05 gennaio, 2009

PROMEMORIA 5 gennaio 1946 Inizia il Processo di Norimberga


A Norimberga comincia il processo contro 23 ex-medici che operarono nei campi di concentramento accusati di crimini contro l'umanità.
Crimine contro l'umanità
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In giurisprudenza, la locuzione crimine contro l'umanità definisce le azioni criminali che riguardano violenze ed abusi contro popoli o parte di popoli, o che comunque siano percepite, per la loro capacità di suscitare generale riprovazione, come perpetrate in danno dell'intera umanità. I crimini contro l'umanità sono in genere distinti dai crimini di guerra e talvolta anche dal genocidio; non tutti gli ordinamenti giuridici prevedono direttamente figure di crimini contro l'umanità, mentre alcuni le prevedono indirettamente, in forma recettizia di trattati internazionali.
La fattispecie (o, più propriamente, il tema) fu concepita in dottrina dopo la seconda guerra mondiale, con la diffusione delle tematiche relative ai diritti umani, insieme alla formazione di una comune coscienza internazionale circa una comunanza "naturale", congenere, di concezioni circa un comune diritto spettante e virtualmente applicabile a tutti i componenti di tutti i raggruppamenti sociali. Si sostenne, in pratica, l'esistenza di un diritto "congenito" (scolasticamente da intendersi come insieme di regole cogenti, statuenti facoltà e limitazioni del personale arbitrio) comune per sua natura a tutti gli uomini, indipendentemente dalle varietà socio-culturali localmente di riferimento. Taluni crimini, rappresentando una fonte di riprovazione "istintiva" presso tutte le latitudini, sono dunque stati considerati come accorpabili in una nuova categoria di fattispecie, delle quali si presume che qualunque stato o raggruppamento sociale, di qualunque continente o impronta etica (o religione) o cultura, richiederebbe la sanzione.
Si è dibattuto se il fattore di criminalità di certi atti, la cagione specifica della loro punibilità secondo un'apposita previsione di specie, dovesse primariamente essere la generale ripulsa morale suscitata ovvero la portata specifica degli atti (ad esempio, il genocidio, che secondo alcuni, ma non tutti, fa parte di questa categoria, è stato da taluni considerato - a questi fini - alla stregua di un delitto di strage aggravato da premeditazione, continuazione e reiterazione, oltre che da motivi abbietti, quindi una sorta di super-fattispecie, di gravità esulante dalle ordinarie previsioni codicistiche per le dimensioni e le proporzioni del nocumento arrecato).
Inoltre, si è a lungo dibattuto circa l'effettiva riconoscibilità per l'umanità, per l'intero genere umano, di un ruolo diretto di soggetto passivo del reato (vittima). In pratica, si è discusso sulla traducibilità del titolo (delitti contro l'umanità - nato probabilmente onde distinguerlo dai delitti contro la persona o contro il patrimonio e dai delitti contravvenzionali) in una vera e propria costituibilità procedurale di una siffatta parte civile, prelusiva ad una non meno spinosa questione circa l'eventuale definizione della rappresentanza (chi avrebbe titolo a costituirsi in giudizio in nome dell'umanità?). Scientificamente osservando, non vi è, di fatto, unanimità internazionale su nessuna delle questioni dibattute, pur essendovi rilevanti aggregazioni di consensi su talune impostazioni che forse, almeno nel mondo occidentale, sono le più note.
Va notato che tutte le discussioni, le argomentazioni e le discettazioni sulla materia, in assenza di un effettivamente vigente diritto internazionale di universale accettazione, sono pressoché inevitabilmente soggette al filtro soggettivo dell'interpretazione politica della componente etica sulla quale si vorrebbe incidere. In pratica, ed è questa l'eccezione dei non pochi contrari, la diversità di vedute morali renderebbe impossibile sia una definizione specifica della fattispecie tale da godere di universale consenso, sia, tantomeno, una sua applicazione capace di raccogliere altrettanto universale ed anche armonico consenso, correndo piuttosto il rischio di delegare a combinazioni di istanze politiche, peraltro per loro natura variabili nello spazio come nel tempo, un giudizio di fondo che potrebbe tradursi in discrezionalità estemporanea. Il dubbio, semplificando, è che tale figura delittuosa possa essere applicata con opportunismo politico senza affidabile grado di universalità e che la procedura giudiziaria possa essere strumentalmente utilizzata a fini politici per imporre un suggello formale processuale a situazioni già definitesi di fatto con altri mezzi.
Nella pratica i crimini contro l'umanità sono per ora stati ascritti in termini di responsabilità legale e morale prevalentemente a capi di stato o dittatori o comunque gruppi di potere, detentori di supremazia politica anche solo fattuale.
Nel corso della storia numerose sono state le persone accusate, giuridicamente o solo politicamente, di questi reati ritenuti i più gravi e orrendi perpetrabili dall'uomo. Nel secolo scorso questa accusa è stata mossa contro i gerarchi del nazismo, Stalin, Mao Zedong, l'ex presidente jugoslavo Slobodan Milosevic, il deposto raìs iracheno Saddam Hussein e altri capi di Stato, spesso a capo di una dittatura militare, neonazista, fascista, teocratica o comunista. Mancando, come detto, un diritto internazionale di universale (e pregressa) applicazione, gli interessati hanno spesso opposto un vizio di competenza dei tribunali che li hanno giudicati.
L'accusa di crimine contro l'umanità include fra i casi perseguiti il genocidio, la cosiddetta pulizia etnica, lo sterminio di massa, la deportazione.
I crimini contro l'umanità sono uno degli oggetti di giudizio della Corte Penale Internazionale che ha sede a L'Aia e che opera nei termini previsti dallo Statuto di Roma; tale corte non sostituisce, per limite statutario, la giurisdizione ordinaria, solo affiancandosi ad essa, pertanto da taluni osservatori è stato eccepito il rischio di pregiudizio ad una garanzia procedurale corrente presso la maggioranza degli ordinamenti e per la quale il reo non può essere giudicato due volte per lo stesso delitto.

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