15 maggio, 2011
PROMEMORIA 15 maggio 1988 - Invasione sovietica dell'Afghanistan: dopo più di otto anni di combattimenti, l'Armata Rossa inizia il ritiro.
Invasione sovietica dell'Afghanistan: dopo più di otto anni di combattimenti, l'Armata Rossa inizia il ritiro dall'Afghanistan.
L'invasione sovietica dell'Afghanistan cominciò il 24 dicembre 1979 e terminò con il ritiro delle truppe dell'U.R.S.S. il 2 febbraio 1989 anche se l'U.R.S.S. comunicò ufficialmente il completo ritiro delle proprie truppe solo il successivo 15 febbraio.
Con l'arrivo al Cremlino nel 1985 di Michail Gorbačëv si andò affermando una politica estera sovietica più distensiva, e già dall'ottobre 1986 iniziò in sordina un ritiro unilaterale delle truppe sovietiche che si concluse il 15 febbraio 1989. La guerra finì (dopo 1 milione e mezzo di afgani morti, 3 milioni di disabili e mutilati, 5 milioni di profughi e milioni di mine) con gli accordi di Ginevra del 14 aprile 1988 che avviarono il ritiro dell'Esercito Sovietico.
L'Unione Sovietica ritirò le sue truppe il 2 febbraio 1989 (anche se ne diede comunicazione ufficiale solo il successivo 15 febbraio), ma finché esistette (1991) continuò ad aiutare lo Stato afghano. Il rimpatrio perfezionato nel febbraio 1989 (in quel momento circa 30.000 mujaheddin circondavano Kabul) interessò 110.000 uomini, 500 carri armati, 4.000 veicoli blindati BMP e BTR, 2.000 pezzi d'artiglieria e 16.000 camion. Per l'Unione Sovietica, che ebbe ufficialmente 13.833 morti e 53.754 feriti, questo conflitto dall'esito infelice fu causa di malcontento fra la popolazione interna come la Guerra del Vietnam per gli Stati Uniti. Pesanti anche le perdite di materiale militare: nel decennio di conflitto andarono ufficialmente distrutti 118 aerei, 333 elicotteri, 147 carri armati, 1.314 veicoli blindati per il trasporto truppe, 433 pezzi d'artiglieria, 11.369 camion di vario tipo.
Mohammad Najibullah, l'ultimo Presidente della Repubblica Democratica Afghana, subì invece una fine tragica. Nel 1992 subì un colpo di stato da parte dei Mujaeddin e fu costretto a dimettersi, in cambio dell'immunità. Successivamente gli fu negata da quest'ultimi la possibilità di allontanarsi dal Paese e si dovette rifugiare nel palazzo delle Nazioni Unite a Kabul dove rimase fino al settembre 1996, quando i Talebani salirono al potere. Il 27 settembre dello stesso anno fu prelevato a forza dal palazzo O.N.U. dai talebani, insieme al fratello, senza incontrare resistenza, e venne torturato, mutilato ed infine trascinato da una jeep prima di essere finito da un colpo di pistola alla testa ed essere esposto sempre nei pressi del palazzo delle Nazioni Unite.
Michail Gorbačëv ha successivamente ammesso che l'errore più grande dei Sovietici è stato quello di non considerare la complessità della società tradizionale afghana, l'invio delle truppe causò così un effetto opposto a quello sperato, l'intera zona si destabilizzò. L'ex Presidente sovietico ha anche criticato l'atteggiamento degli Stati Uniti d'America, e dei suoi alleati occidentali, di finanziare incondizionatamente la guerriglia dei Mujaeddin, senza pensare alle possibili conseguenze. Spiegando le sue intenzioni, Gorbačëv ha specificato che al ritiro sovietico sarebbe dovuto seguire un processo di pace e di riconciliazione nazionale che avrebbe portato il paese ad essere pacifico e neutrale; questo non avvenne in quanto il suo successore, Boris El'cin, abbandonò il sostegno al Presidente afghano Najibullah, impedendo così una possibile soluzione di stabilizzazione dell'area e spianando la strada alla salita al potere dei Talebani negli anni novanta.
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