14 marzo, 2007

PROMEMORIA 14 marzo 1964 - Una giuria di Dallas trova Jack Ruby colpevole dell'uccisione di Lee Harvey Oswald, l'assassino di John F. Kennedy


Jack Ruby (nato Jacob Rubenstein, Chicago, 25 marzo 1911 - Dallas, 3 gennaio 1967) è l'uomo che il 24 novembre del 1963 sparò a Lee Harvey Oswald uccidendolo, due giorni dopo che Oswald era stato arrestato per l'assassinio del Presidente John Fitzgerald Kennedy. La svolta: l'assassinio di John Fitzgerald Kennedy La vita di Ruby prende una piega inaspettata nel tragico weekend di Dallas di fine novembre 1963. Ruby è nella redazione del Dallas Morning News, sta dettando una pubblicità per il suo locale quando Kennedy, alle 12 e 29 minuti del 22 novembre 1963, viene ucciso e la notizia piomba come un masso nella stanza. Jack è sconvolto: chiama la sorella, decide di non aprire il locale quella sera e (anche se non vi è certezza su questo aspetto) si precipita al Parkland Hospital per capire cos'è successo o, come molti suoi conoscenti in seguito racconteranno, perché non sapeva stare lontano dall'azione, dai luoghi in cui capitava qualcosa. Due sorelle di Ruby hanno spesso ricordato la sua angoscia per l'uccisione di JFK: Ruby straparla, piange, maledice Oswald e glorifica il Presidente e la povera moglie Jacqueline; ricorda l'annuncio letto sul quotidiano Dallas Morning News - che insultava pesantemente JFK - e teme che la colpa dell'omicidio venga fatta ricadere sugli ebrei. Va quindi alla stazione di polizia, si intrufola tra i giornalisti, dà consigli ai reporter e li rifocilla con una sporta di panini, racconta a tutti il suo strazio per quanto è successo e per le conseguenze che, secondo lui, il gesto di Oswald avrà sulla comunità ebrea. Durante un'intervista al giudice Henry Wade, che aveva appena incriminato Lee Harvey Oswald, interviene brevemente, senza alcun titolo, per correggere il nome del comitato pro-Castro cui apparteneva Oswald. Non ha alcuna ragione per stare lì, tra reporter e cameramen, ma tutti i poliziotti lo conoscevano bene e il caos in Centrale era giunto a livelli inimmaginabili. Ruby è libero di girovagare per gli uffici senza essere fermato, come decine di altre persone. L'omicidio di Lee Harvey Oswald La domenica mattina Ruby si sveglia, esce di casa verso le undici con la sua cagnetta Sheba e si reca in un ufficio della Western Union: aveva infatti ricevuto, mezz'ora prima, la telefonata di una sua spogliarellista, Karen "Little Lynn" Bennet, che aveva bisogno di 25 dollari per pagare l'affitto. Ruby lascia l'adorato animale nell'automobile, parcheggiata davanti all'ufficio, entra e manda il vaglia. L'orario stampigliato sul documento reca il timbro delle 11 e 17 minuti. Appena uscito dall'edificio Ruby guarda in fondo al viale e vide una piccola folla davanti alla Centrale di polizia. Lee Oswald doveva essere trasferito nel carcere della Contea già verso le dieci, ma un ritardo nelle pratiche e la volontà di Oswald di farsi riportare un maglione prima di uscire avevano ritardato la sua traduzione nella prigione. Incuriosito, Ruby si avvicina ed entra nel sotterraneo. Si trova davanti un assembramento di cameraman, reporter e cronisti: Oswald stava per essere portato fuori. Oswald gli passa proprio davanti, alle 11 e 21 minuti. Ruby tira fuori la pistola, che portava spesso con sé, e gli spara un solo colpo all'addome, fatale, dicendogli: "Hai ucciso il mio Presidente, topo di fogna!". Immediatamente fermato e incarcerato, si dice sicuro di essere prosciolto: parla con gli agenti dicendo di essere felice, di aver dimostrato di essere un ebreo coraggioso, sicuro che la polizia lo avrebbe capito per il gesto compiuto, se non addirittura elogiato. Si vanta dell'impresa, sostenendo che non gli sarebbe successo avesse ben provato un altro milione di volte di azzeccare i tempi per trovarsi Oswald a portata di mano. Il processo, però, non va per il verso giusto dal suo punto di vista: dall'imputazione per omicidio non premeditato si arriva a una sentenza di condanna a morte perché il suo avvocato tenta di farlo passare per un pazzo, avallando così involontariamente la tesi del gesto non spontaneo e improvviso ma calcolato. La condanna viene poi tramutata in ergastolo e Ruby trascorre squallidamente gli ultimi tre anni di vita, affetto da pesanti turbe psichiche: incolpa i nazisti per un complotto ordito ai suoi danni, racconta a Earl Warren, che lo interroga il 7 giugno 1964, che nei sotterranei della prigione la polizia sta sterminando milioni di ebrei e chiede di essere trasferito a Washington per dire "la verità".

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