparabili.
L'esito della battaglia di Matapan fu determinato principalmente dall'evoluzione tecnica condotta dai britannici, contrapposto al livello di arretratezza - anche tattico - in cui versava la Regia Marina. Gli uomini di Cunningham disponevano infatti dei seguenti vantaggi:
Radar. Sulla Orion e sull'Ajax erano installati dei radar che consentirono di localizzare il Pola nonostante le condizioni di navigazione notturna.
Uso di una portaerei. La possibilità di lanciare attacchi aerei e di coordinare direttamente ricognizioni è stata la causa del declino delle possenti navi corazzate, impotenti e costrette a soccombere. La battaglia di Matapan servì a sottolineare il predominio dell'aereo sulla nave, accelerando la produzione di navi portaerei e convincendo lo stesso Mussolini ad approntare il progetto della prima portaerei italiana: Aquila.
Ultra, che consentì a Cunningham di conoscere in anticipo le mosse della flotta italiana. Dopo la guerra si appurò che l'avvistamento di Iachino da parte del Sunderland era in realtà "pilotato": quell'aereo era stato inviato, per non destare sospetti negli italiani, dopo che gli inglesi aveva intercettato e decifrato i messaggi trasmessi dagli italiani al X° CAT per la predisposizione della copertura aerea.
Armamento idoneo alla battaglia notturna. Gli inglesi disponevano di salve con abbaglio ridotto che ne consentivano l'impiego notturno. Gli incrociatori italiani non erano mai stati impiegati in cannoneggiamenti notturni e non tentarono nemmeno di rispondere al fuoco nemico (come prescritto dai regolamenti, i cannoni erano brandeggiati per chiglia e non erano pronti al fuoco).
Responsabilità tattiche gravano sia sul conto di Supermarina, che degli Ammiragli Iachino e Cattaneo, il quale perse la vita nello scontro. A Supermarina vanno addebitate le responsabilità di non aver coordinato in modo adeguato la copertura e la ricognizione aerea. Le comunicazioni fornite a Iachino, inoltre, erano imprecise, contraddittorie e giungevano con eccessivo ritardo.
Della condotta dell'Ammiraglio Iachino resta incomprensibile la decisione di distaccare due incrociatori in ritirata verso le coste pugliesi, anche se la sua maggiore responsabilità è stata quella di aver mandato tutta la prima divisione a soccorso del Pola, pur avendo molti elementi per prevedere un contatto con la flotta avversaria.
All'Ammiraglio Cattaneo si contesta la scelta di disporre la flotta in modo da far procedere i due incrociatori dinnanzi ai quattro cacciatorpediniere, soluzione incomprensibile sotto un profilo tattico, invece che posizionare questi ultimi in posizione avanzata con compiti di perlustrazione. Resta inspiegabile anche la scelta di viaggiare ad una velocità di 15 nodi, pur potendo navigare ad una andatura di 30 nodi.
L'intera operazione, inoltre, era intrinsecamente discutibile. Far uscire un'intera squadra per assolvere ad un compito che poteva essere svolto egregiamente da pochi veloci incrociatori leggeri voleva dire far correre rischi inutili alle navi, senza conseguire alcun vantaggio.

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