06 luglio, 2010

PROMEMORIA 6 luglio 1945 Eccidio di Schio


Eccidio di Schio
L'Eccidio di Schio è il massacro compiuto nella notte tra il 6 e il 7 luglio 1945 (due mesi dopo la fine della guerra) a Schio (Vicenza) da un gruppo formato da ex partigiani della Divisione garibaldina "Ateo Garemi" ed agenti della Polizia ausiliaria partigiana (istituita alla fine della guerra e composta da ex partigiani).

Il contesto

Schio, nella provincia di Vicenza, aveva pagato cara l'opposizione al fascismo da parte di molti suoi abitanti durante la Seconda guerra mondiale. In quella zona, gli occupanti nazisti e i loro alleati fedeli a Mussolini repressero l'antifascismo in modo particolarmente feroce. Inoltre, la zona divenne un punto di raccolta di truppe tedesche verso la fine del conflitto, provocando fortissime tensioni con la popolazione ed innumerevoli violenze [1].
Il 14 aprile 1945, le Brigate Nere arrestarono il partigiano scledense Giacomo Bogotto, lo torturarono, gli cavarono gli occhi e forse lo seppellirono ancora vivo. La sua salma sarà riesumata il giorno dopo la Liberazione di Schio, il 30 aprile, davanti agli occhi di una popolazione sconvolta ed inferocita [2]
A maggio arrivano le notizie della strage di Pedescala: 82 civili innocenti uccisi insensatamente dai tedeschi in ritirata, come rappresaglia di un attacco effettuato dai partigiani mentre i tedeschi fuggivano. Gli abitanti della zona tentano di farsi giustizia da soli e solo l'intervento del comando alleato limita le vittime fasciste a pochi individui.
Il 27 giugno William Pierdicchi, unico sopravvissuto dei 14 antifascisti di Schio deportati a Mauthausen- Dachau - Gusen a causa delle delazioni degli aderenti scledensi alla RSI, rientrò in città in uno stato miserabile, ridotto al peso di 38 chili, suscitando un forte moto di rabbia popolare: il giorno dopo un'enorme folla si radunò nella piazza principale del paese chiedendo giustizia[3].
Vi erano nel carcere mandamentale di Schio, persone fermate per indagini su eventuali loro corresponsabilità col regime fascista e con la RSI o per testimoniare nelle indagini in corso. Il capitano Chambers, responsabile alleato dell'ordine cittadino, accese ulteriormente gli animi annunciando che se non fossero state presentate denunce circostanziate entro 5 giorni, le persone arrestate senza denuncia sarebbero state liberate. In questo clima maturò l'eccidio del 6 luglio.

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