28 gennaio, 2007
UNA OSSERVAZIONE SULL’OCCUPAZIONE DEGLI STUDENTI PRESSO IL LICEO SCIENTIFICO “B.CROCE” A COLLI ANIENE DI ELIANA QUINTAVALLE
Ora che il “peggio” è passato, qualche riflessione in merito agli accadimenti ultimi nella nostra scuola, che lasciano perplessi in quanto una comunità che si identifica nella cultura e nella formazione dei giovani, si trova poi a doversi confrontare con procedimenti inquisitivi e repressivi che sostituiscono l’essenza dell’educazione: il confronto e il dialogo.
E’ difficile misurarsi, per noi docenti, con quella che è oggi la cultura giovanile, ma il disagio espresso dai nostri studenti, in forme anche confuse e velleitarie, è lo specchio di quanto il sociale offre, non solo ai giovani, ma anche a noi, e di cui siamo, in quanto adulti, responsabili. Non possiamo pertanto chiamarci fuori, nascondendoci dietro parole, belle quanto inutili in taluni contesti: azione disonesta, interruzione di dialogo educativo…Gli studenti hanno un loro modo di comunicare, che noi, in quanto adulti, docenti soprattutto, abbiamo il dovere di comprendere, senza pretendere che siano loro a dover comprendere il nostro, cosa che invece sta accadendo, a tutti i livelli, non solo scolastico: da un parte si coccolano e si viziano i giovani in quanto potenziali (e neanche tanto) consumatori, dall’altra si tende a strumentalizzare la loro incoscienza e la loro immaturità. In questi giorni, proprio per i fatti accaduti all’interno della nostra scuola, alcuni di noi si sono interrogati sui modi e sui contenuti della trasmissione culturale: che fosse inadeguata ai tempi lo avevamo capito, con cosa sostituirla e se era giusto è un dibattito che ci occupava e ci occupa. Intorno, a parte qualche rara voce, si percepisce il vuoto: a livello politico non si sente un reale interesse per i problemi della scuola, al di là di parole che la indicano surrettiziamente come primo punto all’odg di qualsiasi agenda politica: nei fatti non è così poiché il concreto risultano essere tagli, classi sovraffollate, strutture inadeguate ad un paese che si dice civile.
Nelle inchieste internazionali siamo sempre agli ultimi gradini: ci si batte il petto per un po’, ci si scandalizza, poi tutto rimane come prima, come sempre, in questo paese che lentissimamente si adegua (si adegua?) ai livelli di civiltà di altri paesi europei, e pure con fortissime resistenze. La maleducazione è imperante a tutti i livelli; l’arroganza è modello da imitare; la presunzione e la sua compagna, l’ignoranza, occupano la posizione principale…cosa resta ad una scuola che dovrebbe trasmettere i valori del bello, della cultura, le parole dei grandi autori, lo spirito critico, se non tentare giorno per giorno di arginare il cancro che avanza di un sociale insofferente di regole, cultura e principi di solidarietà? Con quali strumenti? E come può recuperare nei nostri giovani cresciuti a televisione e videogiochi il piacere della lettura? Della riflessione? Con quali strumenti, se non la parola e quindi l’ascolto, può convincerli che pensare è utile? Che razionale può essere altrettanto interessante che emotivo? Domande retoriche, che non possono trovare risposta in un piccolo gruppo di docenti che comunque ha ancora la forza di interrogarsi per capire se c’è una strada da intraprendere per aiutare questi nostri “disperati” studenti ad affrontare il loro futuro, a dare uno straccio di speranza.
Contestualmente invece, l’unica risposta che la nostra scuola si è trovata a dare all’occupazione è stata la repressione, ritenendo in buona fede che una sterzata di sano autoritarismo potesse in qualche modo mettere limiti a questo senso di onnipotenza che a volte i giovani manifestano. Per noi, per questo piccolo gruppo di docenti, non è la strada giusta. Crediamo ancora che il dialogo e il civile confronto siano gli strumenti fondamentali di una scuola autenticamente democratica e attenta alla formazione civile degli studenti. Non condividiamo l’inquisizione, ma siamo per la richiesta di spiegazioni; non condividiamo la repressione, ma siamo per la sanzione per chi non rispetta le regole comuni; non condividiamo l’intervento della forza pubblica nella scuola, ma crediamo nel confronto, anche aspro.
In questi giorni, dopo gli articoli sui giornali, i servizi televisivi, gli interventi a livello politico, ci chiediamo il perché di questo insano interesse nei confronti di una scuola di periferia, di cui non si parla mai (se non si conosce un giornalista) se fa una iniziativa importante sul piano culturale (e ne ha fatte tante), e che occupa oggi uno spazio che ci sembra tutto sommato rilevante all’interno della cronaca locale? Perché l’immagine della scuola è quella del dirigente e non quella di chi si scontra tutti i giorni con i problemi e le difficoltà sempre crescenti? Perché non si parla anche degli altri studenti oltre che di quelli che, loro malgrado, sono ora alla ribalta, dato che nella scuola ci sono più di 800 alunni? Perché la parte politica che oggi si precipita a prendere posizione (crediamo giustamente) non è altrettanto attenta nei confronti dei problemi delle periferie? Nella nostra zona per esempio c’è un unico cinema, che risponde alle esigenze di programmazione di una periferia, niente librerie, niente luoghi di aggregazione che non siano i centri sociali, la parrocchia o le pizzerie; la biblioteca comunale, che, insieme alla biblioteca e all’associazione culturale del nostro liceo, funzionava da centro di iniziative culturali è chiusa da due anni perché i lavori per la ristrutturazione della nuova sede vanno al rallentatore, quando vanno…naturalmente non c’è un teatro…Come si può dar torto a giovani che protestano perché chiedono spazi di incontro? O perchè chiedono che si argini il fenomeno della droga o che si riparino porte e finestre della propria scuola? Perché non approfittare invece di questo barlume di partecipazione democratica e, ragionando con loro, portare, con loro, queste richieste nelle stanze dei bottoni? Andare contro le istanze socio-culturali è perdente: la memoria storica dovrebbe supportare il nostro ragionamento, trovando nel ’68 e nei successivi anni ’70 il riferimento. Non si scontentano i giovani: lo abbiamo capito già dal ’68, che pur con la sua repressione ha dovuto cedere a rivendicazioni pure giuste: le forze politiche li ascoltano perché sono il futuro.
Ci ha fatto piacere che il presidente del V Municipio, l’assessore alle periferie del Comune di Roma, l’assessore alle Politiche della Scuola della Provincia di Roma siano venuti a parlare con gli studenti: è bene che i giovani si confrontino da subito con i loro referenti, che capiscano che la politica non è un’entità separata dalla vita reale, ma ci piacerebbe ancora di più che i giovani si appassionassero alla politica, che la sentissero come parte integrante della loro vita culturale: questo è compito dei politici, che ci auguriamo una volta finito questo psicodramma, continuino a cercarli come interlocutori privilegiati. Possiamo suggerire di invitarli nei loro uffici? Mostrare loro come funziona un Ente Locale?.
Nostro compito, compito della scuola è quello di educarli alla partecipazione democratica, ai principi della convivenza civile al rispetto dell’altro, ai principi di solidarietà. E’ sempre più difficile, ma continueremo a farlo.
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