13 gennaio, 2007
Lo spettacolo del male di Michele Serra da la repubblica del 13 gennaio 2007
UnA madre scarmigliata leva il coltellaccio sul suo bambino: sta per ucciderlo e darlo in pasto, sotto forma di spezzatino, agli avventori della sua trattoria. Un padre disperato non sa come sfamare i suoi figlioletti: per levarsi di dosso l'impotenza e l'umiliazione li strangola entrambi. Sono due delle storie (vere) messe in scena da Paolo Poli nel suo ultimo, ferocissimo eppure comicissimo spettacolo teatrale, ispirato alle cronache italiane di questo secolo così come le hanno raccontate sei grandi giornaliste e scrittrici.
Il noir appare qui trasfigurato dallo sguardo favoloso e beffardo di uno dei teatranti più caustici (ed eleganti) mai visti in scena. Eppure, allo spettatore appena uscito dalle raffiche di orrore delle cronache, il teatro di Poli offre, tra cento altre cose, l'occasione per una riflessione non fugace su uno dei sentimenti più diffusi di questi giorni, specie attorno al macello spaventoso di Erba.
Il sentimento è quello di una inedita e raccapricciante qualità del male a noi contemporaneo, sbocco inevitabile di una società sempre più destrutturata e per definizione "senza valori". Ebbene, i fatti innominabili (infanticidio, cannibalismo...) narrati da Poli risalgono al principio di questo secolo, ravvivando la memoria, parecchio sbiadita, di quando l'efferatezza e la sopraffazione avevano per motori specialmente l'ignoranza e la fame, e la brutalità di rapporti sociali parecchio ferini, ancorché sorretti da "valori" ancora molto solidi, per esempio quelli della civiltà contadina, per esempio quelli della sottomissione sociale alle classi "superiori" o alla Chiesa.
Quanto ai conflitti tra vicini, basterebbe la ricca casistica delle violenze rurali per sapere quanto spesso il coltello, il randello e il fucile hanno preteso di risolvere convivenze ostili. Oppure riaprire pagine di tenebrosissimo degrado sociale, come la compravendita degli orfanelli, come la larga diffusione dell'incesto nelle famiglie patriarcali dell'Italia contadina, eccetera eccetera...
Chi, poi, ami attardarsi nella riflessione molto contrita e molto pentita sul Novecento fonte di ogni efferatezza politica, sempre nel teatro di Poli (ma ovviamente in infiniti altri luoghi) potrà trovare qualche illuminante notizia sulla scelleratezza, il sadismo e la pazzia ideologica degli evi antecedenti: sette cristiane purificatrici prevedevano, per tutelarsi dalle insidie del sesso, l'auto-evirazione, e pazienza, ma spesso provvedevano a evirare (per salvarli!) anche passanti non esattamente volontari...
Il sospetto, dunque, è che l'angosciosa percezione di un salto di qualità del male e della violenza sia dovuta soprattutto a una assai più diffusa conoscenza di crimini sempre avvenuti, ma solo oggi diventati materia prima quotidiana di un sistema mediatico cresciuto in maniera esponenziale. Ogni frammento di orrore viene ingigantito, ogni urlo di dolore amplificato, su ogni singola variazione attorno all'orrendo tema della violenza dell'uomo sull'uomo vengono allestiti fluviali dibattiti. L'esile scia di sangue che i cantastorie trascinavano per piazze e villaggi è diventata il mare di sangue che esonda dal video: ma è sempre lo stesso sangue, probabilmente anche la stessa dose pro-capite, solo con un rendimento "narrativo" moltiplicato per mille, per un milione, per un miliardo di volte.
La vera novità è dunque che sappiamo. Che vediamo. Che sentiamo. E su questo dovrebbe svilupparsi la vera discussione. Perché se è vero, anzi è quasi ovvio, che una coscienza diffusa del male, una rappresentazione non censurata e non moralistica dei delitti, fanno parte dei diritti di una società matura, e che sono in genere le dittature a oscurare le cronaca nera; è anche vero che ciò che chiamiamo "informazione" è anche, e al tempo stesso, un gigantesco spettacolo e un mercato mondiale immenso (veicolo fondamentale della pubblicità).
L'attrazione per le storie fosche e crudeli, fin dai primordi della cultura orale e scritta, è una delle componenti forti della psicologia popolare. Ma siamo sicuri che l'impatto enorme e oramai incontrollato del delitto nell'informazione di massa, il proliferare di veri e propri format televisivi attorno ai fatti di sangue, il pullulare di "esperti" e criminologhi e opinionisti che paiono interessati a ingigantire i fatti anche per ingigantire il loro potere professionale e i loro cachet; siamo sicuri, dicevo, che tutto questo obbedisca solo al dovere di cronaca, al bisogno di conoscenza e di trasparenza, insomma ai diritti dell'opinione pubblica?
Oppure l'opinione pubblica, se interpellata, preferirebbe qualche zoomata in meno sulle macchie di sangue, e qualche notizia in più sui retroscena delle guerre, sui crimini "puliti" dell'economia e della politica?
Forse, ecco: la "notizia" che la bestialità, tra gli uomini, è sempre esistita, e in forme ugualmente abominevoli, potrebbe aiutare tutti, giornalisti e opinione pubblica, venditori e acquirenti della merce informazione, a calmierare leggermente il mercato del nero. Molti delitti sono remake di orrori già accaduti. Non è obbligatorio, ogni volta, presentarli come il delitto del secolo: ogni secolo, purtroppo, ne sciorina tanti quanti basterebbero a disgustare perfino il più efferato e morboso dei pubblici paganti.
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